Soffia il vento dell'est
Un (finto) blog di viaggio. Parole, idee, immagini in libertà.
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domenica 28 settembre 2025
sabato 27 settembre 2025
Seta 48 - In terra Mongola
Mongolia, la pista dopo il confine - giugno 2025 |
Questa volta non siamo in ritardo ma ci siamo presi quel giuso lasso di tempo che consente di fare le cose con calma. Oltretutto Hohhot è una città che non sembra così congestionata come altre città cinesi e anche la stazione è decisamente più calma. E' la nostra ultima esperienza di ferrovie cinesi che ci farà raggiungere la frontiera mongola in un'ultima notte nella quale avremo tutto il tempo per meditare su questa esperienza inusuale e faticosa anche se fantastica. Il treno disponibile, questa volta, è un lento convoglio tradizionale che ci metterà addirittura più di 8 ore ore compiere i meno di 500 km che ci separano dal confine. Una notte intera, avvolti dal buio della oscurità, un simbolo anche reale del lasciare il certo, che ormai, con buona ragione, ci sentiamo padroni del territorio cinese, per l'ignoto, quella immensa, sterminata Mongolia deserta, terra incognita che ci aspetta al di là di questo remoto confine asiatico. Non ci sarà neppure una fermata, come se questo cammino fosse un viaggio senza ritorno. Ora che hai scelto di scendere nell'Averno, non c'è possibilità di tornare indietro, puoi solo andare avanti verso l'oblio definitivo, lasciate ogni speranza insomma, finita la pacchia delle auto elettriche e del tutto a disposizione, si va verso una terra desolata e selvatica, che se è rimasta spopolata per millenni ci sarà pure una ragione.
Come vi ho già detto, giustamente dato che siamo over 70, ci hanno assegnato le cuccette basse e quando arrivano i nostri due altri compagni di viaggio, due giovanotti di belle speranze, si sistemano subito con un balzo felino sopra di noi e poi via le luci, mentre il treno lascia la stazione verso l'ignoto. Arriveremo verso le sette, all'alba, quindi abbiamo tutto il tempo per farci una bella dormita, anche se a me riesce sempre difficilissimo avere un sonno regolare in viaggio, specie su mezzi di trasporto e non è che sia scomodo o per il movimento, ma è di certo una ragione psicologica, l'agitazione del non sapere si ci sarà mai qualche tipo di problema, fatto sta, che dormo a sprazzi, svegliandomi spesso, comunque alle 5 comincio ad andare a darmi una lavata e a rassettarmi per essere pronto all'arrivo, come sempre molto puntuale. Entriamo in stazione lentamente, si tratta comunque di un capolinea dove tutti scendono lentamente, tanto il treno non va più da nessuna parte. C'è un altro motivo per cui nessuno si affretta, infatti la frontiera, come sapremo successivamente, apre alle 8 e quindi abbiamo quasi un'ora per muoverci.
Nel piazzale antistante la stazione, piuttosto dimessa rispetto a quelle che abbiamo visto fino ad adesso, ci sono già diversi pulmini in attesa, pare infatti che questo passaggio di frontiera abbisogni di tutta una serie di tecnicalità, che necessitano un rituale preciso e non modificabile, per cui ci mettiamo nelle mani di questo tizio, che carica un po' di altri passeggeri, preleva il pattuito e poi comincia a girare qua e là, per eventuali colazioni, ultimi acquisti e in sostanza per perdere il tempo sufficiente a che apra il varco della frontiera. In giro non si vede uno straniero, a parte naturalmente i Mongoli, massicci e rotondetti, riconoscibilissimi in mezzo ai minuscoli cinesi. Alla fine prendiamo la strada verso la frontiera che è qualche chilometro fuori città. Ecco infatti in mezzo al nulla, alcuni grandi costruzioni in cemento con cartelli sulla strada che inneggiano alla imperitura amicizia tra i paesi confinanti. Scarichiamo i bagagli e ci avviamo all'interno, dove segui il percorso obbligato, guardandoti intorno nel timore di sbagliare qualche cosa che ti indirizzi in un canale diverso da quello previsto. Alla fine dopo gli opportuni controlli, a quello del passaporto la macchina comunque ti parla in italiano, tanto per ricordarti che siamo in Cina, dove tutto è sotto controllo, e ti scarica dall'altra parte dove passano anche le valigie.
Usciamo perplessi per capire cosa si deve fare adesso, ma, niente paura, ecco lì appena fuori, il tizio del pulmino che ricarica tutti i bagagli e ovviamente anche i passeggeri e riparte allegramente verso il nulla. Già, perché abbiamo fatto per il momento solo la frontiera cinese e quindi dopo un altro tratto di terra di nessuno, diciamo un paio di chilometri ulteriori, ecco l'altro edificio dove più o meno si svolgono le stesse pratiche, qui apparentemente un po' meno tecnologiche con relativo timbro di passaporto finale e uscita finalmente liberi. Qui ecco di nuovo il nostro tizio, che quindi, ha svolto un discreto lavoro, il che giustifica la prebenda richiesta e ci porta finalmente alla piccola città mongola di Zamyn Uud, scaricandoci davanti alla stazione ferroviaria, punto di arrivo di tutti, in particolare di quelli che prendono il treno per la capitale Ulan Bator. Noi no, ma abbiamo comunque un appuntamento lì, visto che sembra sia il punto di arrivo obbligato per chi arriva dalla Cina. Pare che presto la linea ferroviaria cinese verrà unita alla Transmongolica che, dopo la capitale, prosegue fino in territorio russo per collegarsi alla Transiberiana a Irkutsk, che dista da qui un migliaio di chilometri, ma al momento sembra tutto di là da venire.
