giovedì 26 luglio 2012

Una storia zen.

Il verde dell'erba sul limitare del bosco profuma di monte e mi ispira questa storia zen che vi voglio raccontare. Sotto il pino cembro dalle fronde nere, il maestro respirava ritmicamente mentre la carezza del vento muoveva l'erba alta come un onda in cui i barbagli del sole parevano spuma. Dischiuse un poco gli occhi, poi la mano mosse appena la campanella di cinque metalli, posata al suo fianco, che lanciò un suono vibrante che si propagò a lungo nell'aria come i cerchi d'acqua nello stagno dopo il tuffo leggero della ranocchia verde oro. I quattro allievi corsero subito da lui, inchinandosi profondamente, dopo aver interrotto i duri allenamenti che la pratica marziale imponeva loro ogni mattina. I loro muscoli, tesi e duri, rilucevano di sudore sotto il sole forte; si sedettero attorno al maestro e attesero che parlasse. "Allievi carissimi, esordì il vecchio carezzandosi la lunga e rada barbetta bianca, io non ho più nulla da insegnarvi e ormai siete giunti alla soglia della maestria. Le tecniche più difficili vi sono ormai ben note e le eseguite alla perfezione, debbo solo capire se dentro di voi c'è il vero concetto zen dell'arte marziale. 

Ora vi metterò alla prova e quello che tra voi la supererà, andrà nella capitale a rappresentare la nostra scuola presso l'imperatore e forse diventerà ricco e potente. Allora, domani sarete soli e starete ragionando tra di voi sulle tecniche che avete perfezionato, mentre camminerete sul sentiero che scende dalla montagna. Giunti al ponte di corda che attraversa lo strapiombo, vi fermate un attimo non prima di avere notato un guerriero armato di tutto punto che è in attesa sull'altra sponda. I lunghi anni di pratica marziale che avete alle spalle come vi consigliano di affrontare la situazione?". Il primo allievo si alzò e dopo essersi inchinato disse: "E' facile maestro, come ci insegna la tecnica della tigre, con rapidi balzi traverserei il ponte per cogliere di sorpresa il nemico ancora sul bordo del dirupo, lo attaccherei deciso e lo batterei sicuramente con colpi diretti e potenti". Il secondo allievo si alzò con calma e dopo avere salutato disse: "No maestro, questo comportamente sarebbe azzardato e precipitoso. Io attenderei il guerriero sulla mia sponda del ponte per attaccarlo appena lui sta per finire l'attraversamento. 

Con la tecnica del serpente, mentre lui è ancora incerto nel guadagnare la sponda, potrei colpirlo nei punti segreti e vincerlo più facilmente". "Io invece, disse il terzo allievo, mi avvierei lentamente sul ponte attendendo che anche lui facesse la stessa mossa, poi, con la tecnica della mantide che meglio conosco, lo sbilancerei con facilità, parando ed attaccando sui suoi colpi fino a fargli perdere l'equilibrio e a precipitarlo nella gola". Il quarto allievo rimase un poco in silenzio, poi dopo aver respirato profondamente a bassa voce disse: "Maestro. come tu ci hai sempre insegnato, pur senza dirlo mai apertamente, il segreto ultimo delle arti marziali è la comprensione del tutto e la fusione della nostra mente con quello che ci circonda. Io chiamerei quell'uomo, dicendogli: ehi tu, laggiù questo è una buona giornata per bere un thé assieme, e attraversato il ponte mi siederei assieme a lui vicino al fuoco mettendo a scaldare l'acqua e versando un poco del mio Pu Er, il thé della meditazione. Dopo averne versate le quattro tazze, parleremmo forse della brezza estiva o di canapa e sorgo". 

Il maestro si alzò un poco a fatica e tirò a sé l'allievo abbracciandolo commosso. "Finalmente riconosco in te i segni della maestria, tu hai capito davvero lo spirito di quanto vi ho insegnato in tutti questi anni e che queste zucche vuote non hanno ancora neppure sfiorato, sei dunque degno di andare a rappresentare la scuola presso l'imperatore che ti colmerà certo di onori e di ricchezze". Detto questo si ritirò finalmente sereno nella sua capanna mentre l'allievo si preparava al lungo viaggio. Nella notte prima della partenza i tre allievi ancora così lontani dal concetto estremo delle arti marziali, entrarono senza far rumore nella capanna, legarono strettamente maestro ed allievo e corsero a buttarli nel dirupo, poi messe le vesti migliori se ne andarono nella capitale, dove divennero politici ricchi e famosi.


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2 commenti:

Nidia ha detto...

ma come? la saggezza non ha trionfato?

Enrico Bo ha detto...

@Nidia - ma quando mai trionfa la saggezza?

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