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domenica 2 settembre 2018

Etiopia 60 - Lalo ed Abi



Il viaggio è finito e siamo lì un po' stanchi e anche chi più chi meno piuttosto acciaccati, a scaricare le valigie al terminal dell'aeroporto. Non è ancora ora di fare bilanci. Ci sono solamente le emozioni di quando stai lasciando un paese che sognavi di vedere e del quale hai goduto per un mese, ogni suo aspetto, da quelli più folcloristici a quelli di maggiore impatto naturalistico. Ma prima di tutto vengono le persone che hai conosciuto e che ti hanno consentito tutto questo, grazie al loro lavoro, allo loro esperienza, alla loro stessa passione. All'emozione dell'addio, perché sai bene che comunque di questo si tratta, si aggiunge l'empatia che hai provato con queste persone, che adesso ti stanno salutando, non dico con gli occhi lucidi, ma con quell'imbarazzo pudico di chi è stato contento di passare con te tutto questo tempo. Abi, in fondo è un professionista della guida, uno che ha dietro le spalle tanti di quei chilometri che non sa neppure più contarli e tutti su strade africane, che come minimo, mi sento di dire, contano il doppio. Ha fatto il camionista per anni e quella sì che è vita dura accidenti, con mezzi con cui non sai neanche se parti, figuriamoci se arrivi, con pneumatici che giudichi ottimi quando gli altri li buttano via, insomma una vita sulla strada.

Adesso scarrozzare i turisti, è un divertimento, lo vedi subito da come affronta la strada, sempre professionalmente attento, ma con una sicurezza che gli permette di ridere e scherzare, di cantare e seguire il ritmo muovendo busto e spalle, seguendo la sua musica preferita. Poi ad un certo punto non resiste e ripete il ritornello in falsetto, si sa, quello è la parte mogliore. E intanto tiene d'occhio quello che accade ai bordi della strada, non tanto per non mettere sotto qualche animale che scarta d'improvviso cercando di strapparsi via ilpeso del basto o del carretto o qualche bambino che si rincorre all'uscita della scuola, ma per vedere se qualche venditore offre qualche cosa di interessante, un bel fascio di qat fresco nel primo pomeriggio, con quelle foglioline verdi e tenerelle da pulire un po'prima con le dita e poi ruminare con metodo fino a farsi venire un bolo di materia da tenere nella guancia, succhiandolo a lungo prima di sputarlo via, oppure un pezzo di canna da zucchero cui strappare via coi denti, pezzi di materia tenera tra i nodi, che immagino dolcissima e masticarla a lungo di gusto per goderne il succo. Altre volte invece rideva di soddisfazione quando trovava una venditrice che assieme ai manghi maturi od alla gialla manina di banane, aveva anche una anona, frutto raro e delicato, ma così ricco a suo dire di proprietà straordinarie o di sacchetti di orzo tostato o pop corn da sgranocchiare durante i lunghispostamenti. 

E poi su è giù dal tettuccio a caricare bagagli o a calare ruote che perennemente si sgonfiavano a causa di qualche negligenza del gommista e intanto sempre lì a buttare un occhio in giro che non ci fosse niente di strano o di pericoloso. Una persona davvero piacevole il nostro Abi, specialmente quando si cingeva la testa col la sua bandana gialla da pirata che col nostro Lalo si capiva senza parlare, un sodalizio lungo che dura nel tempo e per la verità, anche con noi si capiva benissimo pur conoscendo soltanto qualche parola di inglese. Anche lui, Lalo, oggi sembra avere l'occhio un po' lucido mentre ci saluta e ci abbraccia, certo di avere dato tutto il possibile perché noi fossimo soddisfatti del nostro progetto; lui, guida informata che vuole farti conoscere soprattutto l'anima della sua terra, la diversità e l'essenza delle tante tribù che vedi durante il percorso, perché lui stesso è orgogliosamente uno di loro e ogni volta che percorre le loro piste, i loro sentieri, ogni volta che arriva in uno dei loro villaggi, si sente a casa propria e vorrebbe che diventassero anche casa tua, in modo che tu possa sentire di più dell'emozione di qualche immagine pagata o di un piattello di terracotta da portare a casa e riporre in un cassetto. Vorrebbe che tu ti trattenessi nello zaino l'orgoglio delle loro tradizioni, la fierezza delle loro donne che non sentono il dolore, la bellezza delle loro pelli dipinte o decorate dalle ferite. 

