venerdì 31 luglio 2015

Il col de l'Izoard


La fortezza di Mont Dauphin



Ingresso e palazzo
Breve pausa nell'itinerario bhutanese, via fatemi respirare un attimo per favore, visto che sono qui tra le montagne e l'aria è buona, anzi oggi è anche un po' freschina. Dunque per chi fa un giro da queste parti volevo suggerirvi una giterella giornaliera nella bella Francia che tanto mi piace, a partire dalla fortificata Briançon. Ci potete arrivare facilmente dalla Val di Susa o dalla Val Chisone, a vostro piacere, scavallando il colle del Sestriere, in questa stagione un po' secco a causa del gran caldo di luglio, facendo al contrario il percorso tutto curve della Cesana - Sestriere appunto. Di qui risalite verso Clavière e la frontiera del Monginevro, dove recentemente è comparso pure un doganiere di facciata che fa finta di controllare i furgoni chiusi che passano, per vedere se nasconde qualche fuggitivo, che avrebbe invece a disposizione decine di sentieri che portano senza fatica, almeno non troppa, al di là della frontiera. Comunque in un soffio arrivate alla murata Briançon di cui vi ho già parlato altre volte qui. Prendete dunque la strada che va verso Gap e dopo una trentina di km (33 per l'esattezza), sulla vostra sinistra noterete la deviazione per Mont Dauphin, un piccolo altopiano che si erge proprio al di fianco della strada. Dopo qualche curva arriverete ad un ampio parcheggio gratuito, da cui si aprirà la vista su una magnifica fortezza costruita alla fine del 1600 dall'architetto militare Vauban, una delle glorie francesi. 

Il Guil
La cascata
Ha una pianta pentagonale molto regolare e come tutti i monumenti francesi è perfettamente conservata e vi si svolgono durante l'estate molti spettacoli e visite guidate (7 Euro). All'interno un piccolo paese con bar, ristoranti e botteghe artigiane. Troverete assolutamente gradevole passeggiare dentro la fortezza, visitare i bastioni, il giardino storico e la particolare chiesa costruita solo a metà e finita con una facciata provvisoria all'altezza del transetto. Tanto per cambiare anche allora erano finiti i soldi o qualcuno se li era mangiati. La vista dai bastioni è stupenda, in particolare quella che dà sul torrente Guil che ha scavato una canon dalle pareti quasi verticali spaccando la roccia dell'altopiano in due parti uguali. Da quello di fronte a voi, una deliziosa cascatella forma un paesaggio da fiaba, mentre concrezioni giganti costeggiano il sentiero che scende verso il greto, lungo la "via delle masche". L'ingresso è gratuito, stranamente per un monumento francese di questa fatta, tenendo conto che si tratta di un sito patrimonio mondiale dell'Unesco. Rimane comunque a me incomprensibile come monumenti nostrani come la Cittadella di Alessandria non lo siano, ma questa è un'altra storia. Comunque quando avrete mangiucchiato qualche cosa di tipico (a prezzi ovviamente d'affezione essendo in una location così particolare), potrete passare il resto del pomeriggio completando il giro circolare che, prendendo la strada che va verso Arvieux e Chateau Queyras (anche di questo magnifico sito vi ho già parlato qui), percorrendo prima un lungo canon infossato scavato proprio dal Guil, vi porterà verso il colle dell'Izoard, dalle tante memorie storiche, vecchie e recenti per gli amanti del ciclismo. 
Affaticato dopo la salita

Se riuscirete di evitare di arrotare con la vostra vettura le schiere di ciclisti che misurano le proprie forze su questi tornanti (sono anch'essi un vero spettacolo), passerete davanti al monumento dedicato a Coppi e a Bobet, arrivando ad un magnifico anfiteatro naturale a pochi chilometri dal colle, la Casse Déserte. Il paesaggio è assolutamente lunare, con una immensa pietraia fine che scende da martoriate cime dolomitiche che l'erosione ha scavato, forato, graffiato in contorte figure che emergono come fantasmi dalla superficie liscia della montagna. Basterà poco poi per arrivare al piccolo obelisco sul colle ad oltre 2300 metri. Qui se riuscirete a farvi prestare una bici e un caschetto da uno dei tanti pedalatori che, sfigurati dalla fatica giacciono qua e là ansimando, potrete farvi un selfie fasullo che certifichi la vostra attitudine a questo sport disumano. Poi giù a capofitto in questo altro tratto della route des Grandes Alpes, un'altra ventina di chilometri e avrete completato il giro a Briançon (totale circa 90 km). Sosta al supermercato per fare il pieno di formaggi francesi e via verso casa, contenti e felici della bella giornata trascorsa.

