Dopo avervi parlato di Giorni cinesi della stessa autrice, eccoci a questo altro diario, oggi sarebbe un blog da expat, che la moglie del giornalista Terzani, ha puntualmente tenuto durante i cinque anni che la coppia ha vissuto in Giappone dal 1985 al 1990, dopo l’esperienza cinese. Si tratta di una spietata e chirurgica disamina di questo grande paese e dei suoi abitanti, una terra che i Terzani, entrambi, non hanno mai amato, anzi si può dire che ne abbiano avuto paura, anche se hanno cercato in tutti i modi di capire e di giustificare. Erano gli anni in cui i successi economici e commerciali del Giappone si moltiplicavano e tutti ritenevano che presto o tardi esso sarebbe diventato la prima potenza economica mondiale. Tutti ne invidiavano la sua capacità ed efficienza nell’organizzazione del lavoro e si proponevano di copiarla per produrre di più e meglio. Chi non ricorda la ricerca affannosa della qualità assoluta e straordinaria delle auto giapponesi, delle macchine fotografiche, degli altri prodigi tecnologici che i Giapponesi sì copiavano, ma poi miglioravano e rendevano perfette dal punto di vista tecnico.
Loro copiavano le nostre idee, il resto del mondo voleva copiare la loro organizzazione produttiva. Il libro esamina il Giappone dal suo interno, attraverso una ricerca continua delle sue tradizioni e del suo passato, che non esistono invece più, distrutti dalla voglia di modernità, dal desiderio di diventare la prima potenza al mondo, di uniformarsi per lo meno esteriormente al resto del mondo, di cancellare l’onta della guerra perduta vincendone una nuova senza combattere. Attraverso i contatti e le conoscenze, l’autrice esamina tutti i difetti di questo popolo, che spesso sono anche i suoi maggiori pregi, ma soprattutto ne piange la tristezza sconfinata, la mancanza di entusiasmo e di gioia veri. La descrizione dell’esercito sconfinato dei salary-men che lavorano disperatamente obbedendo al capo che per definizione non sbaglia mai e li angaria al più piccolo errore, per poi passare il tempo libero nelle sale di pachinko o ubriacandosi con i colleghi di ufficio, nella fabbrica che li opprima dalla culla alla morte. Le donne, oppresse dai mariti assenti e prive di possibilità di affermazione sociale, dei giovani abituati fin dall’asilo a competere disperatamente per superare esami che consentano di arrivare in scuole migliori che daranno la possibilità di avere impieghi migliori in cui stordirsi di lavoro fino a che non arriva il karoshi, noi diremmo il coccolone, che li piglia stremati alla scrivania.
Dei dieci giorni di ferie che nessuno faceva e degli straordinari non pagati, ma fatti per compiacere l’azienda. La Yakuza presente e dominante in tutti gli aspetti che contano della vita sociale ed economica e le mille altre situazioni che fanno di questo paese un unicum, certamente da vedere per tentare almeno di capirlo in parte. E’ interessante notare come tutte le cose ed i pericoli che la Staude intravede nel Giappone della fine degli ’80, siano oggi esattamente sovrapponibili e normalmente attribuiti alla situazione della Cina. Segno forse che certi destini e certe sequenze che appaiono segnate, vengono poi superate dall’andamento inatteso dei fatti stessi. Di certo questo libro non piacerà a chi ama il Giappone e certamente è un po' troppo ripetitivo, letterariamente debole e carca la mano su molti stereotipi, generalizzando spesso, un po' come se parlando di Italia si puntasse tutto di pasta, pizza, mandolino e monnezza. Rimane comunque un punto di vista, forse anche troppo impietoso da conoscere ed eventualmente da discutere per chi è interessato a questo paese.
4 commenti:
Passo per un saluto e per avvisare che se non mi faccio vedere è perché sono assente da 5 giorni e fino a fine settimana.
@Ambra _ anche io ho grossi problemi di collegamento. A presto.
Mi son comprata e letta "quelli cinesi", tempo fa. Ora passo a questo!
@Sandra - Non aspettarti gran che, è anche abbastanza mal scritto, però è un punto di vista.
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