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Monastero di Noravank - Armenia - maggio 2024 (foto T. Sofi) |
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Nella chiesa |
Possiamo ben dire che la giornata sta volgendo al termine e che non è stata una giornata qualunque, con un percorso di quattro tappe che ha percorso due millenni pieni di storia, presentandoci segni davvero notevoli. C'è di che essere contenti ed il rientro in città ci vede, come si dice, stanchi ma felici per la bella giornata trascorsa. Una volta questa battuta faceva ridere, ma i tempi sono cambiati, dunque prima di tutto bisogna pensare alla cena. Ci sostiene l'amico Gianluca che ci indica uno dei ristoranti che sembrano essere al top nelle preferenze dei locali, il Lavash, nella centralissima Tumanyan, pieno centro della movida serale. In effetti, anche se una fastidiosa pioggerellina continua ad insistere sulle nostre teste, il centro è pieno di gente, di ragazzi, di gioventù, che riempie i grandi viali di Yerevan che vanno in giro, pieni di voglia di divertirsi. In effetti il locale è ottimo sotto tutti i punti di vista. Riusciamo ad ottenere un tavolo buono, aspettando un po', ma alla fine ci piazziamo e cominciamo a spaziare nel menù, seguendo i consigli di Luca, per provare alcuni dei piatti tipici più interessanti. Ne proviamo sei, che scopriamo subito essere tra i più gettonati, delle tagliatelle molto buone, una zucca al forno con melanzane e altre verdure, che si scioglie in bocca, un bel piatto di formaggio al barbecue, un ricco piatto di pollo, patate grigliate e un plof particolare, di frumento invece che di riso, coi funghi, buonissimo.
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Il khor Virap |
Purtroppo la famosa torta di sfoglia, gloria del locale, alta quasi quaranta centimetri, gloria del locale, che abbiamo tardato ad ordinare, è finita, maledizione, andata tutta in un attimo, eppure ce n'era un tavolo pieno. Memento per la prossima volta, perché tanto qui ci dobbiamo tornare. Accidenti, ce ne andiamo perché il turnover è velocissimo e non va bene far aspettare troppo gli avventori in attesa sulla porta. La caposala ci saluta con molta cortesia, visto che abbiamo mostrato di apprezzare le varie portate. Per strada ancora molta gente e nessuna traccia di manifestazioni dietro alla chiesa dove ieri c'era l'assembramento. Sono quasi le 10 e sembra tutto davvero molto tranquillo e anche alla sera si passeggia tranquilli per le strade. La nostra krusciovka ci aspetta serenamente nel buio della notte, defilata in una via laterale. L'alba delle 8:30 ci ritrova pronti alla nuova giornata. Facciamo prima un salto al supermercato SAS, che da queste parti deve essere una istituzione, come lo era a Mosca il primo Sadko, in epoca sovietica, dove convergevano, come aquile perdute nella steppa, tutti gli expat che vivevano laggiù, per trovare profumo di merci occidentali, a caro prezzo naturalmente, e cambiamo un po' di soldi in Dram, operazione che si rivela semplicissima. Complicato invece attraversare il corso, visto che c'è una fila ininterrotta di auto che marciano abbastanza spedite. Ci lanciamo con la tecnica imparata nel sudest asiatico di camminare decisi senza tentennamenti e tutti ti evitano alla fine.
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Il confine turco |
Insomma salvi anche questa volta. Diamo un'occhiata agli scaffali. in particolare alla sezione cognac armeno, di cui non vorrei partire senza, più che altro per controllare i prezzi che si rivelano più o meno uguali come da ogni parte, quindi rimando l'acquisto alla prevista visita della distilleria Ararat, alla fine del giro e intanto partiamo verso sud est, verso quella che oggi sarà una sfilata di paesaggi naturali assolutamente magnifica. La strada che si allunga fuori città rimane perfettamente rettilinea per molti chilometri, attraversando paesetti anonimi e senza particolari attrattiva, ma una cosa ne accomuna l'immagine. La lunga sfilata di pali della luce che le costeggiano e che ospitano, invariabilmente in cima ad ogni palo, che finisce con un trespolo a croce per meglio sostenere i fili, un gigantesco viluppo di rami e ramoscelli, ben sistemati in tondo fino a diventare un grande nido. In ognuno di essi ecco manifestarsi una famiglia di cicogne. Le vedi apparire di lontano nel cielo, solitarie con grandi voli circolari che finiscono con planate lentissime, rallentate ancor più quando il grande uccello plana proprio su quel nido dove lo stanno aspettando tre o quattro becchi spalancati, in attesa che il genitore gli depositi in cibo che è andato a procurarsi in giro. E' un continuo andirivieni, prima del padre poi della madre, i becchi sempre aperti in attesa insaziabile. Sono uccelli splendidi nella loro figura secca ed allampanata, ma a suo modo elegantissima, specialmente durante il volo. Rimangono un poco a controllare che il prescelto ingurgiti il cibo, poi dopo aver atteso un po' l'altro coniuge che sta arrivando, ripartono in cerca. La cosa più impressionante è che per chilometri, non c'è un posto libero in cima ai pali.
