mercoledì 24 aprile 2013

Gatti neri a Genova.

immagine dal web


Genova a novembre, nelle giornate grige in cui mare e cielo si mescolano in un fondale cupo e un poco triste. Genova quando la sera scende da ore, ma la notte sembra non arrivare mai e tutto si si attenua a poco a poco, mentre un vento forte che ti gela  le ossa corre tra i vicoli che vanno al mare. Non sei mai vestito abbastanza a Genova quando comincia a fare freddo. C'è sempre quell'idea che in fondo sei al mare, così la spina umida e sferzante, ti prende alle spalle e sembra trafiggerti la gola. Manu tornava a Genova dopo molti anni. Anni vissuti in paesi caldi e colorati, pieni di profumi intensi e di ricordi diversi. Mentre l'oscurità calava nascondendole i pochi punti di riferimento a cui riusciva a dare un nome e un senso, si stringeva sempre di più nella sua giacchetta leggera, barriera fragile ai refoli impetuosi che scendendo da nord facevano sbattere imposte mal tenute e immondizie abbandonate negli angoli dei carrugi. Forse l'ora, forse quel tempo fastidioso, ma non c'era proprio nessuno in giro, solo l'umidità sul selciato sconnesso e un senso di inquietudine ambiguo. Proprio non se la ricordava quella parte della città, a lei sconosciuta e non frequentata neppure quando a Genova ci viveva, prima di lasciare tutto in un gesto di protesta e di libertà. Affatto diversa da come se la ricordava, come una città straniera che incontri per la prima volta. Aveva solo un quartiere ed un indirizzo in testa. Una nuova amica conosciuta per caso, un invito simpatico, una serata da costruire. 

Si alzò alla meglio il bavero colorato come i suoi sogni e si infilò più a fondo tra le vie storte e nascoste. Dietro ogni angolo cambiava direzione, guardando in alto i nomi dei vicoli, leggibili a fatica sulle targhette sbrecciate, alla luce fioca di lampioni vecchi e malandati, senza trovare il nome che cercava. La seguiva solo il rumore dei suoi passi, quasi un rimbombo, un eco sordo che rimbalzava tra le pareti alte delle case ricoperte di scritte sugli intonaci sfioriti dal tempo. L'umidità nell'aria era quasi mutata in pioggerellina minuta e fastidiosa che infradiciava i suoi bei capelli lunghi dalle sfumature rosse. Manu continuava a girare angoli, a percorrere piccole salite spossanti. Ad un tratto le sembrò di essere già passata davanti a quella saracinesca abbassata e coperta di ruggine, un po' sfondata e rigonfia da un lato. Si era persa. Proprio nella sua città di ragazza inquieta che l'aveva respinta e che adesso dopo tanti anni non la rivoleva indietro. Se almeno ci fosse stato con lei Richard, che le faceva sempre da guida a Caracas, anche nei quartieri più difficili, pur così allegri e pieni di colori. Certo la sua taglia da istruttore di palestra, le aveva sempre dato una sicurezza che ormai sembrava essere sua, trasmessa dalla sua vicinanza, così che anche tante altre vecchie paure se ne erano ormai andate. Ma qui, col buio sempre più fitto, tante certezze sembravano venire meno. Un'inquietudine quasi fastidiosa che sembrava tornare dal passato. Come le mancavano quelle spalle robuste, quel sorriso sornione, quei capelli neri e folti, i baffi sottili e la voce a toni bassi sempre gentile.

 E le sue magliette nere e la pelle che sapeva di buono. Ancora un angolo stretto e neppure un lampione acceso a illuminare in alto un nome illeggibile. Manu si fermò senza sapere più quale direzione prendere. In un angolo, in basso sopra un gradino di ardesia, vicino ad un grande vaso di rosmarino seccato, due occhi gialli la fissavano nel buio. Stavano lì ad aspettarla, ipnotici, leggermente rivolti verso l'alto, quasi infastiditi per il prolungarsi dell'attesa, come stizziti verso chi arrivasse in ritardo ad un appuntamento. Manu rimase immobile a guardarli, poi il grande gatto nero allungò la coda verso l'alto, inclinò un poco il muso, osservandola con attenzione come per essere sicuro di aver trovato la persona giusta, stirò la schiena, scese il gradino e si avviò verso la strettoia in fondo al vicolo. Senza darsi una spiegazione, Manu lo seguì dietro l'angolo. Fecero quasi insieme diverse deviazioni, prima una via larga, poi un carrugio stretto e male illuminato; dietro ogni angolo, il grande gatto nero, si fermava un attimo, si voltava verso di lei come ad essere sicuro che lo seguisse. Ancora una curva, una ripida scala e di colpo, ecco il gatto si era fermato davanti ad un grande portone di legno, una piccola lampada che illuminava un numero: 16. L'indirizzo cercato. Il muso nero la guardò un momento dal basso con un ronfo leggero, sembrava sorridere sotto i baffi lunghi e sottili, il pelo nero e folto, poi si girò di scatto sgattaiolando via leggero. In un attimo scomparve, come non fosse mai esistito. La porta si aprì e Manu, con uno scrollone alla giacca inzuppata, poté entrare finalmente nel calore della casa amica.


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5 commenti:

Unknown ha detto...

Scritto molto bene, incuriosisce!

Unknown ha detto...

Vuoi scrivere anche un libro di racconti?
Sei sulla strada giusta.
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Gowy - Grazie, merito di Manu.

@Cri - ma vorrei fare un sacco di cose, solo che sono sempre cose che vanno un po' più in là delle mie capacità ...sob!

Anonimo ha detto...

Auguri in ritardo e me ne vergogno.Quanta torta hai divorato?

Molto bello il ricordo o racconto del gatto nero.Potrebbe essere l'inizio di un giallo:Genova è la città ideale per ambientarlo.Porto di mare,
crogiolo di razze e lingue,misteriosa ed ambigua tra le ville della gente bene sulle alture o sui lungomare esclusivi e i carruggi del porto.
Naturalmente potresti scriverlo a puntate sul blog e poi....,quando la vicenda volge al termine e tutti si aspettano la conclusione, far uscire il libro cartaceo con il finale.

Sono troppo cattivella?Io comunque farei così.

Sai il successo che avresti!

A presto

Paola

Enrico Bo ha detto...

@Paola - L'idea non è malvagia, ma un po' troppo impegnativa per le mie povere forze di anziano col respiro corto e la pancia grossa. E poi questa era vita vissuta, me l'ha passata un'amica, è suo il merito. E grazie per gli auguri mia cara.

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