La Casse Déserte

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Per incamerare forze prima della salita





mercoledì 29 luglio 2015

Bhutan - Meditazione

Lo Dzong di Trongsa


La sveglia del monaco
Anche questa volta lo dzong di Trongsa mi sembra il più bello visto fin ora, così arroccato sul crinale del monte a difendere la posizione con una infinita scala di accesso che prima della strada carrozzabile si precipitava giù nella valle per risalirla dall'altra parte fino a quello che oggi è solo uno straordinario punto panoramico, ma che per secoli è stata la barriera il controllo del potere tra questi monti. Pare la fortezza di Fenestrelle e la sua scala, assieme confine e barriera. Qui, in questa postazione difensiva è nato il Bhutan, da qui si poteva effettivamente controllare il territorio. Ora solo pochi monaci all'interno intenti ad attività di meditazione, per lo meno a guardarli di lontano. Uno è proprio al limite dello strapiombo sulla valle, un muricciolo tra due spioventi del tempio. Attorno a lui, quattro galli becchettano qualche seme nascosto tra le pietre del cortile, sono le sveglie viventi del convento che segnalano loro l'alba e il tempo della preghiera. E' giovane questo monaco, con radi peli di barba che ancora stanno crescendo attorno al mento, il capo rigorosamente rasato, tiene gli occhi semichiusi, segno di una profonda concentrazione, il volto girato verso il precipizio, mentre il vento da nord gli smuove un poco il lembo alto della tonaca appoggiata alla spalla. Non voglio turbare il suo stato, così evito di girargli attorno o di fotografarlo, forse basta un semplice click per perdere una pace lungamente cercata. 

Tiro con l'arco
Rimango così anche io immobile appoggiato al bordo a guardare la valle ricoperta di una fitta foresta vergine fatta di verde nero punteggiato qua e là dai viola e dai rossi dei rododendri. E' uno spettacolo che ti incanta e forse davvero ti fa perdere la cognizione del tempo. Chissà se rimanere qui, tra questi monti non porterebbe chiunque all'assenza di pensiero, a quel fissare la mente in un punto astratto, lasciandola vagare in un'onda infinita, fino a perderla. Chissà. Intanto il monaco si scuote, toglie dalle orecchie gli auricolari bianchi, che in effetti non avevo notato, spegne il tablet che teneva nascosto tra le pieghe della tonaca e se ne va, dopo aver salutato con un cenno della mano, canticchiando Where have you been di Ryanna. Sì, è ora di andare. Grossi corvi neri gracchiano lasciandosi andare in volo pesante verso il basso della valle. Appena fuori del paese, su una collina spoglia, un gruppo di ragazzi è radunato attorno ad alcune aste dipinte. I loro costumi a quadrettini colorati spiccano sul verde del prato. Dall'altra parte della strada, un altro gruppetto si sbraccia facendo grandi segni, qualcuno sghignazza, gli altri si lanciano grida di dileggio. I ragazzi da questa parte rispondono a pié fermo. E' una gara di tiro con l'arco, lo sport nazionale. Con archi tradizionali, senza bilancieri, bisogna colpire un bersaglio di una ventina di centimetri ad oltre un centinaio di metri di distanza. 