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Cicogne |
Ogni trespolo è occupato senza possibilità di scelta, anche se solo, curiosamente, in presenza di centri abitati, evidentemente la presenza umana, non solo non disturba, ma anzi probabilmente aiuta essendo fonte di comodi rifiuti. Ne vedremo ancora molte nei prossimi giorni, evidentemente le cicogne trovano qui un luogo perfetto dove rimanere ad allevare la prole in attesa che, come si dice, lasci il nido. Per chi non è abituato, è una presenza incredibilmente bella e staresti lì a guardare questo andirivieni per ore. Ma noi dobbiamo andare avanti e il paesaggio cambia mentre corriamo così guadagnando terreno e lasciando le zone più abitate. Il monastero di Khor Virap è adagiato su uno sperone di roccia sul fianco di una collina. La sua posizione è iconica e si aggiunge alla sua rappresentazione di essere uno dei più noti del paese. Infatti è una sorta di balcone sulla larga e sconfinata valle che si stende ai suoi piedi, la cui fine si perde nel tremolio dell'aria che confonde l'orizzonte. E al di là della valle la sagoma inconfondibile dell'Ararat incombe come un gigante addormentato. Ti pare di poterlo toccare con mano appena lì oltre la curva dolce della terra che si allunga sotto di te, eppure la cima è lontana ventuno chilometri, ma la dimensione della montagna, la fa sembrare talmente vicina che le distanza si annullano. Questo è una delle foto più rappresentative dell'Armenia, col minuscolo monastero murato, visto dalla collina antistante, la cupola aguzza che svetta al di là della basse torri, che si staglia contro la maestosità della montagna, diventando silhouette perfetta contro le nevi eterne che ne dipingono la cima, scendendo verso il basso fino a confondersi con le ocre della base che si mutano in verde sporco man mano che il terreno si spiana.
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Una khrachkar |
Oggi però la cima è incappucciata di dispettose nuvole bianche che, anche se disturbano l'idea di foto che avevo in mente, sono tuttavia parimenti evocative. La chiesa è punto di arrivo importante per la devozione popolare. La leggenda racconta di come qui in una grotta profonda nel terreno sia stato imprigionato dal re Tiridate, quel San Gregorio detto l'Illuminatore che portò la religione cristiana quaggiù nel III secolo, per ben 13 anni rinchiuso nelle profondità della terra, senza vista della montagna in attesa che rinunciasse a Cristo. Ma quando riuscì a guarire con l'imposizione delle mani, lo stesso re che di tanto in tanto andava a vedere se avesse cambiato idea, da una tremenda affezione della pelle che gli sfigurava il viso, ne provocò, nel 301, la conversione immediata assieme a tutta la corte e di conseguenza dell'intero regno. Bel colpo direte voi, ma intanto, nella chiesa sorta sul luogo e successivamente molte volte ricostruita e rinnovata, i fedeli fanno la fila per entrare nel famoso buco che porta alla supposta prigione sotterranea. Per la verità la discesa non è molto agevole, tanto che anche la mia determinata accompagnatrice, nonché compagna di vita da 52 anni (domani), rinuncia per la difficoltà a scendere i fortunosi e ripidissimi gradoni, spinta dalla folla, per infilarsi nel cunicolo. La costruzione è molto bella ma quello che ti incanta è comunque la vista con quella enorme montagna fondale perfetto che ti riporta sempre il pensiero ai suoi misteri inviolati, alla sua posizione strategica e poi quando butti l'occhio in giù ecco riconoscibilissimo il reticolato che corre a non più di qualche centinaio di metri di distanza e segna il confine con il turco rapace, che via via nel tempo ha guadagnato terreno, portandolo via a quella "picciola Arminia" come la definì Marco Polo quando passò da queste bande, raccontandoci del monte e delle sue leggende.