Lui, visitatore egli stesso di quella parte della sua terra che meno conosce, stupito della sua bellezza e della sua storia, incredulo dell'infinito orizzonte dei deserti, dell'acqua così salata che ti fa galleggiare, del rosso dei vulcani, dei colori innaturali dei campi sulfurei, delle cerimonie coinvolgenti a cui la sua stessa devozione rende grato il partecipare. Lui, imprenditore di se stesso che progetta grandi cose, che dove tu noti soltanto povertà e miseria, vede opportunità per chi si dà da fare e ha idee, mentre la sua casa cresce sulle collinne di Jinka, dove già si sente qualcuno, ma dove forse domani sarà senz'altro qualche cosa di più. Lui che sogna una famiglia, con una donna che sappia il fatto suo e gli sia di aiuto nella costruzione del suo progetto. Insomma un ragazzo che possiede delle qualità, ma anche molto cuore e lo vedi subito da come tratta le persone che incontra, da come si rapporta con i bambini che lo circondano, ammirati, da come lo sorpendi ogni tanto pensoso, seduto all'ombra di un albero, forse a sognare il suo futuro. Una persona con la quale puoi dire di essere stato bene e che puoi con buona ragione considerare un amico. Questo senti dopo l'abbraccio di rito, mentre attraversi le sliding door del terminal, che ti immettono nel tuo mondo e lui e Abi ti salutano, dal loro, un'ultima volta con la mano. Grazie Abi. Grazie Lalo.



SURVIVAL KIT

Lalo Tours Ethiopia - 1058 Jinka - Tel  +251 91 336 3077   -
Email: lalotravel@gmail.com
https://www.lalotoursethiopia.com/

Lo trovate su Facebook come Lalo Dessa e poi cercate di contattarlo soprattutto con whatsapp che per lui è più semplice. Vive a Jinka (capitale dell'Omo Valley) e ha l'ufficio ad Addis.

Spiegategli le vostre esigenze in termini di livello di alberghi, eventuali pernottamenti in tenda, trekking, luoghi che non volete perdere e le cose che volete vedere, la vostra disponibilità di giorni e periodo di viaggio e poi discutete le proposte che vi farà, proponendo magari voi un itinerario di massima. Discutete il prezzo e ricordate che lui potrà fornirvi anche tutta l'attrezzatura necessaria al viaggio, tende, materassini, acqua ecc. Di norma, stabilito il tutto chiede un acconto del 5% circa, con pagamento del giro completo all'arrivo ad Addis o a Ginka.





sabato 1 settembre 2018

Etiopia 59 - Un giorno ad Addis Abeba


Lustrascarpe


Museo etnografico
Ma sì, confermo che la vista di quello che è rimasto dello scheletro di Lucy mi ha davvero emozionato e quindi rimanersene seduti per una decina di minuti nel giardino del museo, che al contrario del museo stesso, sembra puttosto curato, con una schiera di giardinieri e giardiniere che si rincorrono con le palette e le scope in mano, ti lascia il tempo di riflettere un po' sull'argomento, mantre aspettiamo Lalo che è andato a fare una commissione. Quando arriva, però, bisogna filar via velocemente che in fondo il tempo per vedere le cose più importanti di Addis è poco. Dunque eccoci al Museo Etnografico dell'Università che occupa quasi due piani del palazzo che già fu dell'imperatore Hailé Selassié e poi di Graziani durante l'occupazione e bisogna ricordare che fu proprio dopo un fallito attentato proprio in questo palazzo, che si scatenò la cosiddetta Strage di Addis Abeba che in tre giorni provocò migliaia di morti ed altrettante case date alle fiamme, dopo di ché la strage continuò in tutto il paese, in uno dei più selvaggi tentativi di genocidio possibili e per fortuna possiamodire che nel bene e nel male noi italiani non riusciamo mai a concludere niente, fino alla fine. Questo palazzo ha assunto dunque anche per gli avvenimenti successivi, con il colpo di stato del 1960, una notevole importanza storica per il paese. 