La gara
Adesso uno, all'apparenza il più esperto, tende la corda, rimane un attimo senza respirare mirando con la coda dell'occhio attraverso il braccio sinistro che tiene l'arco, poi le dita si aprono e la freccia scocca via con un sibilo leggero. Rimane quasi in equilibrio sul piede sinistro bilanciandosi come un lanciatore di giavellotto, seguendo con lo sguardo l'arco che  la freccia compie volando al di là della strada; si piega a destra con tutto il corpo, come se ancora potesse modificarne la traiettoria, mentre tutti gli amici guardano nella stessa direzione con il fiato sospeso. La freccia sfiora il bersaglio e cade a un metro dietro. Gli avversari lanciano grida e sberleffi vari, mentre da questa parte si cerca di consolare l'arciere per il punto quasi fatto, una pacca sulla spalla, mentre si ritira e un altro prende il suo posto. Questa volta la freccia cade ancora più lontano ed i motteggi salgono di intensità. Tutti provano a turno. alla fine solo uno colpisce il bersaglio ed è gran festa. Gli amici lo festeggiano con grida e grandi cenni di approvazione, dall'altra parte, forse imprecazioni alla fortuna sfacciata ed al vento che ha modificato la traiettoria per quanto è bastato a far perdere il pranzo a tutta la comitiva che adesso dovrà pagare. Lasciamo il gruppo di ragazzi ancora intenti a discutere sulla bellezza e la precisione dei tiri fatti. 

Il festeggiato
Dopo un'oretta di strada, ecco il passo Yutong La, du 3400 metri forse il punto più alto della nostra strada. Nebbia e freddo, acquerugiola fine che invoglia alla discesa. Davanti a noi la valle di Bumthang, una sorta di ShangriLa sperduta e solitaria che si allarga in fondovalle in una serie di prati smeraldini che la avvicinano ad una specie di Svizzera asiatica di alti pascoli punteggiati di chalet di legno dai tetti sollevati per lasciare lo spazio ai fieni da essiccare, con le finestre circondate di travi di legno ornate di disegni festosi. A Chumey un piccolo gruppo di case dove si lavora le lane delle greggi che pascolano la valle. Tappeti, stoffe, scialli e tante altre produzioni di questi monti, lavori in legno e chincaglieria varia. Mentre un vecchio si affanna per cercare di vendere qualcosa, dietro la casa principale, salgono rumori e risa. C'è in atto una vera e propria festa. Attorno al cortile una trentina di persone stanno seduti. Intanto, dall'interno della casa, arrivano donne con grandi pentole e distribuiscono a tutti riso, stufato di carne e una minestra rossa dall'apparenza davvero piccante, che tutti sembrano gradire molto. 

Pranzo a Chumey
C'è l'aria tipica delle riunioni di paese delle nostre montagne, Si ride, si mangia, si raccontano storie, mentre i bambini si rincorrono qua e là giocando. Uno di loro, forse il festeggiato, ha attorno alla testa una fascia nera che trattiene una pergamena di carta, forse la benedizione o forse il segno del suo destino futuro, designatogli dal Lama in qualche cerimonia al tempio. E' il più serio e compito di tutti, conscio dell'importanza che ha avuto per lui la cerimonia del mattino. Tutti gli altri mangiano e ridono intorno. Un ragazzo dice parole sottovoce all'orecchio di una giovane vicino a lui; lei non gli risponde, continua a pescare nella ciotola con gli occhi bassi, ma le sue guance che si arrossano parlano per lei. Un momento di grande serenità. Forse è proprio questa la famosa Felicità interna lorda che bisogna cercare tra le persone che conosci da sempre, parlando di canapa e riso e di come quest'anno non sia ancora piovuto abbastanza per fare un buon raccolto. Intanto, la bambina forse più bella del mondo, si gira verso di me, che me ne stavo seminascosto a spiare dietro lo steccato, mi guarda, ride e mi saluta con la manina piccina, prima di correre via tra la gonna della nonna.


