venerdì 26 novembre 2010

Matofobia o matofilia?

Il prossimo Carnevale della Matematica si terrà il 14 dicembre su Matem@ticaMente di Annarita. Il tema è interessante, soprattutto quando senti da parte di molti su questo argomento, un chiamarsi fuori sdegnato. Ah io, il cassetto dei numeri ce l'ho sempre avuto chiuso! Eppure se andiamo a dare un occhiata nei nostri ricordi, si trova sempre qualche cosa che giustifichi un andamento ondivago tra i due estremi, fino a che, non si sa bene quando, è scattato qualche cosa che ha fatto saltare definitivamente il fosso verso una delle due trincee, in cui barricarsi per il resto della vita. Anche a me credo sia successa la stessa cosa. E' cominciato tutto alle Medie, dove ero caduto nelle mani di una professoressa di altri tempi: la famigerata Signorina Trucco. Era costei una vecchina (così almeno mi sembrava) piccolissima e minuta, direi alta come noi ragazzini. Sempre vestita di nero arrivava, temutissima, davanti alla porta come un fantasma ed immediatamente il chiacchiericcio fanciullesco si chetava. Un vento gelido attraversava l'aula mentre noi, in piedi (almeno mi sembra, ma il tempo può essere bugiardo) attendevamo che scalasse la cattedra da dove ci dominava dall'alto con occhio indagatore. Parlava a voce bassa in un silenzio perfetto, riempiendo la lavagna velocemente con un cancellino nella sinistra ed il gessetto che strideva.

Era rigorosissima e ci impartiva (questo è proprio il verbo adatto) lezioni perfette e precise, pretendendo l'esecuzione puntuale di montagne di espressioni che ci facevano riempire pacchi di quaderni e che dovevano essere risolte in modo ordinato e combaciare sempre col risultato con il libro. Non c'è dubbio, in quel periodo temevo la materia come non mai, però la terribile Signorina (che in realtà era poi buonissima e alla fine dell'anno anche generosa nei voti e che, tanto per dire, in tutto il suo tempo libero si occupava a tempo pieno dell'ultimo orfanotrofio rimasto in provincia) mi aveva inoculato un qualche tipo di germe misterioso che dentro di me si moltiplicava invadendo irrimediabilmente i miei pochi e deboli neuroni e insinuandomi quella sottile voglia di trovare la soluzione dei problemi, che ti fa isolare dal mondo quando a tutti i costi vuoi finire un Sudoku difficile e niente riesce a farti posare quella maledetta matita fino a che non sei arrivato in fondo. Infatti col tempo direi che ho a poco a poco abbandonato la parte oscura della forza e mi sono appassionato, sempre con moderazione naturalmente come si confà a noi tuttologi.

L'ultimo combattimento con Dart Fenner per risucchiarmi nel vortice della fobia, avvenne nel mio tentativo di diventare ingegnere. Lo scontro con il capitolo I Rotori di Analisi 1 e il mio esame di Geometria 1 col prof. Longo che si puliva l'interno dell'orecchio con un pezzo di carta arrotolato, strappato con disprezzo (o commiserazione) dal mio scritto, mi furono quasi fatali e per poco l'odio definitivo non prevalse. Il 30 e lode di analisi dell'anno successivo a Scienze Agrarie (di altro livello ovviamente) mi riappacificò con la materia, ma il salto della quaglia definitivo lo diede, credo, la rubrica di giochi matematici di Martin Gardner su Le scienze, che girava come una Bibbia nel nostro alloggio di studenti assieme al Mondo di Pannunzio. Eh sì, possiamo dire che da allora mi sono iscritto definivamente alla congregazione dei Matofili (con moderazione, naturalmente).


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9 commenti:

Giuseppe ha detto...

Sembra che la signorina Trucco ti abbia lasciato un ricordo di quelli che lasciano il segno.

Lara ha detto...

Ciao Enrico, sei finito fra i primi sui motori di ricerca :))
Lo so perché, prima di leggere il tuo post, sono andata a cercare la parola "matafobia" ...
Ecco cosa ne dice Wikipedia:

"Il termine matofobia deriva dalla fusione delle parole matematica e fobia e, quindi, il suo significato è proprio paura della matematica, ovvero antipatia per la disciplina. In realtà, data la radice greca della parola matematica (máthema, ovvero apprendimento), il termine può essere inteso in senso più ampio come paura per l'apprendimento.

Il matematico sudafricano Seymour Papert afferma che tale fobia ha una natura sociale e nasce durante l'istruzione scolastica. Infatti, i bambini nascono con una grande voglia e capacità di imparare e le difficoltà di apprendimento, in relazione a qualsiasi disciplina, non nascono spontaneamente, ma vengono anch'esse indotte nell'allievo. Si assiste quindi allo slittamento dalla matofilia alla matofobia, ovvero l'allievo che amava l'apprendimento e la matematica, successivamente riesce a temerle entrambe...."
Tu questo lo sapevi di già, io no.
Così, grazie a te, non solo ho imparato un nuovo vocabolo, ma ho anche capito che cosa mi è successo:
mai avuto una signorina Trucco tra tutti i miei insegnanti :(
Grazie!!!
Lara

Sandra M. ha detto...