Hotel Taitù
A parte l'interessante parte agiografica dedicata all'imperatore ed alla sua famiglia, particolarmente importante dal punto di vista artistico è l'esposizione di un gran numero di icone di tutti i periodi storici del paese; la penombra dalla quale ti fissano i grandi occhi dei santi e delle madonne ha qualche cosa di magico. Un bello spazio poi, è dedicato anche alla figura della famosa regina Taitù, moglie dell'imperatore Menelik II, una figura celeberrima anche durante il ventennio. Mi rimane il netto ricordo di mia mamma che, parlando di  una vicina che esibiva spesso toilette ricercate, diceva sottovoce: "Isa, as vistìss cmè la regina Taitu, sa ca sas crëd d'esi!" (quella si veste come la regina Taitù, cosa si crede di essere!). Di certo fu una figura storicamente rilevante, opponendosi all'arrivo dell'occidente e della modernizzazione che arrivava prepotentemente dall'Europa. Si dice che fu lei in persona a curare le versioni del trattato di Uccialli, in cui nella parte italiana, l'Abissinia accettava di diventare protettorato, mentre nella versione in Amarico, si diceva l'esatto contrario, cosa che divenne poi il pretesto per la guerra che si scatenò sucessivamente. Sembra che avesse un'influenza decisiva sul marito, contraddicendolo spesso in occasioni ufficiali, tanto che un'altra espressione italiana per indicare un uomo debole ed inetto, era a tempi: Sembra il marito della regina Taitù. 

La hall dell'Hotel Taitù
Inoltre divenne regina solo dopo quattro precedenti matrimoni falliti e dopo la battaglia di Adua, passò la leggenda che si aggirasse personalmente sul campo di battaglia a castrare i soldati italiani morti e feriti. La demonizzazione del nemico è cosa comune a tutte le epoche. Insomma un personaggio mica da ridere. Tanto per rimanere in tema, un'altra visita interessante è quella dell'Hotel Taitù, che ha sede nella cosiddetta Piassa (nome rimasto, assieme a diversi altri), che fu anche nel 1907, il primo albergo della città, costruito appunto per volere della regina per ospitare gli stranieri. Ricostruito dopo un incendio, l'albergo rimane comunque un interessante esempio della architettura dell'epoca, in stile coloniale, con ampie verande dove si respira ancora un'aria di altri tempi. Fermarsi al ristorante rappresenta un tuffo nel passato. Una pianista attempata suona in continuazione,su un piccolo piano nero, sempre lo stesso motivo malinconico, che fa da sottofondo. Ha una pettinatura elaborata anni trenta e grandi orecchini d'oro, ma lo sguardo triste e dimesso. Improvvisamente si ferma, mentre un tizio con cappello e sigaretta penzolante tra le labbra le si avvicina, si appoggia al pianoforte e le dice qualche cosa; lei lo guarda con occhi languidi, sembra la sceneggiatura di un film, gli attori non potrebbero essere più bravi. 

Al mercato
Il parquet sul pavimento è di certo d'epoca, completamente consumato e molte appliques che vedi in giro stanno cadendo a pezzi. Intanto le cameriere si aggirano con fare stanco a raccogliere le ordinazioni; gli stessi clienti hanno un'aria antica. Bisogna dire che ogni cosa è perfettamente intonata e tutta questa sensazione di inarrestabile decadenza retrò, sembra costruita appositamente come il set di un film di spionaggio. Però accidenti le lasagne sono buonissime, sarà che è un mese che buttiamo giù injera e lenticchie! Ma la visita più classica ed imperdibile è quella del Merkato, anche questa è una denominazione che abbiamo lasciato noi. Ovviamente la sensazione è quella di una grandisima confusione, soprattutto se cerchi di penetrarlo in macchina, come abbiamo fatto noi. Comunque la parte coperta, che comprende anche una serie di banchetti con i famigerati souvenir per turisti è anche la meno interessante, false icone, riproduzioni di croci e altri oggetti religiosi, qualche cosa delle tribù, scialli da preghiera e compagnia bella. Fuori invece c'è una confusione pazzesca, con un trafico convulso di uomini e mezzi che si spostano trasportando ogni cosa da e per il mercato stesso. Come sempre puoi apprezzare il colore della parte alimentare con carni, pesce, frutta e verdura. Però bisogna dire che hai la sensazione che circolino un sacco di brutte facce e le incitazioni a stare attenti al portafoglio da parte di Lalo, potrebbero anche avere un senso pratico. 