Da Trongsa a Bumthang - 64 km - 3 ore
SURVIVAL KIT

Monito al risparmio da parte del Re
Trongsa - Città situata proprio al centro del paese, di importanza strategica per la sua posizione chiave alla confluenza di diverse valli il controllo della quale dava il potere sull'intero Bhutan. Infatti qui è stato fondato il regno. Da vedere il bellissimo Dzong, castello/tempio difensivo a controllo della valle, dove venivano prelevati i pedaggi di passaggio e la torre di guardia Ta Dzong, oggi museo della storia del Bhutan con molti reperti antichi, statue importanti, armi e vestiti appartenuti ai re del passato. Interessante video sull'argomento di circa 25 minuti. All'interno una caffeteria dove in generale si arriva a tempo per il pranzo con il solito buffet. Non preoccupatevi tanto è tutto calcolato e compreso nel prezzo.
Riunione di famiglia a Chumey

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Bimba di Chumey


Un monaco di Trangsa

martedì 28 luglio 2015

Buthan - I cappellini Layap

L'universo


Donna Layap
Dorje è piccola e minuta, anche se rannicchiata com'è su una sporgenza del terreno in un angolo del mercato, non puoi valutare completamente la sua altezza. Stringe le braccia attorno alla lunga gonna di lana nera a strisce di colori naturali e tiene in grembo qualche oggetto da vendere. Souvenir fatti coi giunchi intrecciati e piccole borse di tessuto colorato che qualcuno al paese le ha affidato. Un paese formato forse da quattro case al di là dei monti del nord, tra i pascoli lontani del Lunana, l'ultima terra perduta al di là di alti passi, incuneata tra Tibet e Sikkim al bordo estremo del paese dove non ci sono strade, ma solo vaghi sentieri per arrivare a quei prati estremi, punteggiati dalle sagome nere degli yak. Appartiene alla tribù Layap, genti così isolate dal mondo che devono camminare per giorni per arrivare fin qui, già esso stesso uno dei luoghi più isolati del mondo. Ha un occhio sveglio ed attento, su un volto ovale e scarno, incorniciato da lunghi capelli neri lucidi di grasso. Gli uomini del suo villaggio possono solo pascolare animali e badare agli yak alle quote alte attorno ai 4000 e demandano alle donne le attività commerciali. Forse sanno che sono mediamente più sveglie e ne hanno un po' paura, tanto che hanno escogitato un sistema abbastanza sicuro per controllarle anche a distanza.

Passo Pelle La
In realtà i Layap sanno bene che la causa di tutte le grane e dei grilli che saltano in testa alle donne che poi fanno le matte e rompono le scatole a quei poveracci dei loro mariti che vorrebbero solo essere lasciati in pace a pascolare le loro capre e a fare qualche gara con l'arco nei giorni di festa, non è dovuta alla natura stessa della femmina, che di per sé sarebbe buona e sottomettibile, ma ad una serie di spiritelli maligni che vagano nei boschi che appena vedono qualche ragazza sola che se ne va verso casa, le si ficcano dietro le orecchie e cominciano a metterle in zucca strane idee e voglie matte, tanto da farle diventare poi piene di pretese e di desideri incontentabili con i quali rendono la vita impossibile a tutti gli uomini che hanno la sventura di esserle a tiro. Così hanno escogitato un sistema infallibile per difendersi, una specie di casco protettivo anti intrusione mentale. Infatti ogni fanciulla che si rispetti, secondo la legge del villaggio, deve tenere in capo un apposito cappellino di bambù intrecciato a forma elegante di lungo cono che termina con una punta girata verso il cielo interrotta da un dischetto circolare a metà.

Una coppia di Bhutabesi
Questo copricapo ben fissato attorno al collo da un filo teso decorato di perline, è in realtà una sorta di antenna protettiva che scherma le intrusioni malevole degli spiriti e rende le fanciulle e le spose impermeabili ai cattivi pensieri e alle pretensioni incongrue in particolare verso quei poveracci dei loro compagni. Insomma una assicurazione contro pretese di femminismo d'accatto o altre iniziative personali sgradite. Come suggerisce giustamente l'amico Juhan nei commenti, una vera e propria gabbia di Faraday antintrusioni, anche radioattive o radioamatoriarli. Le ragazze accettano, non si sa se di buon grado o meno questa imposizione che le rende tra l'altro molto gradite agli obbiettivi dei turisti di passaggio, cosa che procura sempre qualche cosa alla fine. L'occhio comunque rimane sveglio e può darsi che gli spiriti del bosco abbiano trovato ormai il modo di superare il firewall, hackerando anche le menti più virginali. Rimarresti ancora un po' a passeggiare nel mercato avvinto dai colori delle kira delle ragazze e dei tanti gho maschili, ma se i chilometri che mancano alla metà di questa sera sembrano pochi, il tempo effettivo di viaggio è ancora molto. Ci vogliono almeno altre tre ore da Punakha per arrivare al Pelle La un passo solitario a 3300 metri, immerso nelle nebbie pomeridiane dietro a cui si nascondono i rami scheletriti delle conifere che poi risalgono la montagna.

