domenica 12 aprile 2015

Il flower market


Il book market


La tomba di Madre Teresa
Mi rendo conto che, in questo raccontare, non riesco a lasciare Calcutta. Ci rimango morbosamente attaccato così come non ci si riesce a staccare da qualcosa assieme ti respinge con i suoi eccessi,  ma allo stesso tempo ti attrae con un suo fascino perverso. E infatti ci sono ancora cose da osservare in una città dove apparentemente c'è poco da vedere. Per esempio la tappa obbligata della casa di madre Teresa. Come sempre i luoghi delle missioni cattoliche rappresentano uno stacco netto rispetto a quanto sta intorno e questo non fa eccezioni. Nel caotico andirivieni del quartiere, anche questo è un momento di calma e di riflessione, anche se è ormai diventato un luogo di culto più che un'opera in piena attività; una specie di piccolo museo cresciuto attorno alla tomba di questa donna che ha inventato un nuovo modo di affrontare la realtà indiana, risalendola dal basso, dalla parte più disperata e trascurata della coda, sovvertendo in parte i meccanismi che hanno sempre regolato questa società, quelli degli ultimi che sono tali perché in qualche modo se lo sono meritato nelle loro vite precedenti, che si aiutano solo saltuariamente e per un motivo egoistico, quello di acquisire meriti personalmente e non per quel senso di compassione verso l'altro che nutre i principi buddhisti o cristiani, che pongono questo aspetto in seconda linea. 

L'ingresso della Coffee house
La casa è popolata di suorine che svolgono le consuete attività dei conventi, mentre il pellegrinaggio attorno alla semplice camera della santa e più ancora vicino alla sua tomba che, pur nella sua spoglia semplicità assume una posizione totalizzante, rimane lo scopo della visita con i suoi contorni classici di distribuzione di santini e medagliette ricordo. Giustamente il lavoro vero dell'opera rimane nascosto in altri luoghi e lasciato a chi se ne occupa per vocazione, così qui ci si passa come ad una stazione della via crucis, quasi un obbligo inderogabile. Ma ci sono altri volti della città ancora da scoprire, come quello di tentare di comprendere dove sta andando l'India moderna, quella dei giovani che a decine di milioni cercano di costruire a fatica il futuro di questa nazione. Nella zona nord della città, il quartiere universitario è tutto un immenso mercato di libri. Tutto assume le dimensioni proprie a questo mondo, così ogni strada, ogni vicolo, è un seguito di negozi, bancarelle, piccoli spazi letteralmente oberati da pile esagerate di volumi, pubblicazioni, materiali di studio che soffocano il venditore dietro una cortina di carta stipata tra lamiere e teli di protezione dalla pioggia frequente. L'incongruità tra fango o polvere, a seconda del momento e la necessità di ordine e pulizia del libro in sé, qui si coniuga all'indiana. 

Indian coffee house
Carretti e trasporti pieni di risme di dispense, volumi di ogni spessore legati alla meglio in pacchi con spaghi provvisori, viaggiano in ogni direzione schivando animali e traffico, mentre colonne di ragazzi si aggirano davanti ad ogni stallo, consultando, scegliendo e comprando. Ognuno poi se ne va con qualche cosa sotto il braccio, forse solo una speranza di futuro. Tanti giovani e ragazze in questo quartiere, forse non molto diversi rispetto ai loro coetanei del resto del mendo, forse solo con opportunità, ma anche determinazioni differenti. Non rimane che prendersi una sosta in una Indian coffee house. Ce ne sono diverse qui. Grandi sale al primo piano di vecchi e marci edifici coloniali dai soffitti altissimi che tengono due piani, con ingressi da incubo, dove pendono grappoli di fili elettrici e di contatori in rovina, in cui si dispongono file infinite di tavoli quadrati a cui sedersi a prendere un caffè o un thé in quello che al tempo degli inglesi doveva essere un momento di sosta in un ambiente superiore e che è rimasto immutato, con i lunghi ventilatori che dal soffitto muovono pigri l'aria umida e dolciastra, mentre fuori il mondo è passato in un altro secolo. Un gusto retrò da assaporare con calma. Ma rimane almeno ancora un luogo di cui voglio parlarvi, che forse meglio di tutti sa raccontare il violento contrasto di Calcutta e che ne rappresenta forse meglio di tutti gli altri il suo volto morbosamente attrattivo rispetto ad una realtà sulla carta affannosamente dura e disarmante. 

Una bancarella in College street
Man mano che ci si avvicina all'Hooghly river, le strade si fanno, se possibile, ancora più affollate e caotiche; non ci sono più grande arterie di scorrimento e passata la ferrovia tutto diventa un confuso seguito di baracche e costruzioni precarie. Non riesci a farti strada tra il movimento di gente e mezzi di ogni tipo. Sullo sfondo l'immensa sagoma del ponte Howrah che domina l'area con la sua antica campata di profili di ferro percorsa ogni giorno da milioni di persone. Anche da lontano avverti il brulicare di questa folla che in un seguito di autobus puzzolenti, carretti, risciò e soprattutto a piedi, percorre nei due sensi gli oltre 700 metri questa icona architettonica dell'Asia e proprio sotto l'inizio della sua arcata, dietro ai ghat dove continuamente una umanità dolente si lava, pulisce e vive la propria vita e la propria religione, si estende il mercato dei fiori, un altro specchio innaturale di questa città sopra le righe. Sì, perché proprio qui dove è più forte il precario della povertà più lurida, tra le montagne di immondizia create dall'affollamento umano, che un clima impietoso rende marcia e maleolente, che la troppa acqua o il troppo calore masticano e impoltigliano per aumentare la durezza di viverci, la presenza dei fiori è evidentemente una necessità inderogabile, non si capisce se per obbligo di religione e sentimento o se per mitigare con la loro presenza quasi salvifica di colore e profumo, questa povertà sporca e apparentemente senza speranza. 

