lunedì 2 febbraio 2015

Amarapura, il paradiso dei guardoni



U Bein's Bridge



Il lago
La storia di cui vorrei parlavi oggi, si presta ad essere controversa, per questo mi piacerebbe conoscere la vostra opinione in merito. Amarapura e una delle decine di antiche capitali birmane, a soli pochi chilometri da Mandalay, che sorge sulle rive di un grande lago/stagno formato da un braccio dell'Irrawaddy, il corso d'acqua che ha condizionato ogni momento della storia e della geografia di questa regione. Le ragioni per arrivare qui sono principalmente due. La prima è l'U Being bridge, un ponte in legno di tek molto suggestivo che dà il meglio di sé all'alba o al tramonto, con i suoi tronchi su cui è poggiato, innaturalmente alti durante la stagione secca, che invece sembrano scomparire ed annullarsi, quando le acque del lago quasi lambiscono la passerella durante la stagione delle piogge. Una lunga obbligatoria passeggiata sul ponte per raggiungere la riva opposta, lontana oltre un chilometro, ti consentirà di godere di uno dei più classici scenari orientali. Le piatte rive del lago dove, negli orti stagionali, qualche contadino approfitta del rigoglio vegetativo che la ricchezza di acqua concede, prima di ingoiarseli durante la furia del monsone; i pescatori che, grazie alla bassa profondità, stanno tutto il giorno immersi quasi fino al collo con una lunga canna in mano a catturare pesci grassocci, offerti poi in improvvisate friggitorie al fianco del ponte stesso; le lunghe file di monaci e pellegrini che lo attraversano per andare in visita ad una delle tante pagode che indovini lontane, tra gli alberi sulle rive del lago. 

Il ponte
Un luogo di pace, da percorrere magari su una delle tante barchette colorate che stazionano nelle anse dello specchio d'acqua con la lunga, interminabile silhouette del ponte che occupa l'orizzonte con la sequenza dei tronchi di tek che scandiscono lo spazio all'infinito, come in una grafica disegnata apposta da un grande pittore su un foglio di carta fatta a mano e abbellita da pochi tocchi di pennello a china nera a cui, per essere perfetto manca soltanto un breve haiku vergato in un angolo. Oppure te lo sciroppi tutto a piedi in attesa che arrivi l'ora dell'altra ragione per cui sei arrivato fin qui: il pranzo dei monaci del monastero di Maha Ganayon Kyaung. Di certo il momento è singolare. Il monastero accoglie migliaia di monaci e, ogni mattino, torme di fedeli si accalcano per partecipare alla tradizionale questua che precede il pranzo. Ora, essendo l'assembramento ed il numero dei novizi davvero imponente, la cosa è diventata di per sé una attrazione turistica di rilievo, tanto che verso le dieci del mattino decine di pullman scaricano masse di turisti assatanati che, accaldati e chiassosi, si affannano, sgomitandosi l'un l'altro, per prendere un buon posto lungo il passaggio della fila dei religiosi, dandosi reciprocamente nelle costole teleobiettivi e treppiedi. La folla è talmente corposa che i monaci più piccini, uscendo dai loro dormitori per arrivare al refettorio centrale, faticano ad infilarsi per formare una fila omogenea ed è necessario che una specie di servizio d'ordine del convento provveda a sistemare la fila, prima di procedere alla cerimonia stessa. 

