giovedì 26 luglio 2018

Etiopia 34 - Il parco Abijata - Shala


Il lago Shala

Il parco
Ormai la strada corre abbastanza rettilinea lungo il grande plateau dell'Etiopia centrale. Siamo a non più di 200 km dalla capitale, nella parte nord dell'Oromia e qui vedi tracce maggiori di un paese che tenta di svilupparsi. Mezzi meccanici, un'agricoltura che ha superato la fase della mera autosussistenza, addirittura qualche tratto di capannoni industriali. Ma non dobbiamo dimenticare che siamo comunque in un mondo dove la natura ha la sua parte preponderante e qui sull'acrocoro, che rimane comunque sempre i 1500 metri, navighi tra spazi sconfinati che portano l'occhio verso l'orizzonte alla ricerca di cime isolate e lontane. Di tanto intanto, qualche spaccatura geologica di natura vulcanica o dovuta ai sommovimenti della crosta terrestre ingigantiti dal successivo lavorio delle acque ha modificato questo stato di fissità immota e monotona. Il grande taglio della Rift Valley, la ferita gigantesca che ha segnato questa parte di Africa, ha generato anche una collana di laghi successivi che hanno prodotto habitat particolarmente favorevoli alla vita animale. A una quarantina di chilometri da Shashemenne, la nazionale 7 attraversa una serie di specchi d'acqua piuttosto grandi che formano il parco nazionale di Abijata-Shala dal nome dei due laghi più grandi. Per arrivare alla balconata di fronte alla grande valle che li contiene, percorri un largo tratto di savana ancora gialla ed in attesa delle prime piogge punteggiata di acacie spinose ad ombrello.


Struzzi
Tra l'erba alta, qualche gazzella di Grant, famiglie di facoceri che scavano la terra in cerca di cibo e anche qualche struzzo curioso che gira la testa facendo perno sul lungo collo al nostro passaggio. Poi solo la scarpata a ridosso dell'istmo che separa i due specchi d'acqua con il monte Fike al centro che lo ha creato. Intorno è pieno di uccelli multicolori anche di notevoli dimensioni che cinguettano in lingue diverse; gruppi di faraone invece scorrazzano scappando da tutte le parti non appena muovi un passo nella loro direzione. Sarebbe il caso di rimanere qui ad osservare questo panorama antico ed apparentemente immutabile. Lo spettacolo della natura selvatica non sazia mai, almeno questa è la mia sensazione. Scendiamo lungo piste scavate dai rivoli d'acqua nelle fenditure della terra, il lago che, visto dall'alto, sembrava così vicino, in realtà non arriva mai; si deve andare per un percorso tortuoso e difficile, procedendo lentamente per non impantanarsi o scivolare in una forra ai lati, nel caso la terra non regga il peso dell'auto. Tuttavia l'area non è solitaria come sembra. Il parco è abitato e mandrie numerose di zebù si muovono lungo i rilievi in cerca di sorgenti di acqua, perché quella meravigliosa ed attraente che si vede lontana come un miraggio è in realtà salmastra ed imbevibile. Seguendo un gregge di capre dalle corna attorcigliate, si arriva in una fenditura laterale della collina all'interno della quale si svela la natura vulcanica di questa terra, che pare immobile da milioni di anni, ma cova dentro di sé un fuoco ancora vivo e violento che a volte, sa scatenare tutta la sua furia e la sua violenza.

Solfatare
Qui gli dei degli inferi si materializzano in un modo meno duro, anzi stemperano la propria natura iraconda e maligna nel tempo, consumandola senza dare strappi improvvisi e devastanti come in altri luoghi. Tra le fenditure della terra, esce fumo e odore fetido, in basso un ruscellare d'acqua che va verso il lago, fuma esso stesso mostrando la sua natura intrinseca. Poco più in là una grande pozza fangosa ribolle in continuazione con gorgoglii sotterranei che inducono timori e consigliano di non avvicinarsi più di tanto. Dai fori nella scarpata esce fumo, molto fumo e l'acqua che sgorga da certe spaccature, frigge come fosse olio bollente. Sembra che qui l'acqua esca a 97°C e che le uova immerse in questo liquido bollano in cinque minuti. Tutto intorno i fanghi e le rocce terrose che circondano le polle sono intrise dei mille colori degli acidi, dei veleni, dei componenti sulfurei che cercano di uscire allo scoperto abbandonando le viscere della terra. Appena dietro in una valletta laterale, invece, magia impossibile a credere, altre sorgenti, questa volta fresche e pure formano altri ruscellamenti, ricchi e gorgoglianti che vogliono unirsi a quegli altri. Qui convergono gli armenti all'abbeverata. Adesso tutta la riva è occupata da un centinaio di dromedari che assumono tutta l'acqua di cui abbisognano mentre si guardano intorno con uno sguardo piuttosto severo, come per impedire a chiunque altro concorrente di avvicinarsi.