Flower market
I fiori come necessità di bellezza da consumare in quantità sproporzionate, affinché coprano con la loro patina edulcorante ogni bruttura, ogni sofferenza. Tutto il mercato è ricoperto da questa merce, così velocemente deperibile che deve essere continuamente rabboccata da arrivi di altro materiale, sempre fresco, sempre pronto. Ogni postazione di vendita e distribuzione è soffocato di fiori, suddivisi per necessità , tipologia d'uso e categorie. Qui tappeti di tageti gialli o mucchi di rose in bocciolo, là enormi mazzi di amarilli dai colori diversi. E ancora gerbere, dalie, margherite di ogni dimensione che affollano i teli stesi a terra impedendo un passaggio agevole. Poi stuoli di persone che si affannano sui nuovi arrivi, li mondano dalle foglie inutili, li raggruppano secondo colori e varietà, altri compongono corone infilando con rapidità in fili continui i fiorellini singoli a formare spesse catene da mettere al collo dei festeggiati, altri ancora che compongono costruzioni in architetture bizzarre e maestose, attorno a statue e tralicci. Addetti trasportano poi queste corone in mazzi che li sovrastano completamente e arrivano al successivo banco di vendita quasi sepolti dalle catene fiorite. Chi vende a numero, chi addirittura a peso. I venditori di petali hanno mucchi immensi davanti a loro e ne formano sacchi che i compratori golosi già immaginano sparsi sotto delicati piedi ricoperti dalle volute barocche dell'henné di spose bellissime drappeggiate di ricchi sari rossi e dorati. 

Mully ghat
Negli spazi ristretti tra i banchi e i negozi, a terra non c'è più nemmeno polvere, fango o sporcizia, solo un unico tappeto vegetale di verde, di foglie e steli scartati, di fiori morenti, di spine di rose che attentano a piedi non protetti, di vegetazione anch'essa alla fine della sua brevissima esistenza votata al piacere degli occhi. Il profumo forte delle collane di gelsomino, che immagini ornate chiome corvine e lucide, cancella ogni altro odore. Quando torni sulla riva del fiume, dove sui gradini popolati da altra umanità, si va sgranando ogni residuo di bellezza, l'acqua fetida e infetta, passa, portando via tutto, residui di verde assieme alla cenere dei morti, come se lo stesso carico di  dolore inconsapevole potesse lavare via tutto, povertà, sporcizia e malattia, verso il mare lontano, rendendo ogni cosa di nuovo fruibile alla vita, mentre le piccole statue di dei ancora rossi per la furia gioiosa dell'Holi appena passato anche qui, garantiscono spazio per tutti, basta che abbiano un senso di accettazione senza domande. Il treno rugginoso, carico fino all'inverosimile, dove mille teste si affacciano ai finestrini chiusi da inferriate, fischia passando tra le baracche che sembrano scostarsi per fare posto al Garuda di ferro sferragliante che va verso la vicina stazione ingombra dai mille bambini di strada in cerca di qualcosa che consenta loro di raggiungere il giorno dopo.

Il treno


SURVIVAL KIT

Il venditore di petali
Book market - College street - Nel quartiere dell'Università nella zona nord della città, ottimo posto per osservare l'India dei giovani e riposarsi un poco in una coffee hose vittoriana d'epoca coloniale.

Flower market - Spettacolare punto di osservazione del ponte Howrah, situato appena sotto l'inizio dell'arcata sulla riva destra del fiume. Portare scarpe chiuse per evitare di pungersi con le spine di rose che tappezzano i passaggi. Da qui si arriva ai vari ghat sul fiume come il Mully ghat o il più lontano Babu ghat, odori pesanti e sensazioni altrettanto forti, garantite.

Mother's Teresa House - 54a, Bose road - Piccolo museo con i ricordi della santa vicino alla sua tomba. E' possibile anche visitare la camera dove è vissuta negli ultimi anni. Chi è interessato a vedere parte della sua opera, casa ospedale e orfanotrofio, deve spostarsi di qualche via più in là.
Venditori di composizioni floreali

Un venditore di collane di fiori


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

2 commenti:

chicchina ha detto...

Sei un ottimo viaggiatore,non sarò certo la prima a dirtelo.Esci fuori dalle"cartoline"perchè da acuto osservatore,ci dai sempre un diverso punto di vista,un diverso modo di guardare persone e cose.Leggo e imparo cose che non avrei mai visto,e conosciuto.Grazie,ed una buona primavera.

Enrico Bo ha detto...

Buona primavera a te Chicchi e a tutti quelli che come te ce l'hanno nel cuore.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 116 (a seconda dei calcoli) su 250!