San Giorgio
Insomma un bel giro di colore africano, tanto per dare completezza alla nostra esperienza etiope. Intanto finalmente è venuta l'occasione di acquistare il famoso caffè che poi costa attorno ai 90 birr al mezzo chilo e già che ci siamo proviamo anche il famigerato infuso di moringa, l'albero della salute, panacea di tutti i mali, avrete notato che ogni paese del mondo ne propone una tutta sua. Poi in accordo al fatto che la religione è uno dei punti cardine dell'Etiopia, bisogna visitare almeno un paio degli edifici religiosi più importanti. La chiesa di San Giorgio, è interessante, intanto per il suo piccolo museo, che contiene i consueti pezzi religiosi antichi, mentre il custode vuole fare riferimento continuamente al passato italiano, cercando di non affondare troppo il coltello sulle parti più cruente  degli eventi, appena saputa la nostra nazionalità. L'edificio è stato costruito naturalmente da un architetto italiano, come si nota bene dalle sue linee tardo rinascimentali ed ha il suo principale interesse nel fatto che fu fatto erigere dall'imperatore Menelik II nel 1896 per festeggiare la vittoria di Adua sull'esercito italiano e tutto nell'edificio vuole ricordare questo fatto storico, inclusi i grandi affreschi che raffigurano la battaglia ed il trionfo imperiale, tra l'altro unico esempio di guerra vittoriosa da parte di uno stato africano contro le potenze colonizzatrici. 

Gli affreschi sulla battaglia di Adua
Inoltre viene sottolineata sempre la generosità mostrata dall'imperatore sui prigioneri vinti che vennero liberati senza condizioni e rimandati a casa dal porto di Massaua, in contrasto con le crudeltà della parte italiana. Diciamo un monumento di chiara valenza politica, tanto è vero che durante l'occupazione del 37 fu subito data alle fiamme dagli squadristi. Insomma la visita della capitale è soprattutto un ripasso della storia dell'ultimo secolo e del rapporto contastato tra i nostri due paesi. Rimane dunque l'edificio più importante da vedere, la cattedrale della Trinità, edificata all'inizio del secolo scorso in legno e poi nel '31, sostituita dall'attuale in muratura, che fu poi terminata nel 44 e dedicata ai martiri delle stragi compiuti dagli italiani. L'edificio è davvero imponente con tre ampie navate ed una grande cupola, che stranamente presenta una pianta a croce latina classica, con il fondo mutato successivamente ad iconostasi ortodossa ed è circondato da un famoso cimitero in cui sono seppelliti i personaggi più illustri del paese, inclusi i resti di molte vittime della strage di Addis Abeba e dei militari giustiziati durante il golpe comunista del '60. Mentre arriviamo sul sagrato è in corso la cerimonia funebre di un importante religioso, a cui partecipano i personaggi più in vista della città, con gran sfoggio di macchine dilusso e di vestiti da cerimonia importanti. 

La tomba di Hailé Selassié
Tutto si svolge all'esterno dell'edificio ed anche i preti officiano al di fuori della porta della chiesa stessa. Molti piangono, ma la cerimonia è ormai giunta al termine e quando la gente comincia a sfollare riusciamo ad entrare nella chiesa che comunque era già vuota. Un prete ci accompagna a vedere, come di consueto, gli oggetti sacri più importanti e la tomba di Hailé Selassié e della moglie, due imponentissimi sacrari in marmo scuro, mentre le altre tombe della famiglia sono racchiuse nella cripta sottostante. Dopo un'occhiata al piccolo museo contenente le consuete antichità storiche e religiose, è venuto il momento di ornare in albergo, caricare le valigie e fare un'ultima sosta alla vicina gelateria, quasi volessimo assaporare già il gusto di casa, ma anche per spendere gli ultimi birr prima della solita lunga e fastidiosa attesa in aeroporto. Stai lì sulle scomode sedie del'aerostazione, che alla partenza non sembravano affatto così scomode e non senti più l'eccitazione dell'arrivo, ma soltanto la molle accettazione del ritorno. L'adrenalina si è scaricata completamente, adesso viene il tempo di ragionarci su e di mettere insieme i cocci dell'ultima esperienza maturata per farne un bel ricordo, da portare con sé per sempre. Da domani tiriamo le somme. E intanto è arrivato anche il momento per fare i progetti per una nuova meta. Il mondo è così grande!