Naturalmente prima di mollarci il nostro Caronte, già rubizzo assai la mattina presto, vuole farsi alcune foto con noi dato che non gli era mai capitato di traghettare occidentali oltrefrontiera e poi se ne va stupito che non corriamo a prendere il treno. Noi intanto ci aggiriamo intorno come zombie, un poco per la notte trascorsa, un po' perché cominciamo a preoccuparci nel non vedere nessuno che ci aspetti con un cartello in mano, visto che oggi sono previsti ancora all'incirca 700 km, quasi tutti fuori strada e intanto sono già quasi le 9. Gianluca comincia a girare nella piazza chiedendo a destra ed a sinistra se c'è qualcuno che aspetta degli stranieri, anche se siamo gli unici in vista, meglio sempre precisare. E qui abbiamo subito una delle prove che ci fa capire che siamo arrivati in Mongolia, dove le cose vengono evidentemente prese con una certa calma, in quanto il tempo è una variabile di imponderatezza assoluta e che non viene molto considerata. Dopo un po' saltano fuori due tizi che sarebbero quelli che ci aspettano, con un pulmino Mitsubishi, un po' malandato, che alla vista non promette benissimo. Comunque sono i nostri che non dimostrano certo di essere pressati dal bisogno di trovarci.
Comunque carichiamo il materiale e cerchiamo di capirci visto che parlano solo il mongolo. Il nostro tentativo di procurarci una Sim è subito frustrato dal fatto che i negozi deputati a questo tipo di servizio, posto che ci siano, sono chiusi e non è ben chiaro quando aprano, forse alle 10, forse alle 11, come vi ho detto il tempo è una variabile di scarsa rilevanza. Alla fine comunque si decide di partire, della Sim faremo a meno, tanto sembra che in giro il telefono non prenda quasi da nessuna parte, quindi ci penseremo a suo tempo, se e quando sarà necessario. L'unico tempo che riusciamo a risparmiare deriva dal cambio che ci fanno direttamente i due tipi, visto che pare che in banca, che comunque è ancora chiusa, ci voglia più di un'ora per effettuare questa complessa operazione. Intanto si sono fatte le 10 e la preoccupazione aumenta visto che la strada da fare prevista è moltissima. Finalmente ci si avvia e la strada non è male, almeno all'inizio e si va abbastanza spediti attraverso un deserto desolato e piatto, completamente spopolato che ti dà veramente l'idea di un luogo sperduto nel nulla. Verso le 13 abbiamo già fatto almeno 200 km e arriviamo ad un paesotto fatto di baracche basse e malandate che sembrano messe assieme con lamiere e muri di fortuna; le strade sono sterrate e sottosopra, non c'è un vero e proprio centro.
Capiremo in seguito che questo è l'aspetto standard di tutti gli abitati mongoli. La maggior parte della casupole sono circondate da un muro di terra che forma un cortile da cui si accede all'interno, Ci fermiamo in un locale che appare pretenzioso all'interno, quantomeno messo insieme in tempi recenti, ma la scelta del cibo è disagevole e alla fine dobbiamo ripiegare su degli straccetti di pollo fritti che ci guardano tristissimi da un contenitore dove riposano da giorni e che l'addetto ci serve con una certa stanchezza. Sono abbastanza immangiabili e neanche troppo a buon mercato, visto che questo dovrebbe essere un locale in, forse il migliore del paese, ma a questo punto si fa di necessità virtù, basta che ci muoviamo, ma i nostri conduttori se la prendono calma, alla fine riusciamo a muoverci, ma subito prendiamo una pista un po' malandata sulla quale la velocità media cala decisamente. Siamo in un paesaggio ondulato, fatto di pascoli poveri e di un verde giallastro, come se non piovesse da giorni, popolato di greggi numerose e a tratti vedi altri gruppi di ogni genere di bestiame, mandrie di cavalli piccoli dalle lunghe code e che scuotono criniere abbondanti, costituiti da molte femmine con puledri al seguito, nati da non molto; bovini che si aggirano con aria stanca cercando di brucare la poca erba che li circonda e infine gruppi di cammelli che paiono sentirsi maggiormente a loro agio in quei terreni estremi e disagiati.