Dromedari all'abbeverata
Quelli che hanno già provveduto alla loro bisogna stanno leggermente distaccati e masticano erba secca con quel movimento tipico della mandibola che sfrega in circolo orizzontale contro la mascella, mentre l'occhio, con la palpebra a mezz'asta sorveglia tutto lo spazio circostante. Ma perché il dromedario ha quell'aria da essere superiore che sembra disprezzare il mondo che lo circonda? Si dice che sia perché è l'unico essere vivente che conosce il centesimo nome di Allah, chissà, intanto loro continuano a masticare instancabili per ore, mentre noi raggiungiamola riva del lago. Qui l'acqua si presenta assolutamente immobile, come fosse solida, seppure azzurrissima ma non trasparente. Sembra bassissima, non più di pochi centimetri eppure, al centro, lo Shala è il lago più profondo dell'Etiopi, 275 metri. A pochi metri dalla riva intanto, centinaia di flamingos passeggiano con la testa nell'acqua strusciando il becco arcuato nel fango del fondale in cerca di cibo. Le lunghe zampe sembrano a tutta prima incapaci di sostenere il pur leggero peso del corpo. Altri, più al largo, sono invece completamente adagiati sulla superficie e si muovono lentamente verso la zona più profonda. Poi improvvisamente, come rispondendo ad un ordine secco o forse impauriti dalla nostra presenza sulla riva, tutti all'unisono si alzano ed apparentemente con una certa fatica cominciano a correre ciabattando sull'acqua nel tentativo di alzare almeno di poco il peso del corpo. Intanto hanno allargato le ali che sbattono con frequenza sempre maggiore fino a che, uno dopo l'altro, tutti perdono contatto con la superficie dell'acqua e comincia il volo.

Flamingos
Come un attimo prima sembravano sgraziati esseri pesanti che tentavano, forse inutilmente, la pratica del volo a cui, goffi gallinacei, parevano miseramente inadatti ecco che invece, lasciato l'elemento che li tratteneva come una pania oleosa, tutti si librano con una grazia insospettata, allungati in una sorta di freccia dal becco al collo, alle lunghe zampe, mentre le larghe ali si appoggiano all'aria in un battere e levare, adesso sì finalmente produttivo ed elegante. La lunga fila si snoda ormai nel cielo come fosse una scia rosa che disegna linee perfette su una tela azzurra. Sono uccelli di bellezza rara, che il loro stesso numero aumenta. Vorresti rincorrerli per non perdere la loro scia, per vederli almeno ancora un poco, per calcolare la loro strada nel cielo o prevedere dove, lontano, andranno a posarsi, sempre eleganti e nobili nell'atteggiamento, così diversi da quei caciaroni dei loro vicini, i pellicani che schiamazzano in continuo per trovare posizioni migliori, sempre a protestare coi vicini alzando i becchi ingombranti verso l'alto, senza che nessuno li richiami ad avere un contegno più serio. Gruppetti di bambini pastori ci hanno raggiunto sulla riva. Oggi siamo noi lo spettacolo, non i flamingos che vanno e vengono dalla loro vita da sempre, senza più destare meraviglia. Poi risaliamo la china e riprendiamo la statale. Ci si ferma in un locale piuttosto nuovo per un caffè e un omelette, infine ancora un paio d'ore di guida fino ad Addis, sfilando una infinita distesa di serre a perdita d'occhio per chilometri, dove grandi ditte olandesi producono i fiori che ogni mattina, in aereo, raggiungeranno, graditi immigrati questa volta, il ricco mercato di Amsterdam. La prima metà del nostro viaggio è completata.

Pastorelli

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