venerdì 9 luglio 2010

Sulla spiaggia.


La spiaggia è un ecosistema particolare. Non so perchè o quale siano le spiegazioni tecnico-scientifiche, ma la striscia magica che sta appena al di qua del bagnasciuga, ha su di me effetti assolutamente particolari e di difficile spiegazione. Il più importante tra questi è rappresentato da un generico ottundimento dei sensi che mi trasporta in una fase spazio-temporale indistinta e dai ritmi dilatati che trascendono i normali strumenti di misura e sono avvolti da un senso gradevole di torpore che rende tutto accettabile, piacevole, riposante.


Da quanto frequento Mentone e le sue pertinenze, questo aspetto è diventato sempre più evidente, anche se era presente in passato, in altri luoghi. Le sue strisce di spiaggia sassosa, che all'inizio detestavo per le pene che i ciotoloni infliggevano ai miei teneri piedi, ma di cui ho presto imparato ad apprezzare i vantaggi (avete presente che significa non essere perseguitati dall'azione erosiva della sabbia sulle vostre parti più nascoste e preziose?), accolgono con affetto il mio corpaccio stanco in un abbraccio suadente e soporifero allo stesso tempo. Quando calo dalla scaletta munito delle apposite attrezzature, ombrellino, stuoino e asciugamano, arriva subito la sensazione che ha colto Ulisse nella terra dei Lotofagi.


Un ottundimento dei sensi che ti fa considerare tutto dall'alto, da lontano come se tempo e spazio non ti riguardassero. D'accordo, luglio e agosto, in teoria non sarebbero i mesi più adatti a questo approccio. Subito la visione che ne hai è quella della bella foto di Anna M. della colonia di bagnanti di Cape Cross in Namibia che riporto in testa al post e che raffigura esattamente l'immagine che potreste avere dal bordo della passeggiata. (Chiedo scusa, ma il torpore mi impedisce di andare a cercare una diapo delle mie, sepolte nello sgabuzzino di un'era predigitale). Migliaia di otarie spiaggiate tra cui scendere, cercare un rettangolino di spazio e stendersi per entrare in un'altra dimensione. Qui il tempo ha una scansione diversa; ore e minuti scorrono secondo ritmi misteriosi.


Con la palpebra perennemente a mezz'asta, il mio corpaccione si muove lentamente, attento solo, ma inutilmente, ad evitare le ustioni che i raggi dell'astro impietoso provocheranno anche questa volta. Il meccanismo interno di valutazione della temperatura, di tanto in tanto fa scattare un clic e allora, lentamente l'otaria panciuta scivola lentamente nel mare a cercare refrigerio e deliziosa diminuzione di peso avvertito (Archimede docet). Riguadagnare la riva e spiaggiarsi nel proprio territorio è poi cosa facile, ma tutto lentamente, senza affanno. Tutto intorno, la vita della colonia, rumorosa e caciarona come quelle di ogni pinnipede che si rispetti, scorre tranquilla. Le molte immagini che ti scorrono davanti si rendono fruibili all'occhio, ma che non necessariamente il cervello scansiona, passano così senza impegno. Nordici rossi come gamberi paiono non provare alcun pensiero per l'epidermide che certamente cadrà a pezzi tra pochi giorni; nonni trepidi al servizio di bimbi impegnati a scoprire il loro livello di acquaticità; balde settantenni ed over che esibiscono nudità dalle forme imbarazzanti e che in altri ambiti si potrebbero considerare offensive, mentre qui scivolano via sventolando come borse vuote in disequilibrio tra spalle e ombelichi; tatuaggi mostruosi che invadono spazi impensati anche su corpicini di fanciulle in fiore, che dovranno essere in qualche modo spiegati quando tra cinquanta anni resisteranno impavidi alle ingiurie del tempo.


Ecco un tipo che lancia sguardi torbidi da sotto la visiera verso ogni rotodità che scopre spazi proibiti; più un là una coppietta di cinesi, attenti sotto un ombrellino a non offrire troppa superfice ai malefici raggi UV per non ingrigire ulteriormente la loro pelle, che tentano di affogare la loro piccina, che guaisce disperata all'aggressione dell'onda impietosa. Un magrissima madamina, immobile sul lettino da un tempo infinito, pare senza peso, forse morta, con la pelle rinsecchita e scurissima come cuoio mummificato, espone due borsellini avvizziti ai morsi del sole; poco più in là due norvegesi statuarie si esibiscono con noncuranza uscendo dalla spuma del mare. Corpi sudati o ben oleati, bagnati dalle onde o rinfrescati dalle docce, la colonia di otarie si bea di esistere e giace in pace senza chiedersi chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Nulla di questo mi infastidisce, anzi godo di far parte della colonia crogiuolandomi, protetto dai miei vicini; il numero è la nostra forza, se il predatore verrà, ne acchiapperà solo uno tra le migliaia, per gli altri tutto andrà avanti come prima.


Un dormiveglia senza tempo inframmezzato dallo scorrere delle pagine di un libro, senza fretta, mentre l'acido lattico accumulato si scioglie lentamente in pace. Quando, dopo un tempo indeterminato, il sole cala dietro le montagne lontane, tra i profumi della macchia mediterranea, un branzino al sale o dei moscardini alla provenzale, riporteranno la ruota senza tempo verso un nuovo inizio, per ripetere il ciclo, in questo kali yuga infinito, nel quale perdersi senza affanno.



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2 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Che iddio benedica le otarie, le norvegesi e l'autore di questo articolo davvero rilassante. :-)

Enrico Bo ha detto...

Grazie Pop ma dopo due giorni al Mercantour ho dovuto giagerne altri tre tra vichinghe desnude (calma tutte over 70), meglio le otarie, puzzano ma sono lucide e morbidissime e non hanno una ruga

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