Di lontano ogni tanto vedi una gher, le tende rotonde e bianche che popolano tutta la Mongolia e che sono le uniche vere abitazioni dei pastori nomadi, che si possono smontare in una giornata e spostare rapidamente verso altri pascoli quando la situazione lo richiede. In una zona un po' più selvatica dove non compare alla vista alcun tipo di bestiame, vediamo due gru grigie, le cosiddette demoiselle che trascorrono qui l'estate dopo aver attraversato in volo l'Himalaya e che arrivano dalla lontana India e in lontananza un gruppo di gazzelle che si mettono in fuga veloce non appena sentono avvicinarsi il nostro mezzo. Evidentemente conoscono il pericolo che rappresentano i cacciatori. Sta di fatto che dopo tre orette abbiamo fatto appena un centinaio di chilometri e non si riesce a capire come faremo ad arrivare a destinazione visto che siamo a malapena a metà strada o anche meno. Alle 8 cala il buio e la strada diventa sempre più difficile. Arriviamo in un altro paesotto senza nome, che sembra completamente abbandonato visto che non si vede anima viva in giro, dove facciamo benzina e ripartiamo nella notte. Nessuno dei nostri due pare minimamente preoccupato della situazione. Comunque sia e a questo punto dico per fortuna, un paio di chilometri fuori del paese, mentre la pista è diventata una serie di avvallamenti scoscesi, sentiamo un bel crac deciso dell'avantreno e il mezzo si pianta nel terreno.
Scendiamo a vedere, maneggiando le torce dei telefonini, ed i più negativi del gruppo dichiarano che, essendo, almeno così pare, sia partito il semiasse, il mezzo è definitivamente fuori uso e rimarremo qui in mezzo al nulla per sempre. Mentre i due autisti sono coricati sotto il pulmino a trafficare, a mio parere più per far vedere che cercano di fare qualcosa, arrivano un paio di macchine dal paese, non è chiaro se casualmente o chiamate ad hoc, Poi arriva anche un sedicente meccanico che si butta anche lui sotto il mezzo. Le donne scendono dalle auto e con una schiera di bambini a bordo, si mettono anch'esse a guardare e a fare competenti dichiarazioni in mongolo. Cerchiamo un disperato contatto con la nostra referente di Ulan Bator, per cercare di risolvere la situazione che tuttavia, non pare essere minimamente preoccupata di quanto sta succedendo, anzi, dichiara che se arriva qualcuno dal villaggio, il mezzo sarà riparato in due o tre ore e potremo proseguire senza problemi per i successivi 3 o 400 chilometri fino alla meta raggiungibile probabilmente in una decina di ore! Ma qui siamo fuori di testa. Dopo un primo litigio telefonico, si giunge alla definizione che sarà trovata una sistemazione alla meglio nel villaggio e chi vivrà vedrà. Ho capito che questa tratta mongolica si sta rivelando più complessa del previsto.
SURVIVAL KIT
Treno da Huhehaote (Hohhot) a Erlian - K7932 - 22:15 - 6:49 - 480 km - 79 Y (cuccetta in Coupé 4 posti)
Come passare la frontiera da Erlian a Zamin Uud - Il treno cinese si ferma a Erlan, per proseguire in Mongolia, occorre passare la frontiera che apre alle 8 del mattino e chiude alla sera. C'è tutta una organizzazione di pulmini, fuori della stazione di Erlian, che si occupa della operazione, che necessita di un certo numero di spostamenti. Il costo è attorno ai 100 Y a testa o qualche cosa di meno. Comunque sarete trasportati fino alla frontiera cinese, che è appena fuori città, qui il pulmino vi scaricherà coi bagagli e vi aspetterà all'uscita dopo che avrete espletato le formalità di uscita con relativo timbro di passaporto, poi vi porterà al posto di frontiera della Mongolia distante qualche chilometro, dove ripeterà la stessa operazione, aspettandovi fuori dopo che sarete stati accettati dai doganieri mongoli. Le pratiche sono laboriose ma senza problemi, anche i controlli doganali sono solo formali e non invasivi. Da qui vi trasporterà alla piazza della stazione di Zamid Uud, la prima città sulla strada dove è possibile prendere il treno che va fini alla capitale in circa 660 km. oppure potrete prendere se già non siete attesi sulla piazza. un mezzo per proseguire verso la vostra destinazione. Il mio consiglio però, è di evitare questa soluzione sicuramente più romantica dell'ingresso via terra, perché vi farà perdere troppo tempo , quasi 3 giorni, senza nulla di sostanziale da vedere, a parte la città di Hohhot, rispetto ad un aereo che da Pechino (che potrete raggiungere da Datong in un paio d'ore a circa 140 Y) vi porti direttamente nella capitale mongola in poco più di paio d'ore e circa 130 €.
