mercoledì 26 novembre 2025

Seta 58 - Il lago Khövsgul Nuur

Il lago Khövsgul Nuur - Mongolia - giugno 2025 
 

La mattina arriva in fretta, il tepore che c'era tra le pareti di legno del bungalow durante la notte, visto che la stufa era stata accesa prima del nostro arrivo, è andato via via scemando e adesso che saranno le sette, fa decisamente freddino. Esco fuori che ha appena schiarito, anche per andare in cerca dei bagni che, come avrete ormai capito, in Mongolia, sono da qualche parte nel cortile. Anche lavarsi all'aperto, a 7 °C, così almeno recita il telefonino, è piuttosto fastidioso. Aggiungi il fatto che dal rubinettino posto sotto i serbatoi, praticamente scende solamente un filo di acqua e lavarsi diventa un problema e hai detto tutto. Siamo come si dice immersi nella natura, frase bellissima quando la dici, un po' meno quando la vivi, quantomeno per noi cittadini. Aggiungi un cielo completamente coperto che più grigio non si può e hai detto tutto. Dovrebbe essere una giornata in cui dovremmo stare completamente immersi nella atmosfera della taiga presiberiana, ma un conto è quando la vedi al cinema nei documentari di BBC earth, un altro quando rimani lì, intirizzito come un baccalà appena tirato fuori dal freezer a camminare nell'erba bagnata. La punta del lago è a meno di dieci chilometri dal confine russo e se prosegui ad est, subito dopo il confine in un centinaio di chilometri arrivi ad Irkutsk e al lago Bajkal, una delle meraviglie naturalistiche più famose della Siberia. 

Ricordo ancora quel gennaio del '93, quando ammiravo la sconfinata superficie ghiacciata del lago a - 28°C, con l'aria gelata che ad ogni respiro mi dava una fitta in centro al petto, stupito del camion che passavano sulla strada creata sulla superficie sulla lastra di oltre quattro metri di spessore e Kostantin che mi diceva: - Eh certo che ormai non fa più quei bei freddi di una volta, quando a questa stagione difficilmente il termometro saliva sopra i - 40 °C! -. Già, ma adesso siamo in estate e questo  lago che dovrebbe essere l'attrazione turistica mongola numero uno, appare un po' triste, anche con le sue foreste infinite che ricoprono i fianchi delle montagne circostanti. Tuttavia mi sembra doveroso spendere due parole su questo lago, diventato ormai meta di un turismo internazionale piuttosto consistente, si parla ormai di oltre 100.000 presenze all'anno, cosa che tanto per cambiare, ne sta minando la salute ecologica e non solo. Il Khövsgul Nuur è comunque il più grande lago del paese, lungo 123 km e largo una cinquantina nel punto maggiore e, con la sua profondità di circa 260 metri, contiene all'incirca il 70% dell'acqua dolce del paese. E' considerato una sorta di fratello minore del vicino Bajkal, condividendone gli aspetti geologici, tettonici ed ecologici. 

Siamo infatti a circa 1700 metri, all'interno del sistema della taiga, tra foreste di pini e larici siberiani. Il lago ed il territorio più ad ovest di esso sono considerati uno delle zone climaticamente più inospitali del mondo, con una media invernale al di sotto dei 25 °C, che scende spesso sotto i 60 °C. Tuttavia qui intorno sono presenti diverse etnie di nomadi, molto particolari, almeno 100.000 persone tra Buriati, Tuvani, Darkhad e soprattutto i famosi Tsaatan, nomignolo spregiativo che significa Uomini renne, con cui sono chiamati dai Mongoli. Questa gente, che già il regime sovietico ha tentato inutilmente di stabilizzare, costruendo una cittadina nel nulla, oggi popolata di ombre e di negozi di alcoolici, che contribuiscono al degrado finale di questo popolo che ricorda un poco i nativi americani, con la stessa tipologia di tende coniche, continuano a vivere di nomadismo estremo, campando unicamente delle loro mandrie di renne dalle quali ricavano tutto quanto serve alla loro sopravvivenza. Negli ultimi decenni le renne venute a contatto con gli escrementi di ovini e caprini degli altri nomadi della zona sono state decimate dalla brucellosi e da altre malattie, aumentando le difficoltà di questo popolo in estinzione. 

Dediti allo sciamanesimo, hanno tuttavia una storia ricca di leggende e la loro cultura è tramandata in una loro lingua, appartenente al ceppo turcomanno. Naturalmente sono inseguiti dal turismo predatorio che darà loro l'ultima mazzata contribuendo a distruggere definitivamente la loro fragile cultura. Oltre a ciò la chiusura abbastanza decisa della frontiera, impedisce ormai gli spostamenti di questi nomadi che sono praticamente rimasti imprigionati da questa parte del territorio, impedendo loro le tradizionali migrazione nella confinante repubblica di Tuva, aumentandone così il disagio esistenziale e la prosecuzione delle loro tradizioni.  Comunque sia tutta l'area rimane un paradiso di diversità biologiche dove allignano tutta una serie di ungulati siberiani, lupi grigi e orsi bruni, oltre alle aquile reali, ed oltre altre cento specie di uccelli. Non faccio cenno al famoso coregone bianco del lago, che ormai diventata specie protettissima, non si può certo più mettere in tavola, né alle specifiche varietà di trota, temolo e persico reale. Insomma un luogo dove forse varrebbe la pena rimanere diversi giorni per muoversi alla scoperta del territorio, soprattutto a cavallo, per goderne la selvaticità, le acque cristalline, le cascate ed i fiumi, le foreste maestose e quel senso di immersione nella natura lontana dalla civiltà che oggi molti cercano e rimpiangono dalla loro torva scrivania di bancari frustrati. 

