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São Tomé - L'attesa nella notte - foto T. Sofi |
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Il cavaliere mascarato |
Sì ve lo dico chiaramente, sono molto preoccupato. Il poliziotto ci squadra dalla testa ai piedi, mentre apre con cura i nostri passaporti cercando il timbro di entrata. Vorrei sprofondare mentre aspetto i verdetto, sono in piena sindrome Delitto e castigo, vorrei denunciarmi, giustificarmi, dire che non è colpa mia ma del destino barbaro e malevolo, della perfida TAP neocolonialista che fa quello che le pare, accampare scuse pur di avere una riduzione della pena, chiamate il mio avvocato che chieda almeno l'infermità mentale. Credo che tutto ciò mi si legga chiaramente in faccia, tanto che il tutore dei confini saotomensi, mi fa un largo sorriso e senza minimamente fare riferimento a visti e sciocchezze del genere, appone il timbro desiato e mi ridà i documenti invitandomi a fare spazio ai successivi passeggeri. Ah, che ventata di tranquillità, che sereno destino mi aspetta! Ormai siamo nella sala di aspetto, in mano il prezioso boarding pass, in pratica mi sento già estradato in Europa, a casa insomma. Spaparanzato su un comoda poltrona di similpelle, neppure sbrecciata, mi godo il momento mentre la grande sala si riempie a poco a poco. Ci sono anche negozietti e un baruccio aperto e tutti circolano qua e là come se fosse un aeroporto vero. Vado anch'io a dare un'occhiata ai souvenir, tanto per far passare il tempo che manca alla partenza, anche se l'aereo forse non è ancora arrivato. Il negozio ha solo un po' di giargiattole a prezzi di assoluta affezione, tipo le semplici magliette a 28 €uro cad. (considerate sempre uno stipendio medio di un operaio a 50 €/mese) e tra il resto, ecco spuntare anche le famose tavolette di cioccolato ultrabio, quelle di Corallo a 7 €uro e le Diogo Vaz addirittura a 8 €uro cadauna e c'è chi, straniero, fa la fila per assicurarsene almeno una, segno che l'importante non è produrre ma saper vendere.
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Si parte evvai!!!! |
Ricordatevelo sempre. Comunque arriva anche il momento di percorrere a piedi il breve tratto per arrivare all'aeromobile, come si dice correttamente nel gergo aeroportuale e ci sistemiamo sui nostri sedilini della classe carro bestiame che ci compete. Chi se ne importa se siamo nel penultimo posto in fondo, l'importante è che ci abbiano caricato e che ce ne stiamo tornando a casa, anche se partiremo in ritardo di almeno un'oretta. Intorno a noi tanti passeggeri locali, qualcuno alle prime armi che non ha mai volato e si guarda intorno con occhio spaurito. C'è una famigliola che occupa cinque posti nelle file davanti a noi. Il padre premuroso ed evidentemente pratico, fa sedere le figlie e la moglie e poi allaccia loro amorevolmente le cinture spiegando l'arcano aggeggio ed il suo meccanismo a scatto di aperture e chiusura, sistema i bagagli nelle cappelliere, combiandovi posto più volte, forse per evitare che siano schiacciate da altri più pesanti borsoni. Una coppia giovane si guarda attorno spaesata nell'interpretare il boarding pass, poi, indirizzata sgarbatamente dalla hostess, si siede cercando di non disturbare troppo il vicino già assopito. Chissà dove vanno a cercare un destino più favorevole o chiamati da parenti, eppure dai vestiti piuttosto ricercati, le belle borsette delle ragazze, i capelli accortamente acconciati, non sembrano poveracci, anzi. La vita ha percorsi strani ed a volte difficili da percorrere e da interpretare. Comunque a poco a poco, come dio vuole si sistemano tutti e ci alziamo in volo. Ormai abbiamo superato la mezzanotte e il monitor davanti a me ricorda che siamo ormai sul continente africano, non tento neppure di guardare un film perché la aborrita compagnia trasmette in sei lingue ma non in italiano e voglio dormicchiare senza sforzare il mio ormai debole cervello.