Seta 47 - In giro per Hohhot
La Moschea di Hohhot - Mongolia interna - Cina - giugno 2025 |
La venditrice di dolci |
Come temevo, la colazione al localino di fianco all'hotel era cinese al cento per cento, quindi ho preso solo le uova sode, finendo i biscotti che avevamo preparato come scorta per stanotte, quando è previsto l'ultimo treno notturno che concluderà la nostra avventura in terra cinese. Poi partiamo per dare un'occhiata a questa grande città, capitale di quella parte di Cina, meno conosciuta dal mondo, che presenta proprio per questo un suo interesse particolare. Uno spaccato di vita comune cinese, senza le interferenze del turismo che, dite quel che volete, ma contribuisce a cambiare e non di poco, aspetti e stili di vita di un luogo. Questa invece, capitale di quella Mongolia Interna, la provincia al di là della Grande muraglia, quindi per mentalità e storia, molto diversa dalla Cina classica, è una grande città industriale, che deve essere cambiata moltissimo con l'aumento esponenziale del benessere diffuso, che è esploso negli ultimi decenni. Pare infatti che si sia sviluppata da queste parti una filiera industriale notevole legata alla lavorazione della lana, d'altra parte la Mongolia, quella vera, è solo ad un passo e già ti immagini greggi infiniti di ovini e lane dalle fibre morbidissime da accarezzare con occhi sognanti. Le costruzioni sono in massima parte nuove, i palazzi pubblici nuovissimi ed avveniristici, gli spazi adeguati alle previsioni di crescita all'infinito che questo paese sembra sempre prevedere.
Il tempio buddista |
A questo riguardo, il traffico non è ancora così caotico come le dimensioni cittadine farebbero prevedere. Dobbiamo poi considerare che la Mongolia interna, oggi cinese sotto ogni aspetto, non lo era certo come cultura precedente, anzi qui è rimasto molto forte l'influsso che i Tibetani, con la loro corrente religiosa del Buddismo tantrico, hanno portato da secoli, influenzando e modificando gli aspetti religiosi che precedentemente erano legati esclusivamente allo sciamanesimo delle steppe siberiane. Intanto una cosa curiosa che noti subito passando per le vie cittadine, sono le scritte delle insegne dei negozi, che oltre ai caratteri cinesi, sono anche vergate nel complicato alfabeto mongolo che ha la caratteristica di essere scritto in verticale. Cioè, le parole sono scritte verticalmente, poi vengono allineate da sinistra a destra, come si fa adesso con i caratteri cinesi. Così se non avete dimestichezza con il cinese, potete sempre leggerle in mongolo. Tenete presente che comunque Google riesce a tradurle fotografandole. Un bel vantaggio rispetto ad una volta, non vi sembra? Tuttavia la cosa veramente curiosa è che questa provincia cinese è l'unica al mondo dove potete vedere scritte ed indicazione nell'alfabeto mongolo, in quanto invece in Mongolia, sono passati dopo la dittatura filosovietica negli anni '50, direttamente e ufficialmente all'alfabeto cirillico e anche questa è una bella curiosità.
Preghiere |
Comunque sono proprio i punti religiosi quelli da vedere in città, i quali sono, non solo ben conservati, ma dopo il 2000, che credo sia stato uno dei momento di rinascita economica della zona, sono stati restaurati di tutto punto, attività che continua tuttora. Il primo punto notevole è il grande chorten, detto anche Bao'erhan pagoda, che troneggia in una delle maggiori piazze del centro vicino ai due templi più importanti della città. Coi suoi 81,6 metri dovrebbe essere il più alto chorten in stile tibetano del mondo. E' stato messo a punto solo nel 2006 ed è ancora nuovo sotto tutti gli aspetti, tuttavia è fatto oggetto di grande venerazione da parte della popolazione evidentemente ispirata da questa variante religiosa del Buddismo. Già di prima mattina infatti è circondato da un gran numero di fedeli che fanno la cosiddetta Kora, girando in senso orario attorno ai lati quadrati del monumento e facendo compulsivamente girare, dove sono presenti, la sfilata di mulini di preghiera che si allineano incassati nel muro. Naturalmente, mentre proseguono il giro, continuano a pregare, come si può dire, anche oralmente e qualcuno fa pure girare vorticosamente con la sinistra quello che dovremmo considerare un piccolo mulino di preghiera da passeggio. Qualcuno prega invece in piedi, appoggiando la fronte e le mani ai muri di cemento e rimanendo immobile con il viso nascosto.
Monaci |
C'è anche qualche donna, chissà perché sempre loro, che compie la kora gettandosi a terra in tutta la lunghezza del corpo e rialzandosi subito dopo per poi ributtarsi al suolo, "misurando" se così si può dire, tutto il percorso e facendo un minimo di tre giri attorno alla pagoda stessa. Se ci stacchiamo dalla parte di città che circonda il monumento, estraniandoci per un attimo dal moderno via vai del traffico urbano, sembra di essere a Lhasa, per lo meno questa sembra essere l'atmosfera così compresa ed intensa. Poco lontano sorge il grande tempio della lamaseria Da Zhao, che risale al 1500, da cui ha avuto origine la città. Anche qui è stato intrapreso un grande lavoro di restauro, molto significativo per quanto riguarda l'atteggiamento delle autorità verso lo sviluppo religioso del paese, mi sembra di capire che il senso sia, se state al vostro posto e non tirate fuori grane di autonomia e visioni politiche particolari, fate pure ciò che volete che vi diamo anche i soldi per attirare i turisti. Infatti tra i bei palazzi, le sale templari e le lamaserie, c'è un bel viavai di fedeli che pregano, fanno offerte e bruciano incensi davanti alle statue, tutte pittate a festa, che si sa che il turismo religioso è sempre quello più redditizio. Molte anche le sculture di burro e di tutta la gamma della simbologia religiosa tibetana.
