sabato 28 aprile 2012

Ritorno a Peyton place.

Non accusatemi di essere troppo banale, ma oggi devo tirare fuori dal cappello questa arguta considerazione: come passa il tempo! Ieri sera, dopo quasi cinquanta anni ho posato il piede su un luogo della mia adolescenza. Il fatto che fosse cambiato poco o nulla da allora, mi ha provocato un tuffo al cuore. Qualche macchina in più parcheggiata sulla piazza, ma lo stesso portone sbrecciato, il vialetto dove avvertire lo scricchiolio della ghiaia sotto i miei piedi che conduce al calcolato ed emozionante squallore della SOMS di Valle San Bartolomeo. Al di là della recinzione di plastica malandata, a neanche cinquanta metri, la casa dove trascorrevo le mie estati bambine, al di qua, il luogo di croce e delizie dei miei giovani anni. Nell'immutata saletta del bar è scomparso il biliardino, ma non c'è stato neanche l'aggiornamento con le i videopoker mangiasoldi. La tettoia si è soltanto un poco allargata per ospitare i danzatori invernali e le cene sociali, allora non c'erano ed una mano di bianco ha pietosamente ricoperto il tragico affresco michelangiolesco che sulla parete di fondo raffigurava una ninfa e un satiro con improbabili arpa e flauto a descrizione puntuale del luogo dedicato alle attività danzanti. 

Al centro del cortile, eccola là, immutata, la rotonda pista da ballo, mancante soltanto di un basso zoccoletto in cemento che separava inesorabilmente i danzatori da quelli che avevano preso il casü, (il mestolo in dialetto locale, un po' come il rugbistico cucchiaio di legno), il tragico rifiuto a ballare. Ma procediamo con ordine. Le serate danzanti durante l'estate non erano molte, l'ingresso era fissato a 500 lire, che purtroppo rappresentavano un grosso problema (il cono gelato gigante costava 50 lire), ma con artifizi indignitosi, a volte si riusciva ad entrare a sbafo. Il culmine erano le tre serate della festa del paese, alla fine di agosto. Durante tutto il mese precedente era un continuo affannarsi, dei responsabili del circolo, in riunioni nella saletta di fianco al biliardino per decidere la scelta dei famigerati complessi che avrebbero allietato le serate (si diceva proprio allietare). Eh già allora nessuno aveva ancora ipotizzato la discoteca, c'era al massimo il jukebox, 3 canzoni cento lire, cifra palesemente spropositata, ma la gente ballava solo con suonatori veri, ma quella che si denominava orchestra, anche se erano solo in 4 o 5, cominciava a chiamarsi complesso a cui si abbinava il cantante.

 Parliamo dei primi anni sessanta, data spartiacque per la musica e le discussioni fervevano tra i sostenitori delle sonorità  vecchio stile e quelli che volevano seguire le tendenze moderne con le prime chitarre elettriche. Poi arrivava uno con una delle prime musicassette, che era stato mandato in avanscoperta da qualche impresario di spettacolo di provincia e buttava là: "senti un po' questi: I Quattro Assi, sembra Arturo Testa sputato" e la decisione era presa irrevocabilmente, dando il via alle locandine. A quel punto si aprivano le prenotazioni e le mamme delle ragazze andavano a prenotare un tavolino, preferibilmente in prima fila di fronte all'orchestra, dove, occhiute, avrebbero accompagnato le fanciulline, esercitando con discrezione il loro ruolo di chaperon. La serata, sempre che fossi riuscito ad entrare, era tuttavia tragica. Io ero uno dei più piccoli della compagnia, come tale affatto considerato dai membri del sesso nemico, che ambivano a ben altri virgulti dalle capacità tersicoree spropositate. Lauro era uno di questi. Tra i primi aveva capito la potenza magnetica di questa abilità e aveva messo a punto una buona tecnica nel rock'nd roll, ispirandosi alle movenze del primo Celentano. 

Con i capelli appiattiti nella cosiddetta ciabatta, una variante locale della banana di Elvis, gli bastava, alle prime note di Rock around the clock, lanciare un'occhiata o alzare leggermente il dito verso l'alto e bramose fanciulle si alzavano di scatto per lanciarsi nella mischia. Che invidia terribile per chi come me si aggirava con l'occhio basso dietro le sedie senza riuscire a decidersi e che sofferenza inaudita prima di trovare il coraggio di avvicinarsi ai tavolini sotto gli occhi indagatori delle madri a chiedere con un soffio preagonico:"balli?" speranzoso in un successivo gradito lento, rimanendo così per un attimo appeso sul baratro, prima di precipitarvi al suono del terrificante rifiuto. Che umiliazione spaventosa e di conseguenza, quanto rimuginare prima di effettuare il pavido tentativo proprio per questo destinato inevitabilmente all'insuccesso. E ieri la pista di piastrelle, testimone di quelle sere era ancora lì, ancora muta e uguale, i tavolini impilati agli angoli, impossibile che fossero ancora gli stessi, la conchiglia del palco vuota e senza suono, solo lo struggente dipanarsi delle emozioni da annegare nelle cucchiaiate di insalata russa e dei ravioli alle noci. Come passa il tempo!

