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| Le mura di Qaraqorum - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi) |
Anche la strada ed il paesaggio sono decisamente cambiati, man mano che si procede verso nord infatti, il terreno diventa più ondulato, le colline si alzano ed i pascoli sono più ricchi, il verde più intenso, il bestiame più frequente così come i gruppetti di gher bianche che li punteggiano. Hai subito la sensazione che ci sia più vita in giro e quasi scompare la sensazione di desolata solitudine che dà il deserto, specialmente quando non è fatto di scenografiche dune dorate, ma è una semplice steppa piatta come una pelle spelacchiata e rugosa di un vecchio malandato. Invece questa terra verdissima ti dà un rallegrante senso di vita, anche se la totale mancanza di alberi ne sottolinea la diversità. Sarà che abbiamo risolto un problema, sarà che l'asfalto sotto le gomme, sia pur meno romantico e avventuroso, è tanto più comodo, visto che i chilometri da percorrere sono tantissimi, ma procediamo finalmente allegri e fiduciosi. Il nuovo autista, al contrario di Nyamkaa, parla molto, ma dato che sa esprimersi solo in mongolo, non capiamo assolutamente nulla di quello che ci dice ed è quindi assolutamente inutile fargli domande o chiedergli spiegazioni sull'itinerario, tanto neppure lui ci sta ad ascoltare. A domanda specifica, annuisce vigorosamente, poi risponde a caso e, per lo meno dalle parole che riusciamo ad afferrare, si riferisce ad altro.
Così arriviamo finalmente a Kharakhorum, in pratica l'esatto centro del paese. Il luogo ha una grande importanza storica essendo stata la capitale dei Khan fino a quando Kublai Khan (quello di Marco Polo), non trasferì la corte a Cambaliq, l'odierna Pechino. Qui invece è arrivato anche il francescano Giovanni da Pian del Carmine nel 1246 e pochi anni dopo, un frate fiammingo, Guglielmo di Rubruck, ne racconta le mura quadrate ed il palazzo regale, posto al centro, di legno e con cinque maestose navate. Certo che allora la gente ne faceva di strada, massimamente a piedi! Tuttavia quando la stella dell'impero mongolo tramontò ed i Ming fecero fuori la dinastia Yuan, la città fu distrutta nel 1388, ma le mura rimasero, seppure in rovina. Certo che i Cinesi se l'erano legata al naso quella dominazione mongola durata oltre cento e cinquanta anni e non gli era parso vero di riuscire ad invadere proprio le terre dei ferocissimi guerrieri Nu, che li avevano terrorizzati per secoli, con le loro continue invasioni e contro i quali era stata costruita la ciclopica quanto inutile Grande muraglia. Così la distruzione fu quasi completa e su questa area sorse alla fine del 1500, con la diffusione del buddismo, il monastero tibetano di Erdene Zuu, utilizzando le pietre della città semidistrutta, all'interno delle mura stesse, arricchite lungo tutto i perimetro quadrato da 108 stupa bianchi, il numero dei grani del rosario tibetano.
Il luogo divenne così una vera e propria città templare, come le molte sorte in Cina nel periodo dell'espansione tibetana e vide la costruzione all'interno della cerchia, che è di circa 400 metri di lato, di centinaia di edifici e decine di templi, che giunse il suo apice nell'800. Poi nella grande epurazione del 1939, furono uccisi migliaia di monaci e le costruzioni distrutte in massima parte. Pare che addirittura Stalin in una sua visita, impose di conservare il rimanente, che diventò quindi museo prima di essere restituito ai religiosi negli anni '90. Ci arriviamo dopo aver passato di qualche chilometro la vicina città di Harhorin ed effettivamente la cerchia di mura bianche che ti si pone davanti sullo sfondo delle montagne verdi, ha un bell'impatto. Certo, intorno c'è il consueto ambaradàn del turismo orientale, con annesso centro visitatori, locali, ristoranti e banchetti, oltre ai figuranti con le aquile in braccio in posa per le foto a pagamento, ma che ci vogliamo fare, se oggi i viaggi sono diventati di massa e, grazie a questo, tutti se li possono permettere a prezzi accettabili, senza essere esploratori che hanno dedicato la vita a queste cose, bisogna accettarlo, anche se qui si aprirebbe un lungo discorso. Sicuramente arrivare qui dal deserto e trovare tutto questo sito isolato e remoto, magari coperto da un velo di neve, sarebbe una emozione straordinaria.