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Noravank |
Vedi nettamente le piccole torrette di legno e la strada che costeggia i fili spinati. una piccola fascia di terra brulla che subito dopo lascia spazio ai coltivi di un verde spento, che questa è terra arida, ancorché le nevi siano così vicine. Non c'è nessuno laggiù in basso, non ci sono varchi di confine vicino, tutto sembra così innocuo e abbandonato, da far ragionare sulla completa inutilità di queste divisioni arbitrarie di queste cesure tracciate da menti contorte, traviate da religioni e malevolenza, ma questo è l'uomo con le sue storture. Riposare seduto su un muretto, mentre gli occhi passano dalla montagna alla pietra delle pareti che alternano colori ocra ai grigi, con le croci ricche di merletti ricavati dal paziente lavoro dei maestri scalpellini, che le disegnarono, mentre il nostro Gianluca ci fa scorrere il racconto di questo medioevo, di regni perduti, di un popolo che allora era grande e potente, dedito ai commerci che fiorivano in questo crocevia tra Europa e Asia; la storia importante che ha percorso questa terra ed ha molto influenzato tutta questa area. E' difficile capire una nazione e un popolo se non ti rifai continuamente alla sua storia e alle vicende che si sono succedute in un luogo, determinandone anche l'arte, lo sviluppo, lo stile di vita. Nella storia, se riesci a indovinarne le cause, le motivazioni, i mutamenti geopolitici, al di là del suo semplice dipanarsi nel tempo, c'è la spiegazione di tutto e risulta un poco più semplice capire gli avvenimenti che si sono succeduti anche a distanza di secoli.
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Il fondo della valle |
Insomma se vai in giro è bene informarsi anche sul passato se vuoi conoscere il presente. E dopo questo pistolotto di saccenza spicciola, scendiamo dalla collina e proseguiamo verso sud. Cominciamo a salire verso le montagne ed il paesaggio diventa sempre più severo e solitario. Siamo circondati da una natura non dominata da nessuno, con pareti alte, rocce scabre sempre più rosse, man mano che procediamo verso l'Iran, con boschi di piante basse e contorte, fitte ed impenetrabili anche agli armenti, dei quali infatti non si vede traccia; in ogni caso ti sembra di penetrare una terra incognita nella quale l'uomo è estraneo. I chilometri scorrono fino a quando pieghiamo in una valle laterale, se possibile ancora più stretta e selvatica. Il torrente che ne percorre il fondo rimane quasi invisibile, coperto com'è da vegetazione e anfratti rocciosi, montagne di massi che indovini crollati a valle dalle pareti fragili, durante millenni di solitudine. La valle finisce in un circo maestoso di pareti rosse come il fuoco che si innalzano quasi verticalmente, corrose dall'acqua e dal vento. Su una balconata ecco spiccare il muro basso del monastero ed all'interno di esso si eleva la sagoma verticale della chiesa di chiesa di Surb Astvatsatsin, la Santa Madre di Dio, che quasi nasconde quella più bassa ed un poco più nascosta di Surb Karapet (S. Giovanni Battista), che anche forse a causa del colore delle pietre con le quali è costruita, anch'esse di colore rosso in varie tonalità, tende a confondersi, almeno da lontano con la montagna che le sta alle spalle.
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Il portale |
Le due chiese sono note soprattutto per gli esterni, straordinariamente ornati da bassorilievi di particolare raffinatezza ed eleganza, nella maggior parte opera di un famoso artista, architetto e scultore armeno Momik, noto soprattutto per le sue khachkars, le croci scolpite molte delle quali ornano il monastero, che tra l'altro ospita anche la sua tomba, per la quale l'artista, sommo esempio di modestia, ha scelto una delle sue croci più semplici, ma non per questo meno elegante. Anzi si può dire che proprio per questa sua semplicità spicca ancora di più tra le altre, per finezza di stile. Ma ogni antico manufatto è circondato di leggende e quella riguardante la croce di Momik, me la racconta l'anziano guardiano mentre mi stavo riposando sul muretto nell'ammirazione della facciata. Pare infatti che Momik si fosse innamorato, ricambiato, della figlia del principe Syunyats, il finanziatore dell'opera. Il principe, come tutti i padri un po' innervosito della cosa, si dice disposto a darla in sposa a quello che, per quanto abile e famoso, rimane pur sempre un artigiano, se lui gli costruirà il monastero finendolo in soli tre anni. Il maestro si getta a capofitta nell'opera e lo finisce in due. Il Principe sempre più incattivito manda un servo a controllare con ordini precisi e questo visto che l'opera era praticamente compiuta, obbedisce all'ordine avuto e, dopo aver condotto il maestro sul tetto con la scusa di controllare meglio la compiutezza del lavoro, lo spinge giù dal tetto affinché si spiaccichi proprio sul sagrato.