La sala della preghiera del tempio |
I tetti dorati risplendo come nuovi, le sale di preghiere interne sono completamente foderate dei damaschi e dalle sete che pendono dai soffitti; in qualcuna, gruppi di monaci salmodiano i loro mantra sfogliando uno dopo l'altro le lunghe pagine rettangolari dei libri di preghiera, mentre nell'altra mano fanno risuonare le campanelle fuse nei sette metalli della tradizione, il cui battito è così terso e perfetto da diffondersi lontano in tutti i cortili adiacenti. La simbologia del buddismo tibetano è ovunque, non ti puoi confondere, tranne che davanti a quasi tutte le scalinate di accesso alle varie sale, dove, al posto delle statue di guerrieri feroci che proteggono i templi dall'ingresso dei demoni maligni, fanno la loro costante comparsa le più classiche coppie di Cani di Po, forse a rimarcare che la presenza cinese è comunque quella che appone il marchio finale di garanzia e che è sempre meglio non dimenticarla, A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, diceva quel maligno. Naturalmente, gira gira, non riusciamo a trovare la famosa statua d'argento di cinque tonnellate, ma pazienza, fa anche un caldo porco, d'altra parte siamo o no nel deserto del sud della Mongolia?
Statue nell'area pedonale |
Il mio braccio intanto pulsa sinistramente, visto che oltretutto è il sinistro, certo, e quindi mi metto all'ombra aspettando che qualcuno venga a ritirarmi dopo aver visto tutti gli angoli più reconditi del tempio. Poi, basta attraversare la strada e eccoci all'altro tempio più minuscolo, lo Xilitu Zhao costruito durante la dinastia Qing che, benché anch'esso sotto restauro, non sia mai, conserva ancora molti tratti originali che distingui bene in quanto non ancora ricoperti dagli squillanti colori moderni. Sono sfinito, un po' per la temperatura snervante, che per il mio acciacco particolare che tento di mantenere nell'anonimato più assoluto. Tuttavia costringo la compagnia a fare una sosta mangereccia in un McDonald soprattutto per rifornirmi di una bella borsata di ghiaccio che messa sul polso è davvero una mano santa e mi dà una sensazione di intenso benessere, guarda un po' tu cosa mi tocca fare. Certo potevamo scegliere uno dei tanti negozi e bancarelle che offrivano cibo e souvenir vari, nella zona pedonale all'uscita del tempio, ma così diciamo che si è unito l'utile al dilettevole. Siamo su una grande piazza piena di statue di bronzo a grandezza naturale che raffigurano vari personaggi del mercato tradizionale. Un sacco di bambini ci giocano attorno con biciclette, pattini e ogni giocattolo normalmente in uso nell'infanzia di tutto il mondo.
La sala di preghiera della moschea |
Se non fosse per il taglio degli occhi potresti pensare di essere in una qualunque città europea. Poi ci sediamo sulla strada e dopo aver fatto man bassa di frutta secca varia tra cui deliziose albicocche, aspettiamo l'apertura della moschea, un altro complesso storico di notevole valore. Un baracchino offre succo di melagrana che invita molto visto la temperatura soffocante. La moschea apre alle tre e facciamo un giro tra i diversi edifici in stile islamico Hui, un bel misto tra le classiche forme cinesi e le influenze islamiche dell'Asia centrale. Dietro l'edificio più nuovo e moderno che rispecchia di più i canoni della moschea, nei cortili interni c'è una sfilata di bellissimi palazzi grigi, ma impreziositi da ricami coloratissimi di piastrelle e da classiche iscrizioni decorative; dalle porte si intravedono le grandi sale di preghiera e al di fuori i piccoli minareti che potresti a tutta prima confondere con piccole ed eleganti pagode. Sotto una tettoia laterale, c'è una lunga esposizione di antiche stele che forse raccontano dei vari personaggi che si sono alternati alla guida del complesso. Distingui le varie lingue, cinese, mongolo, arabo, a raccontare del melting pot che evidentemente c'è sempre stato da queste parti. I tetti curvi con le tegole invetriate rispecchiano invece la più classica forma cinese, nell'insieme davvero un bel complesso.
