giovedì 11 aprile 2013

Sesto Guggenheim a Vercelli.



Lichtenstein - Preparativi 1968
E' un appuntamento annuale che ormai non manco da tempo e per diverse motivazioni, prima tra tutte quella di ritrovare dei cari amici e che, da sola, supera le altre. Tuttavia Vercelli in questo inizio faticoso della primavera è sempre ompegno intrigante che ti spinge a traversare la la quadrettatura della piana che una metereologia ballerina ha lasciato ancora spoglia di semine e che vive l'attesa dell'invasione delle grandi macchine dell'agricoltura vera, quella che dà da mangiare alla gente, non l'altra degli ortolani da salotto, fatta di bancari frustrati e arcadici sognatori. Vero è che le mostre organizzate dal Guggenheim nello splendido contenitore dell'Arca, che ogni anno, compatibilmente con i fondi disponibili, disvela una nuova area di affreschi di qualità importante, continuano un percorso ragionato e importante per chi vuole avvicinarsi all'arte contemporanea, scevro da preconcetto e desideroso almeno di capire se non di apprezzare. Perché è inutile che ce la raccontiamo, per noi ignorantoni in questo campo, più si avanza nei meandri delle correnti artistiche del novecento e più il senso di presa di distanza e il dubbio di essere raggirati dalla chiacchiera dei sedicenti esperti, urla forte e chiaro le sue perplessità. Come si possono accettare a scatola chiusa le grida di dolore delle bruciature di Burri, l'ansia di andare oltre la tela dei tagli di Fontana (da non confondere con quella pur interessante di Aldo, Giovanni e Giacomo per la Wind), le macchie di colore di Rothko, la ripetitività ammiccante dello stesso Warhol, le provocazioni antimilitariste di Baj e così via. Il dubbio marcia sovrano. 

Warhol - Flowers.
Ma se si vuole prendere il toro per le corna e seguire con umiltà, un percorso cognitivo che abbracci tutta l'evoluzione artistica successiva all'Accademia, si può trovare un fil rouge che, a partire dai tanto amati e apprezzatissimi impressionisti, deve essere necessariamente conosciuto e spiegato per poter tentare di dare un senso logico anche alle più ardite manifestazioni dell'arte contemporanea. Non puoi avvicinarti a Rauschemberg o Pistoletto se non hai prima percorso e con attenzione,  la Via Crucis di tutti i movimenti che hanno posto al secolo passato i loro dubbi, urlato le loro contestazioni, ricercato le loro strade nuove e diverse da chi le ha precedute. Ecco quindi che questo sesto appuntamento vercellese punta la propria attenzione sugli anni '60 ed il passaggio avvenuto dopo la spinta destrutturante dell'informale fino ad arrivare alla Popart. La cinquantina di opere presenti illustra bene tutta la tematica e se avrete l'accortezza di farvi accompagnare da una guida capace e competente, seguirete con profitto questo tortuoso cammino a cavallo dell'oceano, che mette a confronto i diversi punti di vista di un'Europa devastata dalla guerra a paragone di un'America ormai lanciata verso l'affermazione mondialistica, dalle visioni di Dubuffet e Tapies, passando attraverso l'estrema riduzione espressiva dello stesso Fontana, Noland e Stella per arrivare al dispiegamento della rivoluzione Pop, dissacrante ed iconica presentata negli inizi innovativi di Rauschemberg, passando per i sensualissimi piedi di Wesselmann, la serie di Flowers di Warhol, fino alla smagliante coloristica del fumetto colossale di Lichtenstein, nel suo splendido quadro che chiude la mostra. 

 
Wesselmann - Paesaggio marino - 1965
Al di là del valore materiale, su cui certo si può discutere pesantemente, credo che tentando di capire, si riesca ad andare al di là del consueto e disarmante "lo poteva fare anche mio figlio di cinque anni". E fin qui avrete nutrito l'anima e l'intelletto. Ma sapete bene che anche il vile corpo vuole la sua parte, siamo purtroppo animali anche se senzienti. Quindi, come di consueto la giornata non è finita qui e devo per forza segnalarvi un indirizzo da segnare tassativamente sul taccuino dei ristoranti da non perdere. In pieno centro storico la Trattoria Paolino (via S. Paolo 12) e Paolino, il suo divertente (come si evince dalle lavagnette all'ingresso) proprietario, vi proporrà in un ambiente caldo e raccolto, un menù di tradizione piemontese di alta qualità e dalla gradevole presentazione, cosa che non guasta mai. Io ho assaggiato per vostro conto, uno sformatino di asparagi su fonduta con cialda di mais e parmigiano, una battuta di fassone al coltello con bagna cauda in quantità generosa, un delizioso Carnaroli con peperoni dolci e gorgonzola (guai andare a Vercelli e non godere dei suoi risotti!); infine il punto di forza del locale che punta sulle carni, con un filetto di rara bontà o un ganascino di maiale e purea delicato e ammiccante. Un gelato vaniglia maison cremosissimo con alchekengi e un caffettino con piccola pasticceria, vi concilieranno con il mondo. Ma ricordatevi di prenotare con una settimana di anticipo perché i trenta posti scarsi di coperti a disposizione sono sempre occupati.


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3 commenti:

il monticiano ha detto...

Il dipinto "Paesaggio marino" con quei due piedi mi ha colpito molto anche per il titolo.

Bagna cauda, bagna cauda, quanti ricordi quand'ero militare ad Asti nel 1950.

Adriano Maini ha detto...

Un raggio di sole di cultura nel buio contemporaneo!

Enrico Bo ha detto...

@Monty - ti assicuro che la foto non dice niente, dal vivo è di una sensualità incredibile.

@Adri - Più che cultura direi che ormai io (da buon agronomo) sono due braccia strappate all'agricu(o)ltura!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!