Era l'ultima tappa del nostro viaggio in Orissa ed ogni giorno era stato denso di sensazioni e immagini da mandare a memoria. Avevamo tenuto per ultimo il grande tempio di Konarak, una delle attrazioni architettoniche più famose dell'India. Ci arrivammo di mattina presto da Puri, percorrendo le piccole strade lungo gli argini delle risaie. Quando ci venne incontro, colpito di lato dai violenti raggi di luce che penetravano tra gli scampoli di azzurro lasciati liberi da una gonfia nuvolaglia quasi nera, ci aggredì con lo stesso impatto di grandezza che hanno in tutto il mondo altri monumenti simili, da Stonehenge a San Pietro, al Borobudur, alla Città Proibita, alle Piramidi di Tikal. Il tempio di pietra ocra dedicato a Surya, il Sole, è costruito con le sembianze di un immenso carro, identico per
forma a quelli del Ratha Yatra ed è noto soprattutto per le stupefacenti 24 ruote di pietra, alte più di tre metri, finemente scolpite, che simulano quelle dei carri processionali. Tutte le pareti sono completamente ricoperte di spettacolari altorilievi di ogni dimensione che non lasciano spazi di riposo all'occhio, in una sorta di horror vacui estremo. Vi sono descritte in fregi che avvolgono l'intero tempio, processioni rituali di animali, di uomini, mostri, divinità, e
pisodi dei libri sacri e in una serie di metope più grandi e dal tratto più raffinato, un'altra delle esplosioni della scultura erotica, già nota per i più famosi templi di Kajurao. Si rimane attoniti e non riesci a smettere di guardare ogni immagine, ogni gruppo di figure, ogni lunga teoria di elefanti che con elegante leggerezza sembrano scivolare attorno al grande carro immobile, ma che pare sul punto di mettersi in marcia da un momento all'altro. Una trina finissima istoriata nella pietra, tutto intorno ai corpi che languidamente sembrano lasciarsi andare al continuo rincorrersi delle sensazioni fisiche e mentali del Tantra. La bellezza delle ruote, su cui sono stati scolpiti anche i chiodi per poter procedere lungo la strada fangosa senza intoppi, lascia senza fiato tutti i visitatori, che procedono in silenzio, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare le sfumature del colore della pietra mentre la luce, condizionata dal monsone, varia continuamente. Ci rimanemmo parecchio, poi, rifocillatici con qualche banana rossa che Prakash ciaveva procurato in uno dei tanti banchetti di frutta che circondavano il sito, riprendemmo la strada per Bubaneswar, verso l'areoporto, silenziosi. Anche Prakash, solitamente chiacchierone, non parlava e il salutarci fu un momento di grande commozione. Ci ricordò che la breve sosta iniziale e la
puja al tempietto di Ganesha, avevano sortito l'effetto desiderato, di avere un viaggio privo di problemi, ma soprattutto ricco di momenti da riportare dentro di sé, per migliorare noi stessi. Sereno, ma allo stesso tempo meditativo. Si era in un certo senso, affezionato a noi ed in particolare alla nostra ragazza, che sentiva di certo come una dei suoi e a cui strinse a lungo le mani, guardandola negli occhi prima di lasciarci. Aveva l'occhio umido, come noi del resto, e non sembrava neppure badare troppo alla busta che gli avevamo lasciato e che stropicciava distrattamente, salutandoci, per indovinare l'entità del contenuto.
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