Museo del futuro |
Rimane da vedere il famoso museo della Mongolia interna, di recente realizzazione che dicono essere piuttosto interessante. Il taxi ci porta su una collina dove sorgono, sopra una spettacolare scalinata, una serie di edifici avveniristici. Ci aggiriamo un po' intorno cercando di orizzontarci, ma ci accorgiamo subito di aver sbagliato target, questo è infatti un insieme museale, che mette insieme l'Opera, e altri musei tra i quali quello del Futuro, ma non quello che cercavamo. In realtà il nostro è quasi tre chilometri più in là, in un altro grande parco verde, che presenta un notevole affollamento di persone. Infatti sono quelle in visita al museo stesso, che stanno gradatamente uscendo perché ormai sono le 16 ed è chiuso. Dispiace un po' perché dicevano che è piuttosto interessante, vuol dire che ci contenteremo di apprezzarne la struttura esterna, anche questa magniloquente. Veniamo poi imbottigliati in un traffico di pullman, auto e mezzi di trasporto di ogni tipo che stanno abbandonando la zona, ma finalmente riusciamo a trovare un mezzo che ci riporta in albergo. Poi, salutatissimi dalla schiera di bambini della casa che ci accompagna fino al taxi per sorvegliare che le operazioni di carico dei bagagli avvengano in maniera adeguata, andiamo alla stazione per aspettare la partenza del nostro ultimo treno cinese, quello che ci porterà domattina, dopo la nostra ultima notte ferroviaria, alla frontiera con la Mongolia vera.
Museo della Mongolia Interna |
Il tempio DaZhao |
venerdì 26 settembre 2025
Recensione: Lackberg- Flexeus – La setta
Consueto noir
nordico, quelli che adesso vanno molto di moda, caratterizzato come si consueto
da atmosfere plumbee, personaggi che fanno le indagini, ognuno con così
complessi problemi familiari da risultare incredibile come possano ammucchiarsi
tutti nello stesso commissariato. Il libro è il secondo di una trilogia con gli
stessi personaggi, che significa altre 1500 pagine, che comunque se uno deve
passare il tempo. Lo passa. Comunque 750 e oltre pagine da sciropparsi per
poter arrivare alla fine che comunque prima o poi arriva senza troppi colpi di
scena, anzi con un finale che non mi ha convinto del tutto. La vicenda si
svolge a Stoccolma con tutte le tipiche atmosfere scandinave, forse
comprensibili dal momento che è gente che per sei mesi all’anno vede poco sole
e indaga come indica il titolo stesso, l’ambiente delle sette, già di per se
stesso foriero di teste bacate. Comunque si legge anche di peggio.
giovedì 25 settembre 2025
Seta 46 - Nella Mongolia interna
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Le grotte col pilastro centrale - Yungang - Cina - Giugno 2025 |
Arte del Gandara con influenze cinesi |
Sono ancora scosso dall'imponenza delle grotte buddiste che abbiamo appena avuto il privilegio di vedere. Uno spettacolo maestoso che impone però anche una serie di riflessioni non trascurabili e che vorrei proporre alla vostra attenzione e su cui mi piacerebbe conoscere le vostre idee. Qual è infatti il rischio che si corre in questi casi? A mio parere quello di "sprecare" e cercate di comprendere il termine che sto usando, una occasione di questo genere, dedicandole da un lato, troppo poco tempo per poterne assimilare tutto quanto meriterebbe, dall'altro, di metterla all'ammasso assieme alla sequela di tutte quelle altre cose, molte delle quali parimenti importanti ed emozionanti, che verranno inevitabilmente seppellite in un bailamme di ricordi frettolosi e quindi scarsamente apprezzati, mentre nel frattempo altri se ne affastellano davanti a te in attesa di essere visti, ancora velocemente consumati e riposti altrettanto in fretta nel famoso cassetto dei ricordi, che l'età contribuirà spietatamente a mantenere appena socchiuso per il breve tempo che ti rimane. E' evidente che un posto come questo, come i tanti altri che abbiamo passato in rassegna durante questo viaggio, avrebbe dovuto essere oggetto di un'unica visita di almeno un giorno completo, affrontata prevalentemente di prima mattina, con il minor numero di visitatori possibile, ma questo è un altro problema e delibata con calma lungo la giornata, dedicando agli ambienti principali del tempo per godersi adeguatamente le singole figure, dopo aver letto in precedenza, qualche cosa che ne raccontasse la storia, l'importanza artistica e che te ne facesse apprezzare i particolari con i riferimenti alle culture precedenti e alle influenze che si possono leggere nella sfilata di soggetti, di ambienti e del sito nel suo complesso.
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Il grande Buddha benedicente |
Sito che andrebbe poi meditato alla sera prima di andarsene, dando ancora qualche ultima occhiata, mentre gli ultimi visitatori se ne vanno. E poi, cosa di grande importanza, secondo me, tutte queste emozioni andrebbero decantate nella settimana successiva, andando a leggere ancora qualche cosa al riguardo, cercando spiegazioni specifiche ed esaustive, racconti ed emozioni di altri visitatori che come te siano rimasti emozionati, che colmassero le curiosità che inevitabilmente vengono a sorgere anche quando vai a vedere per la prima volta il Colosseo o cose simili. Insomma bisognerebbe goderseli davvero questi posti, con tempo a disposizione e senza la confusione inevitabile che la fretta maledetta ti creerà nella testa quando ripenserai a queste cose, facendotele confondere tra di loro. E' un sogno impossibile naturalmente, non siamo viaggiatori del Gran Tour che si fermavano una settimana in ogni luogo, sostavano giorni davanti alle rovine dell'agro Romano, con un album in mano e una matita da disegno se ne avevano la capacità, vergando con amorevolezza i gruppi di pecore sparse, per non dir della pastorella. Sono altri tempi, noi corriamo, corriamo e aggiungiamo nomi e spuntiamo località su un taccuino, il tempo al massimo lo abbiamo a disposizione per un rapidissimo selfie e via che il treno sta per partire.