All'interno del monastero
L'orda assatanata dei barbari ondeggia, chi, rimasto indietro si alza sulla punta dei piedi per vedere meglio, chi, raggiunta con fatica la prima fila resiste a pié fermo cercando di evitare di essere spintonato in avanti tra le tuniche che avanzano. Alcuni monaci anziani cercano di far arretrare gli spettatori almeno sui marciapiedi circostanti per lasciare libera la via ai questuanti, ma alcuni più astuti, per portarsi in una posizione decisamente più vantaggiosa, tentano di mescolarsi ai fedeli tenendo in mano qualche merendina o dolciume da mettere nel vaso delle offerte che ogni ragazzo porta appeso alla spalla, palleggiando con finta noncuranza la macchina fotografica che denuncia le vere intenzioni. Comunque sia la processione riesce in qualche modo a partire e per quasi un'oretta sfila lentamente tra le due ali di folla, raggiunge il cortile interno dove sono disposti dei gran pentoloni di riso e altro cibo, da cui gli addetti pescano per riempire le ciotole che ogni monaco porge silenzioso, infilandosi poi nelle lunghe sale dei refettori. Ci sono gruppi di bambini serissimi e compresi nel loro essere protagonisti, alternati a interminabili file di bambine, bardate nelle loro tuniche rosa confetto e la sciarpina colorata di traverso, tenerissime con le lor testoline rotonde completamente rapate a zero che sbirciano di sottecchi tutta quella confusione, con occhiate birichine. Ci sono poi giovani monaci dagli sguardi apparentemente assenti, che camminano con lentezza e come attraverso uno spazio vuoto e deserto e ricevono l'offerta dovuta senza emozione o condiscendenza, come deve essere nello spirito buddhista. 

Il refettorio
Infine gli anziani, forse più scafati e consci che tutto questo carnevale deve essere accettato con pazienza e saggezza. Pecunia non olet e se il circo così deve essere, così sia. E' chiaro che ognuno vorrebbe essere il solo a godersi lo spettacolo, che sarebbe di certo molto più suggestivo, ma come si fa? Lo proponiamo a forte pagamento a pochi privilegiati o lo vietiamo del tutto, oppure avanti Savoia e chi c'è c'è? In pochi minuti, chi si siede sulle panche del refettorio non si pone questi dubbi e consuma il contenuto della sua ciotola di alluminio, in silenzio, ma anche se qualcuno parlottasse con il vicino, nessuno sentirebbe, sovrastato come è, dal crepitare degli otturatori che scattano senza posa tra l'esercito di guardoni appollaiati alle loro spalle come avvoltoi bramosi di rubare emozioni. Qualche guida suggerisce di lasciar perdere e di evitare, ma l'uomo è fatto così, è difficile rinunciare a questa sorta di perversione compulsiva e rimane il fatto che in questo luogo di certo si scattano più foto che in tutto il resto del paese. I monaci stessi in fondo esibiscono i loro profili, quasi consci di compiere una attività utile al monastero stesso o forse tutto questo è vissuto come una penitenza, una delle tante prove a cui la vita monastica ti sottopone per raggiungere l'illuminazione. Ci sarebbe da fare una bella discussione su questo argomento, se avete voglia dite qui sotto la vostra, comunque, qui han finito quasi tutti di mangiare e la massa sfolla velocemente. Andiamocene anche noi che la giornata è ancora lunga e ci sono ancora un sacco di cose da vedere.

La questua


SURVIVAL KIT

Amarapura - A pochi chilometri da Mandalay. Il biglietto di 10.000 K pagato per i monumenti della città dovrebbe valere anche per queste attrazioni. Ci si arriva in taxi in una mezz'oretta dal centro, oppure se avete un vostro mezzo, è sulla strada per proseguire verso Sagaing e a sud.

Una giovane monaca
U Bein's Bridge - Il più lungo ponte in tek del mondo. 1,2 km. Chioschi e punti di ristoro lungo il percorso. Si può andare in una direzione per raggiungere l'altra riva con le sue pagode e tempietti e ritornare in barca per avere un punto di vista differente. Molto diverso nelle varie stagioni e comunque molto fotogenico.

Questua e pasto dei monaci del Maha Ganayon Kyaung. Poco prima del ponte. Se non vi dà fastidio la folla dei turisti, arrivate comunque verso le dieci e sceglietevi un buon punto di osservazione per vedere sfilare un migliaio di monaci di ogni età, dai bimbi piccoli ai più anziani che ricevono le offerte e poi mangiano all'interno del tempio. Questo è uno dei monasteri più ortodossi del buddhismo birmano, con una famosa scuola religiosa. In fondo tutto quanto fa spettacolo.

Prima della questua

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1 commento:

Pierangelo ha detto...

La fede purtroppo e il rifugio più facile per coloro che anno poco o niente, mentre i cosidetti benestanti adorano in modo particolare il vil Dio denaro.
Complimenti ancora per il modo di descrivere e per il tuo saper osservare.

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