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La facciata |
Così la croce più elegante scolpita dal maestro che era stata progettata proprio più piccola e semplice per finire in tempo, fu usata proprio per la tomba di Momik. Così sono le leggende, da sempre sovrapposizioni di verità e mito, a noi posteri rimane solo l'ammirazione per la bellezza assoluta di questa filigrana di pietra. Ma la chiesa è famosa soprattutto per la sua facciata, che si eleva quasi verticalmente con una curiosa doppia scala esterna, fatta solamente di gradini di pietra sporgenti, unica possibilità che consente di arrivare al secondo piano, di norma chiuso. Anche sulla scala quindi è vietato salire anche a causa della sua pericolosa verticalità, oltre che per preservare l'opera, ma la sua presenza è un segno distintivo del tutto particolare che individua immediatamente la costruzione ed essendo unica te la farà immediatamente rimanere nella memoria. L'interno non è particolarmente stimolante, più chiaro dalle analoghe chiese già viste, grazie alla serie di aperture ad arco presenti nel tamburo superiore, sormontato da un magnifico cono, restaurato di recente. Tutta la costruzione mantiene in ogni caso un aspetto di rara eleganza, con questo suo andamento verticale e le definite costolature che ne delimitano i bordi, assieme alla perfezione degli altri elementi stilistici, colonnine, archetti, bassorilievi. C'è poca gente in visita e l'interno, che al contrario delle pareti esterne che spiccano per un colore ocra smagliante, è di un grigio deciso.
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Una ballerina bianca |
L'ampio Gavit, il vestibolo privo di colonne di sostegno, è invece particolarmente suggestivo, oscuro per la mancanza di luce che vi penetri se non dalla stretta porta di ingresso, sorretto com'è da magnifici semiarchi che emergono dai muri, incrociandosi fino a formare un quadrato centrale, una soluzione architettonica davvero interessante. Il pavimento poi è completamente coperto di lastre tombali di pietra grigia scolpita, da superare come camminando su un terreno rigonfio da pulsioni interne, come fosse stato squassato da terribili terremoti. L'unica navata interna, quadrata, è apparentemente più grande di quanto ci si aspetta dall'esterno e qui noti subito la differenza tra il rito armeno e quello della vicina Georgia. Infatti le chiese armene non prevedono l'iconostasi ed al posto della classica divisione lignea ricoperta di immagini sacre che nascondono alla vista dei fedeli i membri del clero officianti prevista dalla chiesa ortodossa, c'è solamente un filo steso in alto su cui scorre una tenda da tirare, evidentemente alla bisogna. Usciamo per goderci ancora il sito nella sua bellezza selvaggia, circondati dalla sfilata di khachkar che si susseguono lungo la parete di roccia e nel piccolo prato adiacente. Schegge rosse nel verde vivo, memorie straordinarie più che per i i morti a cui erano destinate, ricordo degli artisti che le hanno immaginate e scolpite. Sulla bella croce si posa un uccellino grigio col capo ricoperto da un ciuffi di piume nere, è una ballerina bianca dalla lunga coda, che si gira attorno un attimo per capire se corre qualche pericolo, fa un cip deciso, si sporge verso la valle, poi, senza riconoscere il sacrilegio compiuto, lascia cadere sulla pietra rossa una traccia del suo passaggio, una piccola goccia biancastra, inconsapevole della caducità e della importanza di cui vuole ammantarsi l'uomo. Anche Momik saprà farsene una ragione.
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La crociera del vestibolo |
SURVIVAL KIT
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Croci khrachkar |
Restaurant Lavash- 21, Tumanyan str. - Yerevan - Locale che va per la maggiore in città, sempre pienissimo, infatti dovrete prenotare per trovare un posto, anche se il locale è molto grande. Tipica cucina armena ma molto curata e a prezzi assolutamente accessibili. Noi abbiamo provato diverse proposte nelle due sere in cui siamo stati, sempre molto valide. Piatti abbondanti e servizio molto curato e veloce, con camerieri gentilissimi. Non perdetevi assolutamente la gran torta di sfoglia, che sembra enorme, ma è talmente leggera che anche le gigantesche fette che vengono servite, vanno giù molto bene, ma prenotatela subito perché vanno via velocemente e rischierete di rimanere senza. In quattro 15.000 Dram, assolutamente valido e consigliatissimo.
Monastero di Khor Virap - A 40 km a sud della capitale è uno dei più famosi del paese con splendida posizione davanti all'Ararat. La costruzione attuale è del 1661 con vista imperdibile sull'Ararat. Il confine turco è giù nella valle a pochi passi. Meta di molti pellegrinaggi, ci è venuto pure il Papa.
Monastero di Noravank - A 120 km dalla capitale sempre proseguendo verso sud est. Racchiuso da mura in fondo ad un profondo canyon. Costruito nel XIII secolo con due chiese principali e diverse cappelle, con molte croci armene del famoso scultore Momik. La chiesa principale presenta bellissimi bassorilievi sulle mura esterne e anche la posizione nella stretta gola è molto suggestiva
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Le tombe nel gavit
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