Cerimonia funebre


SURVIVAL KIT
Al mercato


Museo etnografico - Piazza Hailé - Detto anche Palazzo Guenete Leul, contiene una serie dei reperti esposti è davvero interessante, a partire da un gran numero di oggetti sacri antichi, di icone splendide ed una bella collezione di strumenti musicali. Inoltre molto spazio è dedicato alla figura dell'ultimo imperatore di cui viene conservata in buono stato la camera da letto. Una visita consigliata e molto intressante.




Case in perenne costruzione


La moschea
La cattedrale
Il cimitero
Un prelato

giovedì 30 agosto 2018

Etiopia 58 - Il museo nazionale di Addis Abeba


Salem


Aspettando la colazione
Beh non dico che adesso che siamo nella capitale, dopo un mese di giringiro, come diceva Crocodile dundee, mi senta come a casa, ma poco ci manca. E’ ancora chiaro e prima che faccia buio, voglio proprio andare a provare quella gelateria italiana che avevamo adocchiato al nostro passaggio di metà strada. E’ proprio di fianco all’albergo e sembra un localino davvero simpatico. Salta subito fuori la proprietaria italiana, che però è nata ad Addis Abeba da genitori italiani e sposata con un altro italiano, ha messo su questa attività che sembra vada piuttosto bene, tanto è vero che questo è già il secondo locale in città. Di gente ne entra parecchia e si vede che sono tutti piuttosto di buon livello, d’altra parte i prezzi sono abbastanza internazionali e la parte meno fortunata della popolazione non se li potrebbe permettere. Intanto che si chiacchiera ci mangiamo un bel gelatone, che, sarà che abbiamo un mese di astinenza nella pelle, sarà che è davvero un bel prodotto artigianale, ma c’è davvero da leccarsi i baffi. Insomma dobbiamo davvero fare i complimenti alla signora, che gongola con evidenza, niente da invidiare alla roba nostrana e dire che noi siamo piuttosto bene abituati e intanto ce ne andiamo a sistemare la valigia che domani si parte. Alla sera, un ultimo salto al ristorante dell’albergo per tentare di mangiare l’ultima, si spera, bistecca-suola della serie e dopo aver appurato che il giro del nord del paese ha macinato 3580 km netti, ce ne possiamo anche andare a nanna. 

Lucy
Ci si sveglia riposati a questo punto forse per il fatto che hai sottopelle l’adrenalina della partenza. Sia come sia, quando è l’ora di tornare a casa, è pur vero che c’è la sottile malinconia degli addii, del dover lasciare delle persone ed un paese di straordinario interesse nel quale cominci quasi a sentirti a tuo agio, ma al contempo c’è anche quella voglia di tornare, unita alla sensazione che quando una esperienza è finita, non vedi l’ora che si chiuda rapidamente. Insomma, colazione in un localino dove fanno spettacolari frullati di papaya e uova strapazzate per cominciare bene la giornata e poi via al famoso museo nazionale, dove sta ad aspettarci la nostra antenata, l’ava di tutti noi, trovata lì nel fango mentre camminava per spostarsi verso nord, forse per cominciare una di quelle migrazioni che poi sono diventate una delle caratteristiche che ha diffuso la nostra specie su tutto il pianeta: Lucy. Sono soltanto poche ossa in una teca male illuminata, eppure che straordinaria suggestione ti arriva da questo ominide, Australopiteco afarensis che 3,2 milioni di anni fa muoveva passi incerti in posizione eretta, in quella depressione dove io, pochi giorni fa camminavo nello stesso modo, con la stessa affannosa fatica, incerto e timoroso di inciampare ad ogni passo. Dove andava Lucy quando l’inondazione la colse, assieme alla sua famiglia, seppellendone le ossa per così tanto tempo? E ce n’erano tanti altri come lei che si muovevano laggiù, nella culla dell’umanità, in un clima certo diverso, tra alberi e paludi, con quel piccolo cranio, dove però già si muoveva la scintilla di un’intelligenza superiore che avrebbe continuato a crescere implacabilmente. 