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Pareto con statue |
Questo è un altro dei motivi per i quali continuo nella velleitaria impresa di buttar giù queste righe malinconiche a chiosa della mia impresa, cercando di fermare un po' meglio sulla carta quegli evanescenti ricordi che cerco spero non invano, di non asciar sfumare nella nebbia che il vento dell'est porta ad accumularsi nella mia vecchia testa piena di troppi ricordi, assieme alla polvere gialla dei deserti che abbiamo appena traversato, assieme all'ombra di Marco, che ci ha fatto compagnia fino ad ora. Ma ecco che intanto che sproloquio, siamo arrivati all'albergo, dove dobbiamo in fretta riprendere i nostri bagagli, che tutti se li deve trascinare la mia Tiziana mentre io con le mie braccia malandate sto a guardare, maledizione, ecco che al di là di quanto detto, alle grotte ci siamo fermati troppo e siamo già molto in ritardo, qui si rischia di perdere l'ultimo treno che ci porterà nella Mongolia interna, questo sconosciuto territorio, dove forse sarà sconosciuto (o diciamo almeno poco conosciuto) anche il turismo. E invece ecco ci blocca il personale della reception, che si vuol profondere in ringraziamenti per la bella recensione che Gianluca ha lasciato su Trip.com, che evidentemente, se fatta da stranieri, merce poco frequenteda quesre bande, ha molto più valore. Ci regalano del tè e vogliono portarci i bagagli fino al taxi, insomma, ci sembra addirittura scortese far trapelare che abbiamo fretta, ah, questi occidentali sempre di corsa, non c'è il tempo neppure per farsi qualche complimento commendevole.
In attesa |
Comunque facciamo capire quanto siamo loro grati per le attenzioni e saltiamo sul taxi, che la stazione è pure lontana e come vi avevo detto pure sgarrupatissima e tocca anche trascinarci i valigioni su dalle ripide scale. Stavolta lo perdiamo davvero! Eccoci finalmente nella sala delle partenze a cercar di compitare i caratteri cinesi del tabellone assieme ai viaggiatori come noi, col naso in su come se stessimo davanti alle sculture di Yungang. Accidenti, ma se leggo bene, il nostro treno ha due ore secche di ritardo! Riproviamo più volte ad inquadrare la scritta col traduttore del telefonino, prima con Google poi con Papago, l'app specifica, ma non sembrano esserci dubbi, a questo punto siamo in largo anticipo e possiamo tranquillamente rilassarci e Gianluca e Lusine, possono andare a mangiare qualche cosa, che non vogliamo vederli stramazzare al suolo dalla fame, mentre io posso tranquillamente pensare di consumare le abbondanti riserve che mi porto dietro come giro vita e zaino permanente. Certo che queste cose non succedevano quando c'era Lui! Non c'è più religione si potrebbe anche dire. Va beh, vuol dire che avremo più tempo per meditare e in Oriente questa è sempre una gran bella cosa, anche alla luce del mio pistolotto di apertura di oggi. Poi saliamo sul nostro treno, che si vede subito essere un convoglio periferico che marcia verso una delle tante ultime Thule del mondo.
Per le strade di Hohhot |
E' quasi deserto e i pochi passeggeri si piazzano qua e là sentendosi liberi di occupare intere file di posti, tanto nessuno verrà a reclamare. Poi finalmente il treno parte a traversare un altro dei deserti sconfinati di cui non distingui neppure gli orizzonti. Sono tre ore di trantran, senza sferragliare naturalmente perché in tutta la Cina, i congiungimenti tra le rotaie sono stati saldati o pareggiati, non so bene come si dica, ma sta di fatto che non si sente il tutùn-tutùn dei nostri bei treni di una volta, ma tutto scivola via senza troppi scossoni. E ci sarà un'unica fermata in una di quelle che sembra una stazioncina di campagna senza nessuno, deserta o abbandonata dagli abitanti superstiti dopo l'ultima invasione mongola. Davanti a noi intanto, un enorme mongolo pelato che ricorda perfettamente il servitore del cattivissimo di 007 dalla Russia con amore, che lanciava il cappello con la tesa di acciaio per decapitare la gente, si agita sul sedile. Ha una camiciona nera operata molto elegante che esibisce su una canottiera a vista e pantaloni corti, e si dimena stanco e sudato allungandosi alla meglio sulla poltroncina, mentre la moglie molto più composta, ci sorride con distinzione. Alla fine dopo aver scartato un po' di cartocci, ci offrono dei panini al vapore di cui dispongono in gran numero, che cortesemente riusciamo a rifiutare. Intanto il treno va percorrendo una terra ondulata di magri pascoli con armenti dispersi all'orizzonte.
