mercoledì 13 marzo 2013

Ruaha, il grande parco solitario.


Baobab a Ruaha
Gruppo di femmine di impala
Un amico commentatore, ha detto che sono stato intervistato sulla situazione politica italiana, perché il mio cognome è già la risposta, capisco quindi che è ora di ritornare in Africa, per lo meno con le chiacchiere, tanto ormai siamo quasi alla fine (del mio viaggio intendo). Dunque eravamo rimasti alle ondulate colline degli altipiani del sud della Tanzania, un territorio aspro e verdeggiante, punteggiato di capanne di terra rossa con rare figure immobili a presidiarle, nelle ore più calde della giornata. Siamo a quasi mille metri comunque e il sole che occhieggia tra le nuvole non ha lo stesso morso cattivo della pianura. E' la terra delle tribù Gogo e Hehe, quelle che più combattivamente si opposero alla colonizzazione tedesca alla fine dell'800, ma negli occhi dei rari pastori che incontri lungo la strada, non riesci più a leggere bellicosità particolari, anche se al fianco portano appesi lunghi machete e robuste mazze jawara di mogano. Donne e ragazzine continuano il loro cammino infinito che le porta ogni giorno a far provvista d'acqua nelle pozze o nelle buche scavate nella sabbia fangosa dei letti dei fiumi in secca, personaggi eterni da oleografia vedutista per pittori di altri tempi, oggi per sciamannati da reflex sempre lancia in resta. Certo un paesaggio molto fotogenico, ancor di più in questa stagione magnifica, in cui le piccole piogge sono ormai finite e non hai l'assillo del fango, mentre puoi godere del rigoglio della natura che esplode grazie al connubio di calore e umidità. 

Cucciolo di giraffa.
Fiori, foglie, alberi, anche i baobab, qui presenti in veri e propri boschi, paiono camuffarsi da altre piante, così come sono ricoperte inusualmente di verzura, anche se i loro tronchi, devastati dal passaggio degli elefanti, barbari sognatori, incuranti dell'altro, del diverso da sé, che li sventrano, li offendono, li crocifiggono fino ad ucciderli, con la violenza del più forte, denunciano tuttavia irrimediabilmente il loro essere, la loro sustanziale entità di simbolo africano. Un altro punto coinvolgente dell'arrivare di prima mattina all'ingresso del parco di Ruaha in questa stagione, è nel trovarsi quasi sempre soli, unici fruitori a perdersi in questa immensa area di 40.000 chilometri quadrati, più o meno la dimensione della Lombardia e del Piemonte messi assieme, di un territorio selvatico in cui perdersi in un percorso accidentato di piste non battute, tra collinette ricoperte di bush, alberi isolati, letti di fiumi in secca, grandi pozze popolate di ippopotami invadenti che mettono ai margini delle stesse le miriadi di coccodrilli, quasi fossero ospiti fastidiosi a casa loro. Una sorta del predominio del più ingombrante, di chi fa la voce più grossa. Dappertutto una gran quantità di animali, elefanti, bufali, zebre,  ogni genere di gazzelle e di antilopi, ma che si disperdono in un territorio così vasto da rendersi indipendenti l'un l'altro. Anche i leoni, di cui puoi trovare famiglie che ronfano tranquille all'ombra, non paiono infastidire più di tanto i timidi kudu dalle lunghe e imponenti corna ritorte, puntate verso il cielo, mentre con occhio languido seguono il tuo passare lento. 

Aquila pescatrice
Gruppi di facoceri, aspiranti politici dal codino sempre ritto in aria a chiamare attenzione, dall'aria così indaffarata e seriosa da nascondere il fatto che stanno solo mangiando, occupano ampi spazi tra i cespugli. Puoi aggirarti tutto il giorno, convinto di aver fatto un lunghissimo percorso, fatto di estatici incontri di cuccioli di giraffa che a testa bassa strappano arbusti di acacie ricoperte di spine, di voli planati di aquile pescatrici, di becchettare di gru dal becco a sella con la loro curiosa escrescenza arancio davanti al capo e poi verificare sulla carta di aver percorso solo un piccolo circuito, un assaggio minore di questo immenso territorio che varrebbe davvero la pena di una visita prolungata. Probabilmente non avrai incontrato nessuno durante tutto il giorno, cosa che ancor di più avrà contribuito alla soddisfazione e al crearsi di questo senso di avventura africana, così ricca di emozione. Così quasi non ti accorgi dell'arrivare della sera, bisogna ripercorrere carrarecce sassose e boschi ormai resi azzurri dal calar della luce. Esci dal parco con il rammarico di non aver visto abbastanza, col dispiacere di aver lasciato il meglio, almanaccando dentro di te le scarse probabilità di poter ritornare sotto questo cielo, almeno in questa vita. Iringa, la città del sud a quasi 2000 metri, fresca e speri accogliente è ancora lontana un paio d'ore.


Sciacallo dalla gualdrappa.

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In volo.

3 commenti:

il monticiano ha detto...

Un paradiso per tutti gli animali ma...anche per l'uomo potendo e volendo.

Enrico Bo ha detto...

@Monty - certo anche se l'uomo è tra tutti l'animale più pericoloso!

Anonimo ha detto...

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