8 commenti:

bruna (laperfidanera) ha detto...

Quanti ricordi hai suscitato! Le mie prime sere a ballare (solo d'estate, nel paesino di campagna luogo di nascita di mio padre) sono state "in casa del prete". Sissignore, era un prete gesuita abbastanza di larghe vedute, e giustamente preferiva tenere sott'occhio i giovani che iniziavano a sentir scorrere gli ormoni nelle vene. Infatti i genitori non intervenivano, ma lui era presente fino all'ultimo quando, deciso che fosse l'ora di andare tutti a nanna, metteva il disco (credo di Carosone) che faceva "Buonanotte, le corde si son rotte, non posso più suonar...". Poco dopo però, con i primi maggiorenni del gruppo che potevano metter mano su un'auto, si andava invece a ballare, sempre al suono del jukebox, in qualche locale sul lago (Trasimeno), i fratelli maggiori incaricati di vegliare su fratelli e soprattutto sorelle minori...
Ballare veramente non tra amici d'infanzia, e con vera orchestra, l'ho potuto fare, sempre ragazzina, quando siamo andati in vacanza in qualche luogo di mare.
(Da quando sono sposata non ballo più, mio marito è il classico gatto di marmo, pur essendo pieno di altre virtù).

il monticiano ha detto...

Enri', e chi non l'ha vissuti quei momenti così eccitanti?
Il mio ostacolo era che non sapevo ballare e allora mettevo i dischi di mio gradimento.

Adriano Maini ha detto...

Bello più che mai questo racconto! I miei ricordi - anche se siamo più o meno di leva - sono molto più sfocati, anzi, quasi tutti derivano da racconti di altre persone. E balere, caso mai, non SOMS ...

Unknown ha detto...

Perchè non ci racconti delle decine di conquiste fatte grazie alla tua favella, in quelle stesse serate? Altro che ballo!
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Bru - Un solidale abbraccio a tuo marito!

@Monty - Il fatto è che allora se non ballavi non cuccavi.

@Adri - Sfocati certo, forse per questo ancora più struggenti!

@Cri- A parte il fatto che allora la mia favella era piuttosto impastata, specialmente di fronte al sesso avversario, ma allora la parola non andava tanto di moda, cominciò subito dopo nelle assemblee, Fino a quel momento solo l'occhio tenebroso dei grandi ballerini era utile alla fascinazione.

Anonimo ha detto...

Caro Enrico....s tesse sensazioni,stessa commozione,vissute a breve
distanza l'uno dall'altra durante una snervante e noiosissima cena sociale.
Lo abbiamo ricordato qualche mese fa:era l'età dell'innocenza dove il
pudore dei sentimenti e dei comportamenti prevaleva sul resto.Non
pensare che le ragazze avessero meno timori dei ragazzi.Fare da
tapezzeria tutta la serata non era certo piacevole oppure farsi invitare
da un ragazzo e poi ballare con un altro che aspettava dalla parte
opposta della pista per non farsi notare dai genitori sempre all'erta
non era un'impresa di poco conto. Non parliamo poi di vestiti e
trucchi.Divieto assoluto di abiti scollati o corti;rossetto dato di
nascosto ed un po' sbavato.Ma l'ansia dell'attesa e la felicità di
ballare erano tali da far superare qualsiasi ostacolo.Grazie per le
parole che hai scritto.Spero che qualche vecchio amico abbia letto e
ricordato con noi.Del resto dovremo rivederci presto con loro e
ritornare ad essere, anche per solo poche ore,quelli di un tempo.

Paola

Enrico Bo ha detto...

@Paola - Chissà se lo ha letto? Ho citato proprio il nome in chiaro, cosa che non faccio mai, per punirlo! ahahahah

ParkaDude ha detto...

Mi piace molto leggere questi ritratti del passato: le dinamiche sociali, le emozioni, le speranze... mettere in rete queste cose e condividerle (anche e specialmente con chi è nato dopo) credo abbia un grande valore culturale. Pensa per esempio che per me, come per tanti altri della mia generazione, l'accesso a questo tipo di informazioni sarebbe altrimenti limitato a qualche parente (zio etc).

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