mercoledì 4 luglio 2018

Etiopia 19 - I Mursi

Armati Mursi


E' piovuto piuttosto forte tutta la notte. Lasciamo Jinka, attraversando di nuovo la spaccatura della Rift Valley passando tutto il parco Mago, per arrivare al territorio dei Mursi. La pioggia della notte ha reso la pista difficile da praticare e procediamo con una certa fatica in una boscaglia piuttosto selvatica. Gli animali qui sono piuttosto scarsi, se li confrontiamo con le altre aree a parco dell'East Africa. Scordatevi le mandrie di animali del Kenia o della Tanzania. Qui è ancora terra di bracconaggio e gli animali tendono a stare alla larga. Vediamo qualche minuscolo dik dik che subito si infratta tra i cespugli spinosi, timido e tremante, mentre piuttosto lontano, un gruppetto di antilopi, probabilmente waterbuch, che alzano la testa, mostrando un imponente palco di corna e il ricco vello attorno al collo, che emerge sull'erba giallastra della radura. Passata la spaccatura, la strada risale sulle colline retrostanti e si inerpica sempre più in alto; qui si trovano alcuni isolati villaggi della tribù dei Mursi. Si dice che presso questo popolo di pastori seminomadi, ridotto ormai a poche migliaia di individui, i giovani maschi adulti siano piuttosto aggressivi e che sia più opportuno arrivare in questi villaggi di mattina, sia perché la maggior parte degli uomini è al pascolo con gli animali, sia perché l'abitudine di bere durante il giorno notevoli quantità di birra di sorgo, che viene prodotta in ogni villaggio, li renda particolarmente nervosi verso gli stranieri nel tardo pomeriggio.


Secondo altri pare che sniffino polvere dalle cartucce usate, miste a peperoncino, ma bisogna sempre ricordare che queste notizie vengono date dalle tribù vicine che non li amano particolarmente. Data la consistente quantità di mitra a disposizione, praticamente ogni uomo ne possiede uno (si trovano nei mercati attorno ai 1000 birr o una vacca, ma bella), bisogna tenere conto di questo con una certa attenzione, tanto che le visite a questi villaggi vengono generalmente fatte in compagnia di guardie armate. Può capitare infatti che qualcuno un po' alticcio, pretenda di essere fotografato in cambio del ticket fisso di 5 birr e in caso di rifiuto, passi a vie di fatto, d'altra parte sembra che da queste parti uccidere un nemico o un appartenente ad un altra tribù, sia considerata una prova di valore da esibire come medaglia. Attualmente il modo più usuale per scaricare l'aggressività è quella delle lotte col bastone, detto Donga, che ogni pastore possiede, durante le quali tutti i colpi sono ammessi e che terminano sempre con un discreto spargimento di sangue, anche se la morte deve essere sempre evitata, mi raccomando. In verità non è molto importante risultare vincitore dei combattimenti, alla fine ne rimane infatti uno solo, che comunque viene molto festeggiato, ma riportare un congruo numero di cicatrici perenni da potere  esibire in ogni occasione per dimostrare il proprio valore ed il proprio coraggio.

Nel nostro caso, Lalo, che è conosciuto, dovrebbe essere una buona garanzia e infatti non appena la nostra macchina si ferma tra la misere capanne di frasche, gli anziani del villaggio gli si avvicinano salutandolo con un certo calore. Pian piano da dietro alle capanne appaiono figure che sembrano spiriti della foresta. Donne alte e nerissime avvolte di pelli di antilope, rimangono ferme e silenziose, la maggior parte con un bimbo in braccio, i volti, il busto le braccia, coperte di disegni bianchi, punti, cerchi, disegni geometrici. Sulla testa, copricapi complessi, ricoperti di bacche colorate, anelli e lunghi denti di facocero. Molte portano un largo piattello di terracotta al labbro inferiore. I più grandi arrivano fino a 15 centimetri, altri più piccoli ornano i lobi ormai sformati delle orecchie. Quasi tutte sono prive degli incisivi superiori, sembra per consentire l'alimentazione forzata in caso di tetanismo che qui è piuttosto frequente. L'uso del piattello, abitudine che condividono con i Surma, non ha una spiegazione certa. Secondo alcuni, questa tradizione era nata per impedire che le donne venissero prese come schiave o rubate dalle tribù vicine, una sorta di imbruttimento rituale, secondo altri invece deriverebbe dal fatto che questo attrezzo formerebbe una sorta di barriera all'ingresso degli spiriti malvagi che amano entrare nel corpo delle donne, facendole impazzire.