Purtroppo noi ci capitiamo per un solo giorno (avendone perso come vi rammenterete uno e mezzo per strada), per giunta grigio e piovoso. Facciamo intanto, per consolarci, una infreddolita ma abbondante colazione, con uova, salciccia e altro ben di Dio siberiano e poi andiamo a  passeggiare sulla riva del lago le cui acque però non sono affatto dell'incredibile blu scuro che raccontano le foto ed i report di viaggio letti sul web, ma di un bel grigio piombo, punteggiato dalle gocce di pioggia che nel frattempo comincia a scendere. E va be', che ci vogliamo fare se questo giro continua all'insegna della sfortuna. In ogni caso possiamo almeno consolarci del fatto che la temperatura e la pioggia non consentono ai famigerati e ferocissimi sciami di zanzare siberiane di prendere il volo, cosa mai menzionata dalle guide e dai turisti, straniati dalla bellezza e dal panorama, ma che in estate sono uno dei flagelli più temuti della taiga, altro che orsi e lupi feroci. Non c'è dubbio però che il luogo abbia una sua bellezza intrinseca, ma il tempo infame, l'umidità ed il freddo piuttosto intensom non ce lo fanno godere appieno, oltretutto data la pioggia, dobbiamo rinunciare alche al trekking previsto all'interno della foresta alla ricerca delle alci selvatiche. 

Tiriamo così mezzogiorno per andare nella sala comune dove ci aspetta un pranzo a base di carne non ben meglio identificata e purè di patate. I bambini rubicondi che ci stanno attorno e ci assistono nel caso manifestassimo particolari bisogni, sono sicuramente bellissimi, difficile capire a quale etnia appartengano. Corrono nel prato bene infagottati nei loro giacconi lunghi e ci guardano un po' come bestie rare affidate alla loro cura. In fondo al cortile, Tumroo, così abbiamo capito, si chiami il nostro autista, a torso nudo, incurante della temperatura, sta lavando il pulmino sotto la pioggia. Canta sereno, oggi almeno, complice il tempo potrà dormire tutto il giorno. Certo fosse una giornata migliore, si potrebbe andare in giro in cerca di qualche accampamento di Tsaatan, o alla grotta di Dayran Deerkhii, la più grande del paese dove la leggenda racconta di un potente sciamano che rapì addirittura una bellissima figlia di Gengis Khas trasformandola in una statua di pietra, quando il padre arrivò per cercarla o ad Olon Golin Belchir, la confluenza dei fiumi che poi passa la frontiera e si riversa nel Baikal o al vicino lago Bianco Tsagaan nuur o ancora nella vicina depressione di Darkhaad che conteneva un lago gemello oggi prosciugato. 

Insomma ce ne sarebbero di cose da fare qui attorno, ma tra il tempo che manca e le condizioni climatiche, alla fine non facciamo proprio nulla se non girolare qui e là ad ammirare la selvaticità dei dintorni. Nel pomeriggio tuttavia si farà un giro a cavallo in luoghi nascosti attorno al lago. Arrivano infatti subito i bambini che bardano con attenzione i quadrupedi in attesa, con i sottosella riccamente ornati e le selle borchiate, mentre i piccoli cavali che brontolano fumando dalle froge. Alla fine si parte, mentre la pioggia si infittisce, è il destino barbaro e rio, che insegue Fantozzi, non c'è che dire. Al ritorno dopo un'oretta di sofferenza pura, il rientro nei bungalow è provvidenziale. Una bellissima ragazzina, arriva di corsa con le braccia colme di legna appena tagliata e accende la stufa che in poco tempo diventa rovente e riscalda ben bene la stanza. Bisogna cambiarsi completamente perché l'acqua penetra dappertutto, mutande comprese, ai poveri turisti sprovveduti, non certo protetti dai robusti giacconi impermeabili dei cavalieri mongoli. Tuttavia mettiamo agli atti anche questa e provvediamo ad andare a cena senza neppure l'opportunità di vedere il tramonto sulle acque, di cui si dicono meraviglie. In premio la carne stufata è talmente dura che dobbiamo abbandonarla quasi completamente nei piatti. La ragazza riporta un'altra catasta di legna nella baracca, almeno che duri tutta la notte, poi ci si butta sotto le trapunte spesse e chiudiamo gli occhi in pace con noi stessi ed il mondo. 


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