giovedì 31 gennaio 2013

Lost in a desert beach.

Jambiani - Meditazione 
Bene. Non dovete pensare che vi abbia trascurato in questi giorni, lasciandovi solo il piacere di godervi qualche ormai vecchia immagine laotiana, ma vi assicuro che in Tanzania la connessione è spesso difficile quando non impossibile. Ora però, che la parte impegnativa del viaggio (e posso dire che, dati i miei limiti lo è stata)  si può dire compiuta, giunge come ogni volta il momento di assimilare le esperienze meditandone se possibile i contenuti. Per questo ho deciso che è ancora presto per rientrare e che questa fase del viaggio altrettanto importante possa essere espletata su una spiaggia quasi deserta, col solo rumore dello sciabordare delle onde, qualche palma isolata, il sole che tramonta alle mie spalle illuminando il mare smeraldo, acceso da barbagli di luce. Sono seduto su un charpoy di corda intrecciata, davanti ad un piccolo bungalow bianco su una riva che digrada lentamente tra le onde verdi. Sotto i piedi, cipria bianca, farina di conchiglie pastosa e morbida che ti carezza la pelle senza sporcarla. La brezza di mare spira leggera dilatando i tempi del respiro, allentando i muscoli ancor tesi per gli scossoni di strade difficili, dando fiato alle giunture indurite dall'età e dall'artrosi, tranquillità ad un intestino provato. Che dovrebbe fare un povero anziano se non respirare davanti al mare? Mantenere la mente affaticata in stand by, utilizzare una sequenza di pensieri e sensazioni positive, che so io, se ordinare per pranzo, gamberoni ala griglia o brochettes di pesce e polipo o se lasciarsi blandire dall'aragosta, alternando la digestione a fasi di sonno rem per raggiungere una sensazione di pace anche esteriore che metta l'animo in uno stato completamente positivo (anche questo sono le spiagge semideserte), per il momento che, dio non voglia, comunque verrà, quando dovrò riaffrontare Monti, Bersani e quell'altro di cui non ricordo più bene il nome, anche se qui hanno cercato continuamente di ricordarmelo sghignazzando, dei grandi omoni neri che si sbattevano le manone sulla pancia chiosando un mantra, un suono di tamburi lontani nella foresta che avevo dimenticato: bunga bunga, bunga bunga...

6 commenti:

Nidia ha detto...

Ti invidio e ti ammiro, Enrico, per il coraggio che hai di ficcarti in queste imprese avventurose. Incredibilmente affascinanti ma estenuanti. Esperienze che, immagino, ti lascino un carico di emozioni, paure sconfitte, forse anche ferite.

barni ha detto...

Fa piacere sapere di far ridere anche la Tanzania.
Chissà come rideranno quando, leggendo i risultati delle prossime elezioni, scopriranno che una decina di milioni di coglioni e/o farabutti l'hanno votato ancora...

Unknown ha detto...

Ho, capito, tardi ma ho capito.
Tu godi nel far morire dall'invidia!
Sei agli sgoccioli? Bene. Sei italiano? Tra poco ti sveglierai dal REM e ti ritroverai in un incubo.
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Nidia - Me le sto leccando le ferite e per la verità in un posto così è anche piacevole.

@Barni - Pensa che qui non hanno voluto neanche i soldi dei padani, per serietà naturalmente

@Cri - Purtroppo proprio agli sgoccioli,evito di guardare i giornali sul web, se questo può servire a prolungare la sensazione di abbandono.

Dottordivago ha detto...

A me interessa solo una cosa: il Chef's Pride è ancora un posto all'ordine o no?

Enrico Bo ha detto...

@Doc - Sei sordo al sentimento e rotto solo alle più insane passioni, lo chef's pride me lo sono tenuto per l'ultimo giorno

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!