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Cimitero di Noraduz - Lago Sevan - Armenia - Caucaso - maggio 2024 - (foto T.Sofi) |
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L'altopiano |
Dopo il caravanserraglio la strada scende di poco lungo sconfinati pascoli ondulati. C'è anche un banchetto che vende meravigliosi coltelli di ossidiana, dalle lame lucenti, davvero belli anche se a prezzi di affezione. Il venditore, che li fabbrica anche, sembra molto contento del nostro apprezzamento anche se alla fine non compriamo niente. Li mostra in silenzio, facendo scorrere le dita grosse e callose, sulla lama di pietra scheggiata da colpi attenti e perfetti per far saltare le schegge senza rovinarne la linea come facevano i suoi progenitori neolitici, gli occhi come fessure, le labbra strette se pure piegate in una specie di sorriso. Poi li ripone sull'asse del banchetto, pur apparentemente contento che qualcuno abbia apprezzato il suo lavoro. Lontanissime piccole casupole, riparo estivo di pastori e solo raramente qualche casa isolata, presidio di poteri lontani, sperduti in queste marche di frontiera, quasi completamente spopolate. Un fiumicello di montagna percorre tutto l'altopiano compiendo curve e controcurve con meandri larghi che frenano la corrente, a volte perdendosi in un acquitrino di canne, quasi che l'acqua non avesse nessun desiderio di scendere a valle e volesse invece rimanere quassù il più a lungo possibile, per abbeverare greggi, per potere scorrere calma con lo sguardo rivolto a questo cielo finalmente azzurro e libero dalle brutture che di certo troverà più a valle. Poco dopo ecco infatti un altro simbolo di questa voglia di purezza assoluta.
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La fonte |
Un piccolo recinto di pietra che racchiude una fonte di acqua quasi gelata, d'altra parte le placche di neve scendono fin qui dai rilievi vicini, che gorgoglia, ricca, da un cannello in una vasca antica, sormontata da una grande croce scolpita nella pietra grigia e da una scritta in armeno di incerta interpretazione, almeno per me. Un fonte alpestre che sapor d'acqua natia rimanga nei cuori esuli a conforto e a lungo illuda la lor sete in via, direbbe il Vate. Un invito ai viandanti a sedere sul muricciolo e a riposare un poco prima di scendere da questo mondo antico e pastorale, poggiando se ce l'hanno la loro verga di avellano. Per strada non incontriamo quasi nessuno, le poche auto che incroci, sono vecchie Zigulì scassatissime o Lada sovietiche mezze arrugginite, che pure se la cavano ancora su questi sentieri di montagna, arrampicandosi sulle carrarecce tra i monti. Eppure laggiù all'orizzonte dove la terra scende ancora, un diverso tipo di azzurro si confonde col cielo. Il sole si è ormai fatto strada tra le nubi e balugina come un'esplosione di stelline su uno specchio. Una superficie in cui le nuvole si rispecchiano per continuare il loro cammino, a sua volta circondato da altri monti lontani. E' il lago Sevan, l'ultimo dei tre grandi laghi di montagna che sono rimasti a questo paese. Gli altri due, un tempo parte della grande Armenia, raccontata da Polo, il lago di Van e quello di Urmia, sono rimasti rispettivamente alla parte estrema dell'Anatolia turca ed all'Iran.