Oggi comunque rimane un segno distintivo dello status sociale della donna che la renderebbe più richiesta ed appetibile, anche se il piattello viene messo solo in cerimonie pubbliche o in presenza del marito, diversamente il labbro deformato viene lasciato penzolare senza problemi, ad esempio quando si va al mercato. Anche qui come in altre tribù, la scarificazione della pelle detta icioà, che lascia cicatrici in rilievo molto grandi, viene praticata dalle anziane del villaggio sui giovani di ambo i sessi, con lamette da barba, sia per dimostrare la propria resistenza al dolore, sia perché è considerata ornamento di grande bellezza da esibire in ogni occasione. L'operazione dura parecchi giorni, prima vengono disegnati i punti colorati dove verranno praticate le incisioni, la pelle viene quindi sollevata con un ramo spinoso e sotto viene ancora inciso l'interno della ferita che poi gonfierà nei giorni successivi, salvo infezioni terrificanti naturalmente. Insomma un bel divertimento. Bisogna dire tuttavia che i visi, i corpi, le posture di tutte le persone che ci circondano sono davvero impressionanti. Gli occhi ci guardano in modo severo ed inquietante, i pochi uomini presenti mostrano i kalashnikov con aria minacciosa. Tutto l'ambiente è cupo e silenzioso, anche i bambini sono muti e senza sorriso. Non è ben chiaro se recitano la parte della tribù violenta e pericolosa a favore di obiettivo, per spillare un maggior numero di scatti o se il trattamento poco amichevole sia davvero connaturato a questa gente che sopporta le visite dei faranji, solo per il pur piccolo reddito che ne deriva.


Resta il fatto che sono tutti davvero bellissimi con questi copricapi fantasiosi, i corpi slanciati e dipinti, le parti di animali di cui si adornano dalle conchiglie ai gusci di lumaca. Stiamo un'oretta tra le capanne, in un silenzio innaturale, osservati da tutte queste figure immobili, quasi fossimo noi quelli da osservare, da vedere. Ogni tanto compare qualche altra figura tra le piante che circondano il villaggio. Altri uomini cosparsi di cenere grigia, per difendersi dalle zanzare, alcuni completamente nudi, altri con un piccolo straccio attorno alle anche, il mitra a tracolla. Qualcuno conosce Lalo e finalmente si verificano cenni di distensione, si familiarizza e ci sono le prime pacche sulle spalle e la richiesta di foto collettive che mostrano con fierezza i mitra sbandierati al vento, senza troppa attenzione in verità. Poi viene il momento dei saluti collettivi in una atmosfera piuttosto simpatica, di colpi per aria non ne sono partiti e tutto si è concluso nel modo migliore, tanto che alla partenza veniamo salutati con un certo calore da tutto il villaggio, anche se in fondo non abbiamo lasciato un gran ché di birr. Mi sa che questa fama di violenti e aggressivi, sia un po' più caricata che reale. Credo che sarebbe stato bello fermarsi con le tende a passare la notte al villaggio, ma se la pioggia ci sorprendesse qui avremmo potuto anche rimanere isolati per qualche giorno ed il cielo era molto minaccioso. Insomma la preoccupazione non è mai troppa.

Tra le capanne del villaggio Mursi



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