Ma altrettanto certamente, se così fosse, non saremmo nelle condizioni di permettercelo e neppure di farlo, viste le ovvie difficoltà che sorgerebbero ad organizzarlo. Dunque contentiamoci di spartire l'emozione con i gruppi di Cinesi e Coreani che si bardano da antichi mongoli, con pellicce e cimieri variopinti, in posa per le foto di rito e percorrono gli spazi interni della cittadella con passo marziale, da conquistatori, brandendo sciaboloni e mazze ferrate. In effetti entrare dalla grande porta rimane comunque una esperienza emozionante. In fondo stai percorrendo la strada calcata da Temucin quando si avviava alla conquista del mondo, in groppa al suo cavallo, seguito da un'orda di guerrieri invincibili, bardati da corazze fatte di strati accoppiati di seta, che risultando impenetrabili alle frecce, li facevano credere immortali, visto che, se colpiti, cadevano di sella e prontamente ci risalivano. La resistenza di questo materiale è infatti davvero incredibile e forse non sapete che l'imbottitura dei moderni giubbotti antiproiettile è fatta con lo stesso materiale, ricavato dai bozzoli fallati, distesi e messi uno sull'altro a formare uno spessore leggero ma resistentissimo.
Li vidi produrre in una fabbrica di Su Zhou, qualche anno addietro e non credevo ai miei occhi, ma questa è una tradizione inventata 800 anni fa e che ancora funziona oggi. Ma noi continuiamo la nostra passeggiata all'interno della cerchia delle mura, passando da un tempio all'all'altro, quelli rimasti naturalmente. Qualcuno è stato trasformato in museo ed espone una bellissima serie di tankhe ottocentesche ed anche più antiche, oltre a molti oggetti devozionali del buddismo tantrico. Nel tempio centrale, la statua del Buddha del presente è una delle più belle e ricche che potrete ammirare in Mongolia. Ovviamente l'atmosfera non è particolarmente raccolta, visto il molto pubblico che si aggira nelle sale, ma basta uscire nel vasto spazio interno della cote, che ricordo è di 16 ettari od oltrepassare la porta posteriore della città, per allontanarsi di un poco nei prati circostanti. perché la massa scompaia a poco a poco e la sfilata degli stupa bianchissimi, forse sono stati ridipinti di recente, che spiccano sullo sfondo verde smeraldo che li circonda, è davvero impagabile. Le punte aguzze spiccano contro le alture lontane, le nubi bianche sul cielo indaco, ricordano gli sfondi degli affreschi delle pareti dei templi.
Ma la devi prendere con calma, perché comunque siamo a 1500 metri e l'affanno che senti se cammini troppo in fretta, non è l'emozione, ma l'altitudine. Bandierine colorate, qualche monaco salmodiante raccolto in preghiera, pinnacoli dalla punta dorata, occhi di Buddha che ti osservano, qui senti chiaramente di essere in una terra dai sentori tibetani e comprendi il legame forte che ormai c'è tra Mongolia e Tibet, al di là di una parentesi sovietica che non è certo riuscita ad intaccare questa tradizione secolare. Bisogna considerare che gli aspetti e le tradizioni religiose, hanno comunque quasi sempre una prevalenza culturale sulla storia di un paese e dei popoli che lo abitano. Noi intanto, mangiamo qualche cosa ai banchetti considerando che siamo andando avanti a biscotti da ieri mattina e continuare a filosofeggiare non riempie le pance che cominciano a brontolare e poi è ora di andare, anche perché sono le 11 passate e siamo quindi in ritardo di oltre mezza giornata, considerato per questa sera bisognerebbe arrivare al lago di Hovsgoi Nuur, l'altra meraviglia naturalistica mongola, all'estremo confine nord con la Siberia. Quando cerchiamo di farlo capire all'autista, si mette a ridere, anche se noi non ne capiamo il motivo. Almeno per adesso.





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