giovedì 7 marzo 2013

I kangha di Dodoma.

Dodoma - Negozio di Kangha


Al paradiso del matarasso.
La notte senza zanzariera è stata dura. Stanchissimo per il viaggio, vorresti abbandonarti alle braccia di Morfeo, ma i ronzii delle minuscole zanzare sono come un avvertimento continuo. Un paio di allieve della scuola sono a letto con la malaria, dunque non è che puoi lasciarti andare senza preoccupazione. Mi avvolgo completamente sotto il lenzuolo, dopo un attimo sono in un bagno di sudore e devo forzatamente riemergere, offrendo la pelle tenera ai mordaci insetti che penetrano da ogni fessura, implacabili; si sono passati la voce che è arrivata carne fresca e giungono a frotte. Ogni volta che cessa il ronzio parte lo schiaffo su qualche parte del corpo esposta. Niente da fare, un istante dopo riprendono immortali. Vado avanti così alcune ore poi, spossato e disperato, mi lascio andare, succeda quel che deve succedere; il torpore lascia il posto ad un sonno agitato e popolato di incubi. Al mattino i ronzii sono finiti, braccia, spalle, viso, sono coperti di ponfi rossi. Rimarrò con questo terrore malarico per molto tempo; per fortuna Suor Francesca, non per nulla Sorella Misericordiosa, arriva con una provvidenziale zanzariera che mi appendo sopra il lettuccio. Andiamo a Dodoma a fare spese, bisogni spiccioli che ogni comunità si trova ad affrontare ogni giorno, acqua, bombole del gas, un materasso da caricare sul tettuccio della macchina. 

Ci ferma una pattuglia. Ernest è terrorizzato, si sa che nella maggior parte dei casi, nei paesi del terzo mondo, questo si trasforma in una richiesta di denaro, capirà, anche le famiglie dei poliziotti devono pur vivere. Il tizio guarda dentro con aria severa, ascolta le spiegazioni della suora circa le necessità del materasso, poi ci manda via con un gesto nervoso della mano. Delle due l'una. O ha pensato che eravamo troppo disgraziati per pretendere soldi, o ha temuto che chiedessimo direttamente a lui un'offerta. In città il negozio dei kangha trabocca di merci. Centinaia di stoffe sono appese ordinatamente su appositi trespoli, altre si ammonticchiano negli scaffali interni, interi pacchi stazionano a terra e fungono da sedili per i tre commessi che continuano a mostrare, far scegliere e ripiegare le pezze via via scartate dai clienti. E' un rutilare di colore che abbaglia la vista, tanto la fantasia degli artisti è scatenata nell'inventare forme, disegni, accostamenti sempre diversi, gioiosi, bellissimi. Un inno all'allegria africana, questa forma di arte su tessuto che poi sfila dovunque nelle strade, avvolgendo ogni donna di colori vivaci. Ogni khanga poi, sul bordo per tradizione porta scritto anche un proverbio swahili, di buon augurio. Faccio anche io la mia brava scelta; che magnifico cotone, spesso e robusto, che piacere maneggiarne i lembi, osservarne le differenti fantasie! 

Si riparte carichi, mentre il grasso padrone, appollaiato come un avvoltoio sul suo sgabello, conta a lungo soddisfatto il pacco di scellini unti, prima di infilarseli in qualche tasca segreta, sepolta sotto la lunga veste che lo avvolge completamente. Questa sera dormiremo nella missione in città, che gestisce un bell'asilo e la casa delle novizie. Suor Consuelo si arrabatta per mandare avanti il tutto con le consuete difficoltà. Sento subito una grande affinità con questa suorina filippina di Mindanao, piccola e dallo sguardo sempre preoccupato, in cerca dei soldi per comprare le mutande alle ragazze o per pagare la bolletta della luce. Per forza è agronoma come me, una collega insomma. Gli occhi le si illuminano subito quando parliamo del centro di ricerca sul riso da seme di Los Banos vicino a Manila, il più importante del mondo, dove ero stato quasi 25 anni fa. Il suo destino avrebbe potuto essere diverso. Dopo gli studi, è proprio lì che avrebbe voluto andare, ma la morte del padre, a cui promise di occuparsi dei fratelli più piccoli, ha ucciso il sogno. Per anni ha lavorato, mantenendo tutta la famiglia, facendoli studiare, fino a quando tutti sono diventati grandi, poi è entrata in convento e adesso eccola qui, catapultata in Tanzania, di nuovo impegnata a far quadrare i conti. 

- Come mi piaceva studiare, sarebbe stato davvero bello poter fare la ricercatrice. - dice con un ombra di tristezza nella voce. Parliamo a lungo delle Filippine, delle ricerche agronomiche, di riso e di semi. Proprio qui vicino a Dodoma, sono stati impiantati molti vigneti, il clima appare molto favorevole. A Hombolo, c'è una azienda fondata da italiani, la Cantina sociale Cetawico, che produce un vino che non è per niente male, mi sembra addirittura che la responsabile sia una ragazza italiana. Parliamo ancora di alberi da frutta, di orticole. Poi scrolla le spalle e via a risolvere quello che il destino le ha assegnato da compiere. Ma prima ci vuol fare assaggiare le banane del suo orto e le sue verdure, poi appena si fa buio, tutti a nanna. A me ha riservato la camera destinata ai Padri in visita durante le feste, dentro l'asilo. Domani mi sveglieranno le grida gioiose delle decine di bimbi che arrivano di prima mattina, bardati di tutto punto, con le uniformi pulite; le bimbe con le pettinature ben ordinate a treccioline tutte diverse tra loro, sicuramente stupite di trovare un mzungu che si aggira assonnato tra le aule e che si mette subito in agguato con la macchina fotografica. Uno più bello dell'altro. Ma, voi che sapete, quanto dura l'incubazione del plasmodio della malaria?



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In volo.

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