martedì 17 febbraio 2015

Quando te ne devi andare


Tramonto a Ngwe Saung

Ultimo bagno
Bisogna andarsene anche da qui e anche stavolta tutto appare come una maledizione. Una immensa spiaggia solitaria, sabbia bianca e fine che si sfarina sotto i piedi, palme verdi a cui che la brezza del mattino, appena appena muove le foglie, L'acqua calda in cui lasciarsi andare come un liquido amniotico, il disegno di isole lontane e tu te ne devi andare. Ogni tanto, la spiaggia allargata dalla bassa marea e percorsa dalle tracce di piccoli granchi trasparenti che corrono via al tuo passaggio, è interrotta da gruppi di rocce sulle quali la pietà religiosa ha innalzato piccoli stupa dorati, il marchio inevitabile della mentalità del paese. Neppure i raggi del sole che si alza alle tue spalle paiono avere l'aggressività del tropico, qui tutto appare dolce e tranquillo, fermo nel tempo. Un ragazzo sulla spiaggia offre un giro in moto. Un disperato tentativo di cercare almeno, prima di andarsene per sempre, di conoscerla tutta, questa spiaggia infinita di decine di chilometri, di abbracciarla tutta come fai con una persona cara che stai per lasciare ed hai la quasi certezza di non rivederla mai più. La moto corre veloce sulla battigia, lasciando una sottile striscia al passaggio. La sfilata continua di palme che celano bungalow nascosti tra il verde da un lato, mentre dall'altro il  nastro ormai azzurro carico con sfumature verdi, scorre come un video di youtube, lambendo la riva con una piccola onda timida, inconsueta per un oceano, dolce ed ammaliante al tempo stesso, prosegue per chilometri e chilometri, una spiaggia quasi deserta e senza fine. 

Sulla spiaggia
Qualcuno a cavallo che esce dal bosco. Un chiosco povero che offre bibite ad un gruppo di sedie vuote. L'aria fresca che ti sfiora le guance. Bambini nudi che giocano sulla riva. Però bisogna tornare. Bisogna andarsene via lasciando tutto questo ad altri; rifare la lunga strada che torna in città. Tra le colline ricoperte di alberi della gomma, piste di terra rossa risalgono le pieghe che il monsone scava di continuo. Un gruppo di elefanti di un campo vicino le percorrono con la lentezza cauta e ragionata dei pachidermi non affannati, tanto oggi non ci sono più foreste di legni preziosi da abbattere ed i pochi turisti che arrivano pesano di certo meno dei tronchi di tek, una fatica accettabile e meglio pagata. Li vedi scomparire dietro la cresta della collina e ti par di sentire un barrito lontano, quasi sottovoce, in definitiva soddisfatto. Il mondo cambia in fretta. Ma tra un gruppo di capanne sul canale, bandiere di festa e suoni gioiosi si levano. Un frastuono di cembali e trombette, sovrastati subito dai watt di grandi casse nere. Tutto il paese è radunato; su panche e sedie di fortuna o più semplicemente seduti a terra, una gran folla di contadini, ragazze in ghingheri e bambini in gran quantità e poi festoni colorati, tavoli e banchetti colmi di frutta, di bevande e di offerte di ogni tipo. E' una festa per augurare la fortuna a qualche famiglia del villaggio che ha pagato le spese. Al centro, alcuni personaggi en travesti, il principale dei quali interpreta il nat Lord Kyawswa, il perennemente ebbro, l'ubriacone protettore dei bevitori, che ama il gioco ed i combattimenti di galli, che presiede ogni festa e procura la fortuna materiale a chi lo onora. 

