Le notti africane sono sempre tranquille e buie. Questo mondo è più vicino al ritmo della natura, non tanto per volontà, ma per condizioni oggettive. Il calare del sole segna comunque condizioni di oggettiva difficoltà, le luci sono fioche, quando non scompaiono del tutto ed anche le voci tendono automaticamente ad abbassarsi. Così le attività tendono poco alla volta a limitarsi fino a chiudersi con qualche sbadiglio, inattesa che le condizioni ne consentano la ripresa. I mercati si fermano, qualcuno comincia il lungo cammino sui bordi delle strade per tornare al proprio villaggio; le donne, dopo aver pensato all'acqua, nei doveri del pomeriggio, siedono accanto al fuoco per aggiustare la cena agli uomini della famiglia, prima di gettarsi stanche su un giaciglio preparato sulla nuda terra o nel retro dei bugigattoli dove hanno offerto durante il giorno delle povere merci. Anche i rumori sono fiochi, quasi un borbottio di un organismo che ha rallentato i borborigmi che digeriscono la giornata. Il respiro della notte africana è pesante; dove fa troppo caldo avrai la dannazione altalenante tra il sudore che ti fa rivoltolare continuamente e gli insetti che la popolano, dove la quota la rendono fresca, troppo fresca, l'insaccarti in stracci e coperte non ti salverà da una tossetta catarrale continua e fastidiosa. E' ancora buio pesto quando il canto del muezzin rompe la tregua non dichiarata; dura poco, ma basta a metterti in quel dormiveglia antipatico che prelude l'attesa della prima luce rosata che colora l'oriente.
Il falegname |
Man mano che si procede verso sud le cittadine si diradano fino a scomparire, lasciando il posto a paesi o alle case sparse degli allevatori. La strada ormai è diventata una pista piena di buche che la pioggia della notte ha riempito di fanghiglia rossa. Ormai il confine con il Sud Sudan è vicinissimo, non più di una ventina di chilometri. Solo un paio di decenni fa queste zone erano quasi prive di popolazione, tranne le tribù che vivevano negli impervi villaggi della valle dell'Omo. Ora diverse aree si sono trasformate in grandi campi profughi che circondano la pista quasi soffocandola. Decine di migliaia di persone in fuga dalla guerra fuggite nella povertà assoluta, arrivando da una povertà ancora maggiore sulla quale, per buon peso, aveva su di sé anche il gravame delle violenza delle armi. Tutto questo ha creato insediamenti di baracche ammucchiate in cui la gente sopravvivendo ha creato una economia di sopravvivenza che comunque consente di vivere. L'adattabilità dell'essere umano è qualcosa di straordinario e ad ogni incrocio, ad ogni traccia di sentiero che entra nella boscaglia, vedi attività di ogni tipo che muovono merci povere e prodotti di una agricoltura miserevole. Si vende la carbonella, il carburante africano per eccellenza, la legna che fornisce il bosco, quella a pezzi da ardere e quella in lunghi pali, per fare case o elevare costruzioni. In un cortile tra le baracche dai tetti di lamiera, un embrione di falegnameria ha preso vita; tutta una famiglia è all'opera per squadrare assi, tagliare tavole e poi qualcuno che si adopera nei lavori più fini, intagliando fregi e ornati, su frontali di porte o testiere di letti.
Il mercato di Megganteo |
Lalo esamina il lavoro con interesse personale. Visti i prezzi, che sembrano piuttosto convenienti e la qualità del legno, quasi quasi prenota le sei porte che gli servono. Eh già, col lavoro di guida, qualche soldino riesce a metterlo via e la sua nuova casa sta vedendo su bene, anzi si può dire che il più è fatto, mancano appunto le porte e quando passeremo dalla sua città, ci porterà a vedere a che punto sono i lavori. A Megganteo, un po' più avanti, è il giorno del mercato del bestiame, uno dei più affollati della zona. La parte centrale dedicata agli animali, a metà mattina è ormai piena di bovini dalle corna maestose che muggiscono ammucchiati in un recinto dentro il quale si affollano i pastori proprietari ed i compratori. Li distingui subito, i primi stanno fermi in capannelli appoggiati ai loro lunghi bastoni mentre i secondi si aggirano qua e là guardando con occhio critico gli animali, qualcuno tasta i punti critici per capire se la quantità di grasso assicuri la buona salute e il valore del capo; altri sono già nella fase di contrattazione con i consueti stilemi del dispregio o della magnificazione della merce in oggetto che si accoppia subito al tira e molla del prezzo, che quando comincia a trasformarsi in numeri, già capisci che si concluderà pressappoco nel mezzo, a quella cifra a cui non bisogna mai arrivare affrettatamente pena il fallimento della trattativa. Da un lato le cose sono già concluse e occhi attenti seguono la conta delle banconote sudice e quasi illeggibili che alla fine passeranno di mano.