Ardi
A qualche centinaio di chilometri più a sud, in Tanzania, in una altra gola, vicino al cratere di Ngorongoro, sono state trovate orme di un altro gruppo di Australopitechi in marcia verso nord, sorpresi forse da un’eruzione. Le vidi qualche anno fa ed il calco dei piedi di Lucy si adattavano perfettamente a queste orme lontane; che tracce straordinarie del nostro passato! Nella teca vicina giace invece Salem, un bimbo ritrovato 26 anni dopo, uno scheletro quasi completo di 120.000 anni più antico ancora, un altro tassello a dimostrare che la razza umana è una sola, se ancora ce ne fosse bisogno, un ceppo unico da cui siamo poi venuti tutti. Fa tenerezza al vederlo così piccolo e indifeso, esposto a guardarti con le occhiaie vuote del suo cranio quasi intatto, forse vorrebbe formulare un giudizio su tutto quello che è avvenuto dopo di lui. Certo allora i suoi soli bisogni erano quelli di sopravvivere per moltiplicarsi, non aveva tempo e possibilità di immaginare quale sarebbe stato il futuro della sua specie. Il ritrovamento di Lucy, che tra l’altro ha preso il nome, pare dalla famosa canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds che suonava in continuazione nel campo degli antropologi in cerca di ossa, fu un evento epocale in quel 1974, girò per il mondo per quasi quarant’anni e ritornò a casa soltanto nel 2013. Era alta poco più di un metro, già piccolina anche per la sua specie e morì verso i 18 anni, forse di sfinimento, sulla riva di quella che era una palude e, abbandonata dai suoi, fu sepolta dal fango prima che i predatori ne spargessero le ossa intorno. 

Il Museo nazionale
Di certo aveva già avuto figli e il suo DNA ha così viaggiato nella storia dell’uomo contagiando con la sua presenza postuma, tutta la terra. La sala sotterranea del museo è quasi avvolta dalla penombra delle luci fioche che provengono dalle teche, ma questo piccolo essere giganteggia, imponendo la sua presenza a tutti coloro che arrivano fin qui a renderle l’omaggio che merita. La sua forza incredibile e quella di Salem che l’ha preceduta e quello di Ardi, l’altro compagno che giace a pochi metri da lei, esce dal sotterraneo e guarda il mondo che la circonda, il suo mondo, quello che lei e la sua piccola insignificante tribù di ominidi, hanno contribuito a creare. Senza di loro, nulla di quello che ci è intorno in questo momento, sarebbe stato possibile. Nulla avrebbe importanza, non ci sarebbe nessuno a discutere di migrazioni, di giustizia, di libertà, di dei e potere. Non ci sarebbero re e schiavi, direttori e servi, preti e fedeli. Sono soltanto dei minuscoli giganti di un metro, sulle spalle dei quali noi, piccoli nani, riusciamo, dopo milioni di anni a vedere un pochino più lontano, tante cose strane e diverse che allora tra le felci e le erbe alte della palude non si potevano ancora immaginare nemmeno con la più fervida fantasia. Nulla, solo spazio senza fine, senza rumore e senza parole. Nulla, come nulla di importante oltre a questo ti appare se continui a girare nelle altre sale di questo edificio, dopo aver salutato Lucy ed i suoi compagni.




SURVIVAL KIT


Gelateria Ice Dream - Queen Elizabeth Str. - Di fianco all'Hotel Green Valley - Ottima gelateria italiana artigianali. Sembra faccia arrivare i prodotti dall'Italia. Qualità eccellente, ben frequentata, a prezzi quasi italiani (40 birr la pallina). Un intermezzo assolutamente piacevole se vi viene la nostalgia di casa.

Al parcheggio
Museo Nationale dell'Etiopia - King George VI str. - Un museo che oltre agli emozionalmente straordinari reperti degli Australopitechi ritrovati nel triangolo degli Afar, ha ben poco altro da mostrare, anche per la povertà assoluta delle modalità espositive. Tuttavia proprio per questi ritrovamenti di assoluta importanza storica e culturale, rimane una visita imperdibile. Gli scheletri sono al piano sottoterra mentre negli altri tre piani, vari reperti della storia più o meno attuale del paese, inclusa una esposizione di tele recenti di dubbio interesse, ma che possono rappresentarvi la tendenza della pittura etiope moderna.





Nel giardino del museo
Verso il centro

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