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Il lago a sud |
E' la riserva idrica più importante del paese, date le sue imponenti dimensioni, un grande mare interno in alta quota visto che siamo attorno ai 1900 metri. Il suo nome significa lago nero, ma non per il colore delle acque che invece è di un azzurro vivo. Pare infatti che durante una delle consuete invasioni arabe (questa è terra di continue battaglie e tentativi di conquista), gli abitanti della città che sta proprio alla fine del lago, attraversarono a piedi la superficie ghiacciata per rifugiarsi sull'isolotto adiacente che ancora oggi ospita un antico monastero. Anche gli invasori si avventurarono sullo strato indurito, ma vuoi che fossero troppi, vuoi che la forza delle preghiere abbia fatto il resto, fatto sta che il ghiaccio si ruppe e l'esercito invasore finì a mollo e tutti annegarono, facendo sì che la superficie del lago fosse completamente nera di corpi che galleggiavano. Leggende, ma questo lago ha continuato ad avere una storia tormentatissima, fino all'epoca sovietica, quando un celebre ingegnere russo, quello colpevole della devastazione ecologica del lago di Aral, tanto per intenderci, tale Manasserian, all'inizio del secolo, propose di abbassare il livello delle acque, scavando canali di scolo, per favorire l'agricoltura nei dintorni. Era il momento in cui si celebrava l'epopea della battaglia tra l'uomo e la forza della natura, quasi una potenza nemica, ferale e quasi ferina, da combattere e distruggere, esattamente il contrario di quello che accade adesso insomma, dove si tende ad esagerare dall'altra parte.
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Il lago Sevan |
Lo scempio fu cominciato direttamente in epoca staliniana, con il fine di abbassare il livello della profondità delle acque di almeno una cinquantina di metri, fortunatamente alla fine degli anni '50, con la morte di Stalin, mentre il livello era già sceso di una ventina di metri, visto lo scempio in atto che avrebbe trasformato il Sevan in una pozza fangosa, il progetto fu arrestato e anzi si cercò di riparare deviando le acque di altri fiumi con canali sotterranei. Ma la soluzione tentata a volte si dimostrò peggiore del danno già cominciato e altre volte fu interrotta da guerre e grane varie, che la zona chiama a sé come una calamita. Al momento per fortuna, la situazione sembra stabilizzata, anche se parecchio danno è stato fatto. Comunque sia il lago è ancora bellissimo, con la sua solitaria pittoricità, le poche case lungo le rive ed il senso di solitudine che conferisce sempre l'alta quota. Vero è che sono sorti molti siti dove in estate si è espanso un turismo balneare, visto che il ritiro delle acque, che arrivano anche sui venti gradi ad agosto, ha formato una serie di piacevoli spiaggette. Scesi dall'altopiano, di qualche centinaio di metri, intanto arriviamo all'estremo sud del lago e lo costeggiamo sulla strada M10 che ne percorre l'intero perimetro a sinistra verso nord. La sensazione è di calma assoluta e le rive sembrano quasi disabitate, anche se è vero che siamo ancora fuori stagione, ma come tutti i laghi alpini mi comunica un certo qual senso di tristezza. Un frammento di arcobaleno esce dalle nubi e si tuffa nel lago quasi a volerti invitare a seguire le tracce della pento d'oro.
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Il cimitero di Noraduz |
Oltretutto sembra che anche la famosa trota del Sevan, che assicurano deliziosa, sia ormai praticamente scomparsa, sostituita dal coregone del Ladoga, pesci rossi e gamberi anatolici, insomma, tra cinesi, russi e turchi 'sta povera Armenia, vogliono proprio farmela a pezzi e sostituirmela etnicamente. La strada prosegue lungo il lago e dopo una quindicina di chilometri, all'interno di una tozza penisola che si allunga verso le acque, c'è un piccolo abitato di case basse e malandate. Al loro fianco un'ampia superficie ricoperta da un folto prato che con i raggi del sole ormai conclamato, si mostra verdissimo. All'interno, come una fungaia anomala, una incredibile serie di steli rosse, si alza da terra in ogni forma e dimensione. Siamo nel cimitero di Noraduz, il più grande rimasto di questo tipo, dopo che gli Azeri hanno distrutto e spianato, quello medioevale di Julfa sul confine dell'enclave azera di Naxçivan che ne presentava oltre 10.000, in una sorta di genocidio culturale che lo ha trasformato in un poligono di tiro, dopo la caduta dell'URSS. Entri in questo campo di memorie e davanti a te, a perdita d'occhio, si estende una foresta di pietre rosse che escono dal terreno, oltre mille pare, che risalgono addirittura al IX secolo. Qualcuno dice anche prima. E' probabilmente la più grande collezione a cielo aperto di Khtachkar, una delle arti artigianali artistiche, proprie unicamente di questo paese.