Pastori |
A fianco la frutta e la verdura. Questo è un mercato abbastanza povero e non ci sono neppure i banchi, ma le merci sono esposte a terra su stracci e stuoie. Le donne che arrivano dai villaggi vicini le hanno disposte in mucchietti ordinati, che anche l'occhio vuole la sua parte e la merce meglio esposta ha più probabilità di essere comprata. Fasci di canna da zucchero attirano soprattutto i bambini che ne ottengono sempre qualche pezzo da rosicchiare. Il mercato è affollato soprattutto di genti delle tribù che hanno camminato per ore nella boscaglia per arrivare fin qui e qui si mescolano in un bailamme di dialetti diversi e acconciature che ne distinguono i tratti caratteristici. Karo, Mursi, Aninak, Minat, Hamer, Nyangatom e molti altri mescolano i colori delle loro pelli, in tutte le sfumature che arrivano fino al nero più cupo, con le acconciature dei capelli, e le vesti di pelli di animali. Naturalmente quello che più colpisce sono i segni del corpo che la tradizione impone alle donne, dalle scarificazioni rituali, ai labbri o ai lobi delle orecchie enormemente deformati. Anche i capelli e gli ornamenti distinguono nettamente una popolazione dall'altra che in questi punti di incontro si mescolano sfiorandosi, ma senza avere mai un vero contatto, marcando anzi una rigida separazione etnica. Le donne si affollano di più attorno alle zone dove vengono offerte magliette, scarpe e ciabatte, oltre ai monili artigianali che qualche imbonitore mostra con il piglio di un Dulcamara da paese.
Giovane Surma |
Vanno molto le croci ortodosse, quadrate, di legno o di metallo, coi quattro bracci uguali che molte portano legate al collo con un piccolo laccio nero. I prodotti offerti sono davvero poveri e minimali, oltre a parecchio usato, rivedo i tarocchi più ingenui che potevi trovare qualche decennio fa nell'Oriente più misero. Magliette e scarpe griffate Daidas o Abidas e addirittura profumi coi nomi storpiati. Che tenerezza! Ci fermiamo a Dimma a mangiare un'injera, tanto per cambiare. Sotto la tettoia tra le sedie di plastica colorata, una panca con una tovaglietta a quadretti sostiene il gran piatto di alluminio su cui è stesa la piadina ricoperta di fagioli in salsa rossa, molto piccante, le lenticchie in salsa gialla sanno di curcuma e zenzero e sono più mangiabili, un po' meno aggressive al palato. Ancora un'oretta di pista e arriviamo a Tulkit, un gruppo di case lungo la strada principale in terra battuta che sta al centro della regione popolata dai Mursi, una delle popolazioni più interessanti della valle dell'Omo. Qui scendono in parecchi dai villaggi e un giorno alla settimana si svolge anche un affollato mercato. Di norma il paese è poco popolato e costituito soprattutto di locali, negozietti, osterie e altre attività commerciali che si sono concentrate qui proprio per servire ai tanti villaggi che sono sparsi tra le colline. Un ragazzo Surma ormai in jeans e maglietta ci accompagna per il paese, per scoprirne i punti più particolari.
La carriola |
Dai dintorni arrivano pastori isolati e uomini nudi coperti soltanto da un lungo mantello blu nel quale si avvolgono durante la notte. Il lungo bastone li identifica come allevatori anche se non sono assieme alla loro mandria, che pascola da qualche parte nei dintorni. Qualcuno ha a tracolla un kalashnikov, arma consueta da queste parti. Finiamo in un locale affollato di ragazzi giovani che bevono vino di miele e birra locale. Sono tutti piuttosto gentili e ci fanno spazio sulle panche, chiedendo da dove veniamo ed i nostri nomi. Qualcuno offre da bere. Sembra che nei prossimi giorni in paese ci sarà un combattimento coi bastoni, lo sport di questo popolo che consente ai giovani di mostrare il loro coraggio e scatenare un po' la propria aggressività, anche le ferite che vengono provocate dalle bastonate, specialmente sulle gambe possono essere piuttosto profonde e gravi. Ma nessuno si sottrae a questo rito, sarebbe davvero una cosa disdicevole e le gambe rotte non si contano. Un ultimo brindisi poi prendiamola strada della collina verso il villaggio a qualche chilometro dove è previsto di fermarci per la notte. Le nuvole sono grigie e piuttosto gonfie, se pioverà molto potremmo anche rimanere bloccati lassù. Il terreno non è permeabile e si formano subito grandi pozze di fango in cui la macchina rischia di impantanarsi. Lalo guarda il cielo con occhio esperto e assicura che non dovrebbe piovere, per lo meno non troppo. Se non lo sa lui che è di queste parti!
Mangiando l'injera |
SURVIVAL KIT
La valle dell'Omo - Questa area a sud del paese al confine sudoccidentale tra Sud Sudan e Kenia, è particolarmente isolata e priva di strutture, pur avendo un certo flusso turistico (non illudetevi di arrivare in luoghi dove l'uomo bianco è sconosciuto, dopo Bottego e da quando ci è venuta Leni Riefenstahl, la regista delle parate hitleriane a fare foto, è cominciata la processione) è area in cui bisogna avere un certo spirito di adattamento. In ogni caso è una zona che non è possibile visitare in autonomia, intanto perché non si saprebbe dove andare, i villaggi sono sparsi sulle colline e raggiungibili con piste praticabili sono con 4x4 e in ogni caso bisogna essere accompagnati da qualcuno appartenente alla tribù per essere ammessi nei villaggi. In ogni paesetto c'è una specie di ufficetto dove stazionano le "guide locali" obbligatorie. In alcuni casi è obbligatorio l'accompagnamento da parte di una guardia armata, non è ben chiaro per quale motivo, ma potrebbe essere per dare un po' di lavoro in più. Nella vasta regione vivono decine di tribù e gruppi etnici, che mantengono tradizioni antiche di particolare interesse, sia per quanto riguarda le cerimonie che le pratiche per l'ornamento del corpo, dalle pitture, alle scarificazioni o ad altre pratiche cruente e che rappresentano l'interesse primario che conduce ad esplorare questi luoghi.
Mizan - Tulkit - 170 km
Mizan - Tulkit - 170 km
Canna da zucchero |