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La rotta |
Mi rendo conto che ormai sto prendendo storto tutto quanto riguarda questa malevola compagnia che mi ha maltrattato e vedremo ancora se riesce a riportarmi davvero fino a casa o cercherà di mollarmi nell'immensità del Sahara che sta scorrendo giallo sotto di noi. Intanto appena arriva il vassoietto misero, anche se obbligatorio da regole IATA, scoperchio la puzzolente vaschetta che, ovviamente ripiena di tradizione lusitana, trasuda un disgustoso olezzo di bacalhau, più che pesce veloce dell'Atlantico, un pastone di crema biancastra in cui nuota qualche frammento merluzzesco più solido, che ricopro velocemente per non impestare maggiormente l'aria all'intorno. Per fortuna che sono tra i pochi che ancora usufruiscono della mascherina, che almeno, da questo odoraccio, in parte protegge. I miei vicini sbafano invece tutto ai quattro palmenti, inghiottendo golosamente un boccone dopo l'altro e raschiando pure il fondo della vaschetta, io chiudo gli occhi per non turbarmi ulteriormente e tento, inutilmente, di assopirmi simulando un torpore privo di sensorialità. Poi per fortuna portano via tutto e calano le luci. Il volo prosegue senza ulteriori traumi e quando, le gambe, ormai completamente anchilosate a causa dello spazio ridottissimo tra i sedili, tento con gran fatica di rimettermi in piedi per trascinarmi alla toilette, ormai mal ridotta come sempre capita verso la fine del volo, siamo quasi arrivati ed è ora di allacciarsi le cinture. Forza che si scende, anche se siamo ancora nel cuore della notte e l'aeroporto è completamente deserto. Lisbona finalmente, sento note tristi di fado nell'aria, ma forse è solo la mia immaginazione, mentre passiamo finalmente senza danni l'ultima frontiera, quella che ci fa riguadagnare l'Europa, madre desiata.
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Lisbona o cara |
Ancora cinque lunghissime ore, prima del nostro volo che ci ricongiungerà alla nostra ultima Tule. Mentre i nostri compagni di viaggio sono sciamati via velocissimi, evidentemente arrivati a destino, pochissimi in attesa di transfert verso altre mete, andiamo nel grandissimo salone centrale dove la enorme serie di luoghi di ristoro, sta riaprendo per l'arrivo dell'ondata mattutina. Questo sì che è un aeroporto, il non luogo enorme dalle volte altissime, quasi infinite che ti segnalano il tuo essere homo mobilis, che si sposta per il mondo dove meglio gli aggrada, basta che se lo possa permettere e ne abbia la voglia, la predisposizione irrefrenabile al nomadismo che ti permette in fondo di sentirti a casa dovunque, in mezzo al diverso per antonomasia, che ti circonda, che ti abbraccia, perché in fondo così simile a te. E la gente comincia ad affluire dall'esterno e il grande corpo prende vita, il brusio di fondo cresce, le code davanti ai banchi che distribuiscono generi di conforto, si allungano a dismisura. Nell'aria si diffonde il profumo mirabile dei pasteis de nata, delizie di quella Lisbona, città magica, in cui se la maledetta compagnia che non voglio più nominare, mi avesse consentito di arrivare prima, come correttezza imponeva, avrei passato due giorni deliziosi tra il centro di vecchie case, barocche architetture manueliniche, trionfi di azulejos, rotaie del tram che risalgono l'Alfama. Va bene sarà per un'altra volta, perché alla fine l'aereo, inopinatamente c'è e ha già fatto il pieno di disperati come noi, reduci di altri voli annullati, in giro da giorni, con storie ancora peggiori, che maledicono all'unisono la TAP, che nel frattempo non si degna neppure di passare un bicchiere di acqua. Ed eccoci qui in un attimo, col bagaglio in mano, il pulmino della Mariuccia che ci aspetta, a cui dare i due euri soprannumerari per il nostro mancato arrivo e poi finalmente calarci nella nebbiosa lattigine, di pioggerella latente, che ci accompagna fino alla nostra Alessandria perduta e finalmente ritrovata.
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Multe severe e decoro urbano |
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