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Tomba di un bimbo |
Questo tipo di stele, formato di una pietra rettangolare, generalmente di arenaria rossa, più facilmente lavorabile, presenta una bella croce circondata completamente da una serie di figure o di fregi naturalistici, tralci di vite, foglie, uva, disegni geometrici e dischi solari. Il luogo oggi, ha perduto la sua sacralità cimiteriale, ci passano le greggi, brucando il verde pascolo ed i ragazzini ci giocano a pallone, ma l'atmosfera tra questa selva di pietre rosse, battute dal sole che sta per tramontare dietro le colline, trasformandole in pale infuocate, sopra le quali, i licheni e le muffe secolari hanno aggiunto all'opera dell'artista umano, quello casuale ma straordinariamente efficace della natura, danno uno spettacolo che ti lascia senza fiato. Un gruppetto di donne infagottate di scialli neri vicino all'ingresso, vendono lavori a maglia, calze spesse per l'Inverno, guanti e sciarponi colorati, ma senza insistenza. Noi procediamo fino al centro del prato passando vicino alle mura dell'antica chiesetta che lo presidia e fermandoci continuamente ad ammirare le croci ed i loro complicati bassorilievi. Quelle piccole a terra, allineate a gruppetti di quattro o cinque, portano solamente la sagoma del corpo bambino che racchiudono. Un senso di serena pietà le circonda, con quel segno sbozzato dei corpicini sepolti gli uni accanto agli altri, senza nomi o distinzioni, forse per una malevola epidemia o chissà come altrimenti.
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Nel cimitero |
Le più recenti sono state erette attorno al XIII secolo e sono più grandi e raffinate, le più antiche più semplici e rozze, anche se forse, l'imprecisione del tratto è dovuto più all'ingiuria delle intemperie che alla mano dell'artista che le ha create che di certo rozzo non era. Che meraviglioso colpo d'occhio! Alcune sono assiepate come una barriera senza spazi, altre sorgono spargole qua e là come cresciute naturalmente, altre ancora stortagnole o addirittura cadute a terra, come vinte dal peso dei tempi, davanti a lastre tombali ingobbite dalla spinta delle radici sotterranee o dalla forza smisurata dei terremoti che percuotono periodicamente questa terra. I fregi ne ornano i bordi con archetti e trine eleganti, i rami di pampini ne completano le campiture, mentre le figure più complesse e misteriose si affidano alle interpretazioni più di fantasia. In qualche gruppo più fitto si innalzano piccoli obelischi che spiccano alla vista di lontano, quasi ci fosse un disegno preordinato, una mappa da seguire che porti ad una meta finale nascosta e densa di mistero. Hai assieme un senso di mistico e di fatato al tempo stesso, un passeggiare in un regno fantasy in attesa dell'arrivo di qualche creatura d'altri mondi. Fatichiamo a staccarci dal sito, ma non vogliamo perdere il tramonto dal punto più a nord del lago, dove spicca sulla collinetta in mezzo alle acque la sagoma della cupola del monastero di Sevanavank, dove ci avviamo prima che diventi sera.
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Figure |
SURVIVAL KIT
Lago di Sevan - Uno dei più grandi laghi in quota del mondo, rappresenta il 5% della superficie dell'attuale Armenia. A 1900 metri. Attualmente ha avuto un certo sviluppo turistico. Da vedere il famoso cimitero di Noraduz sulla riva occidentale, che conserva centinaia di croci antichissime (Khachkar) e il monastero di Sevanavank, su quella che dopo il calo di acqua è diventata una penisola con una altura che domina tutto il nord del lago. Una strada di oltre 200 km lo circonda completamente e che si può percorrere per gustarne ogni panorama in ogni direzione, che nella riva est raggiunge quasi fino ad un paio di chilometri il confine azero.
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Steli di khrachkar
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Khachkar antica IX sec. |
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