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Una grotta |
Ogni tanto compaiono dei piccoli insediamenti fatti di case basse circondate da un muracciolo di terra o di assi, che segnala la corte della proprietà, all'uso tipico mongolo. E' chiaro che stiamo cambiando paese e la Cina a cui ci eravamo ormai abituati si sta allontanando sempre di più. Lontano, ogni tanto compaiono aggregati che potrebbero essere complessi industriali o estrattivi e una centrale che sbuffa. Sarà forse una di quelle a carbone che continua il suo lavoro in attesa di momenti più favorevoli ad altri combustibili? Intanto le tre orette passano e arriviamo a Hohhot in perfetto orario, sulle due ore di ritardo con cui eravamo partiti. Anche questa è una grande città di 3 mln di abitanti e pure modernissima, ancorché nessuno l'abbia mai sentita nominare, ma qui siamo in terra completamente incognita e di turisti non ne arrivano, chi sceglie d'altronde di arrivare in Mongolia in treno? L'albergo sembra un po' più familiare del solito e subito si crea lo scompiglio visto che evidentemente gli stranieri sono merce rarissima e un nugolo di bimbi, prole propria dell'albergo, alla nostra inaspettata vista esce fuori e con mille gridolini, vogliono aiutarci con le valigie, tentativo velleitario che viene subito arginato dalla nonna che arriva in soccorso e risolve le pratiche burocratiche. Certo che invece delle 18 sono già le 20 e ci rimane giusto il tempo per andare a mangiare un boccone, visto anche che nelle zone non turistiche come questa, i ristoranti chiudono abbastanza presto.
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Tanto per capirci quando dico folla |
Ci precipitiamo quindi verso un indirizzo che avevamo trovato sul web, con allegata una serie di commenti encomiastici. Il taxista ha una certa difficoltà comunque a trovarlo e ci deposita in un vicolo piuttosto oscuro. Giriamo un po' e poi ci sembra di aver capito che la modesta locanda in via di chiusura che abbiamo trovato, sia quella che stavamo cercando. Qui c'è solo più un gruppetto di habitué locali intenti a scolarsi le ultime birre della giornata ed i tentativi per capirsi, cercando di ordinare qualche cosa, si infrangono contro una barriera linguistica sorda all'uso dei traduttori dei nostri telefonini che evidentemente non vogliono dialogare con i loro. Alla fine ordiniamo comunque degli spiedini di vacca assolutamente non speziati. Arrivano dopo un po' portando invece un piattone con degli spiedini di trippe ricoperti completamente, anzi tuffati, in polvere di peperoncino rosso assolutamente immangiabili. Mentre Gianluca briga per farsi ridare indietro i soldi, il locale si è svuotato e quello che sembra uno dei proprietari o comunque un "addetto alla sala", va nel lavandino posto su un fianco, da dove arrivano i piatti e, dopo essersi tolto la dentiera, la lava con cura schizzando in ogni dove, infine la risciacqua dopo averla immersa in una delle scodelle delle zuppe che erano state sgomberate dai tavoli dei clienti precedenti. Poi si risciacqua ben bene anche la bocca nel solito lavello, perché l'igiene orale è tutto, anche in Cina, come conviene anche Lina che è madre di una dentista e dunque conosce bene il problema. Ce ne torniamo in albergo piuttosto sconsolati, speriamo nella colazione di domani.
Grosse così! |
SURVIVAL KIT
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Il chorten tibetano di Hohhot |
Treno da Datong a Huhehaute dong (Hohhot Est) Z 183 - 15:15 - 18:09 - Km 230 - 2h 54 m. - 40,50 Y.
Hohhot - in cinese Huhehaute, che in lingua mongola significa la città azzurra (o verde, perché in cinese c'è un solo vocabolo per entrambi i colori), ᠬᠥᠬᠡᠬᠣᠲᠠ , che però andrebbe scritto in verticale, ma il sistema di word non mi consente di farlo, sarebbe anche una città fondata appunto dai mongoli nel 1500 da un sovrano mongolo ed è la capitale dell'attuale Mongolia interna, sulla linea ferroviaria che congiunge la Cina alla Mongolia vera e propria. Da vedere: il tempio della pagoda Bianca (Baita), del XI secolo, il museo della Mongolia Interna, il piccolo Palazzo imperiale simile alla Città proibita di Pechino, ma in tono minore, il Tempio delle 5 pagode (buddismo indiano) sulla collina, Il tempio tibetano Da zhao, con una statua di argento di Buddha di tre metri, e traversata la strada l'altro tempio tibetano Xilitu Zhao. Poi il parco di Zhongshan a nord est del centro e all'opposto il parco del Lago Meridionale sul fiume Hu
Pebble Motel (o Piper Cloud Hotel Hohhot - Difficile da trovare sulla mappa, 3, Daching road - dovrebbe essere all'incrocio tra Tongdaobei lu e Chezhan xi- Un 3 stelle molto familiare, personale come sempre gentilissimo. Dotazioni solide, ragionevolmente pulito. Camere normali, TV, AC, free wifi. Bagni puliti. Letti queen. Doppia sui 150 Y ma si trova scontata anche a 94 Y, con colazione cinese al locale a fianco.
Pestando il torrone |
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Pareti delle grotte |
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