La festa del nat
Il personaggio con le guance ricoperte di rosa e gli occhi pesantemente truccati, fa il suo spettacolo, canta e interpella i presenti, cerca di coinvolgere anche il malcapitato turista, con lunghe occhiate ammiccanti e coperte di bistro. Tutti ridono a crepapelle. I grandi bacili ricolmi di maiale stufato a pezzi passano tra la gente. Te ne vai mentre la festa continua, nel piccolo gruppo di capanne perdute nella palude, tra canali e risaie del paese di acqua. Il caos della città è vicino ormai. Il traffico ti travolge. Riconosci la strada ormai, quasi che tu fossi di casa. Non è difficile, con la sagoma imponente e sempre presente della grande Pagoda che vigila come una madre protettiva tra le acque del lago. Adesso che il giorno sta finendo, già brilla il suo oro prezioso come una benedizione perenne alla città ai suoi piedi. Vuoi camminare ancora un'ultima volta tra le strade ed i vicoli di downtown, tra le bancarelle di street food odorose di fritto e di profumo d'Oriente e la folla in perenne movimento che occupa i marciapiedi. Nel cuore di Chinatown, c'è tanta gente assembrata, più ancora che durante il periodo della festa di luna piena di novembre. Si odono canti e suoni. Una strada intera è chiusa al traffico da archi di fiori e bandiere colorate. Le botteghe sono quasi tutte chiuse e la via tutta è ricoperta di stuoie su cui una massa di gente è seduta o in ginocchio, rivolta verso il fondo. Lontano, al termine della strada, un palco ricoperto di fregi e bandiere, grandi manifesti e scritte. E' in arrivo un monaco famoso, forse già santo, che sta percorrendo tutto il paese a benedire, a lanciare moniti religiosi, a distribuire ai fedeli messaggi, in definitiva a raccogliere offerte. 

Il nat Lord Kyawswa
Arriva e scende da una grande auto nera e, pur essendo giovane, appare fragile e lento nei movimenti come un grande anziano, tanto che viene accompagnato e sostenuto dai suoi adepti. Mentre tutti chinano la fronte fino a terra, viene aiutato a salire sul palco dove si accoccola su una sorta di trono di legno dorato. Enormi schermi televisivi disposti lungo il percorso rimandano il suo viso sereno e mite, anche se pensoso. Comincia la sfilata dei maggiorenti che gli porgono buste e richiedono grazie. Lui li ascolta distaccato con appena piccoli cenni del capo, mentre uno speaker con voce roboante annuncia, descrive, forse racconta storie di vita e miracolose guarigioni. Alla fine il monaco, dopo una lunga pausa meditativa, prende la parola e pronuncia un lungo discorso. Il suo eloquio cantilenante ha un tono sorprendentemente basso e la folla rimane ammutolita ad ascoltare in un silenzio quasi incongruo per un assembramento di quelle dimensioni. Proseguono le benedizioni e le preghiere a cui il popolo risponde pronunciando i mantra di rito con devozione. E' suono silenzioso e gorgogliante che attraversa l'aria come un brivido, quello che mi dà sempre la consistenza tangibile della fede cieca e senza tentennamenti, quella che smuove i grandi avvenimenti e tacita le coscienze. Cerco di andare via, estraneo capitato per caso, quasi per sottrarmi definitivamente a questo mondo. E' l'ennesimo segno. Il viaggio è finito. Domani la macchina volante, questa volta del mio mondo, ripercorrerà a ritroso la strada che mi ha portato fino a questa dimensione differente. Ci sarà tempo per meditarci sopra.


SURVIVAL KIT

Campo degli elefanti
Nell'area di Ngwe Saung, ci sono molte possibilità di snorkelling e gite in barca alle isole vicine. Ogni albergo è in grado di organizzarle, incluse le visite al vicino campo di lavoro degli elefanti a una decina di chilometri tra le colline dell'interno. Mezza giornata, circa 10$ per andare e tornare con un taxi, 5 $ l'ingresso e + 5$ ciascuno per mezz'ora nella foresta con l'elefante. Per le gite in moto lungo la spiaggia, ci sono ragazzi in motorino dappertutto che fanno la posta. Mezz'ora, 2000K. Un ora, 4000 K.




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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grand plaisir à la lecture de ton récit de voyage en Birmanie .
A bientôt le prochain .
Jac.

Unknown ha detto...

Una clessidra al non mi giri mai che tu la allarghi e strozzi a tuo piacere, scuoti quando s'inceppa di tempo da non tempo, tieni di balconata ai finti arrivi che che tu chiami ritorno e ti assomigliano sempre più a un andar via per esserci di più

Io lo fo in una stanza, maledetto vagabondo curioso e sedentario che ti legge

Enrico Bo ha detto...

@Jac - Le pays est telment beau que c'est facile de le magnifiquer! Vous le savez bien! Mais on est en train de partir!!!!

@Paolo - Treno barca o con le ali o stanza la differenza è poca, conta voglia di sognar , godere del diverso e il bello dovunque sei so appalesa.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!