Veri MAESTRI sia nella loro materia che "di vita", cioè, gusto per il lavoro e la fatica ricompensati dai risultati. Ce n'erano parecchi un tempo. Io ne ho avuti un paio. Luigi Amorth (sì, il fratello di...) meraviglioso prof di Italiano e Storia alle sueperiori, e la prof Cesarina Solieri di Filosofia sempre alle superiori. Quest'ultima fulminava con lo sguardo; se, all'inizio dell'ora , avevo in mano una matita la tenevo sospesa tutto il tempo: appoggiarla sul banco poteva fare rumore .Parlava di filosofia in modo da affascinare ...mai studiato, imparavo tutto ascoltando lei.
Ce ne sono ancora? Penso di sì, voglio sperare di sì...

Enrico Bo ha detto...

@Giuse - Davvero! come molti altri prof. me li porterò dietro per tutta la vita. L'insegnante è una figura chiava per lo sviluppo umano, vederli così poco considerati è cosa che fa male.

@Lara - Credo che sia per lo scarso uso della parola stessa ;)))

@Sandra - Ce ne sono, per fortuna ce ne sono...

Ambra ha detto...

Ciao Enrico.
Piacevolissimo questo tuo post e le sue diquisizioni colte.

Enrico Bo ha detto...

@Ambra - Grazie, ma colte mi pare un po' azzardato.

Anonimo ha detto...

Molto interessante e significativo il tuo articolo! Complimenti!
maria I.

Marco ha detto...

Ciao Enrico.
Non potevo non leggere il tuo contributo al carnevale, soprattutto dopo il tuo commento sulla mia partecipazione, che ho molto apprezzato, anche se sei stato eccessivamente buono con me.

Mi è piaciuto molto questo tuo tornare indietro nel tempo e ricordare figure di professori che io oggi non potrei mai vedere.
Qual'è il metodo giusto, quello migliore, di insegnare la matematica?
Non sono certo io che posso dare una risposta, ma posso portare la mia esperienza.
Io ho avuto un prof di Matematica alle medie che era l'esatto opposto della tua Signorina Trucco.
Solo per capirci:
con lui l'ora di lezione si divideva sempre in 3 parti:
20/25 minuti di matematica "canonica"
10/15 minuti di svago, di qualsiasi genere, dalle barzellette al panino con la mortadella. (sono chiaramente degli esempi)
altri 20/25 minuti di lezione seria.
Era (è, sono passati solo 2 anni e fortunatamente ancora insegna) convinto che avrebbe ottenuto la nostra attenzione solo per un certo tempo, oltre il quale, ci saremmo persi nei meandri dei nostri pensieri.
Spesso le sue lezioni si trasformavano in veri e propri giochi o gare; i compiti in classe erano delle competizioni con premio simbolico finale: 1 euro a chi riusciva a prendere 10.
Il rapporto interpersonale era ottimo, si rendeva sempre disponibile anche per problemi non inerenti alla sua materia e anche al di fuori dell'orario scolastico.
Per me è stata una figura importantissima, mi ha insegnato a giocare con i numeri ed ad amare la matematica ed io per questo glie ne sarò sempre grato.
Tutto questo per dire che secondo me non esiste un metodo giusto in assoluto; una cosa invece è fondamentale, che il prof per primo
ami la matematica ed abbia a cuore i ragazzi, insegni con passione e sappia coinvolgere. Noi sembriamo sempre distratti, ma ti assicuro che se qualcuno ci parla di Pitagora solo perchè è un suo dovere e non è lui stesso il primo ad apprezzarlo, lo sentiamo e in questo modo quale coinvolgimento puoi sperare di raggiungere!!!
Probabilmente il mio prof quest'anno non regala euro ai suoi nuovi ragazzi, probabilmente si sarà inventato qualche altro strataggemma, ma non è importante, quello che conta è che adotti un metodo, un approccio, che sia quello calibrato ai ragazzi.
Quindi un po di fantasia, spirito di iniziativa e rimettersi in discussione ogni nuovo anno.
E noi?
Meno presunzione, più applicazione e curiosità, tanta curiosità.
La scuola non è fatta solo di studenti o solo di professori, siamo due entità che devono interagire e collaborare per il bene di entrambe.

Scusa se mi sono un po' dilungato, ma ho voluto provare a confermarti, che come tu hai giustamente detto da Annarita: "chi continua a raccontarci che i ragazzi di oggi sono degli sfaccendati bamboccioni buoni solo a farsi nelle discoteche è un falso e MENTECATTO"
Scusami mi sono preso la libertà di evidenziare... Io sarei stato anche più cattivo

Un salutone
Marco

Enrico Bo ha detto...

@Maria - ma grazie!

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