Alberi nella nebbia
Un piccolo chorten ad indicare il punto preciso del passo e file di bandiere che sventolano. Nascosta in un anfratto, una piccola baracchetta dove una coppia scanzonata cerca di attirare i turisti di passaggio che si fermano per provare l'ebbrezza della quota. L'uomo spara qualche prezzo impossibile per una serie di oggetti appesi al soffitto e per le piccole tangke esposte sulla parete di legno, poi i due sghignazzano tra di loro, forse consci delle assurdità delle richieste, forse qualcuno ha detto loro quanto fa pagare il Re al giorno a queste gente che arriva dall'altra parte del mondo e anch'essi vogliono approfittare di tanta dabbenaggine. Alla fine in fondo non hanno neanche voglia di venderla quella paccottiglia, vogliono solo socializzare un po' con gli stranieri. Intanto il cielo diventa sempre più scuro, poi comincia a grandinare fitto, chicchi come acini d'uva. Lasciamo la coppia che continua a ridacchiare e corriamo alla macchina. Poi giù giù a capofitto nella valle successiva; boschi, alberi e qua e là gli spruzzi bianchi o viola delle magnolie, le gocce di sangue di mille rododendri. Altre tre orette e sul costone, dall'altra parte della valle, compare lo Dzong di Trongsa, una silohuette fatata che l'ombra della sera rende ancora più irreale.

Da Punakha a Trongsa - circa 6 ore

SURVIVAL KIT

Yangkhil Resort - Trongsa - Bellissimo albergo in stile bhutanese in posizione panoramica che domina la valle e lo dzong. Camere grandi in legno, Pulito e con forniture adeguate, Bagni nuovi. Ogni camera è dotata di terrazzino e vetrata sulla valle. Riscaldamento, acqua calda . Il free wifi non funzionava molto. Si cena in albergo con zuppa e buffet, Servizio molto cortese e professionale. Consigliato.

Rododendro

Yak
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Bandiere al passo

sabato 25 luglio 2015

Bhutan - Lo dzong di Punakha


Lo dzong di Punakha


La confluenza dei fiumi
Anche la cittadina di Punakha occupa un fondovalle. Dal piccolo parco sul fiume hai davanti una cartolina perfetta. Nel cuneo di terra ghiaiosa alla confluenza del suo immissario, il punto di unione del fiume maschio col fiume femmina, giacché dovunque in questo paese si ricercano questi simbolismi, la sagoma bianca e rossa inconfondibile dello Dzong, forse il più bello in assoluto del Bhutan, domina il paesaggio. Certo è curioso questo giudizio che spari affrettatamente appena ne misuri le dimensioni colossali, le mura possenti che circondano i tre cortili, non appena superi il gigantesco portale col suo arcobaleno di dipinti, di fiori e di animali, cercando di non sostare proprio sotto i giganteschi  favi di api selvatiche che pendono minacciosi dalle alte architravi. In realtà ad ogni nuova fortezza o tempio o monastero a cui arrivi, che scopri alla periferia dei piccoli paesi o appollaiati sulle creste delle colline, hai la medesima sensazione. Sarà la multiforme varietà degli affreschi o dei dipinti che ne ornano l'interno o l'affastellarsi delle statue che in una sorta di orror vacui riempiono assieme agli oggetti sacri e alle manifestazioni di fede, ogni più piccolo spazio. Sarà il nitore abbacinante del bianco delle mura, forse continuamente ripassato, anche per i continui rifacimenti che tra terremoti ed incendi, costringono a restauri infiniti. 

Il primo cortile
Il fatto è che ognuno di questi luoghi sacri ti appare magnifico, maestoso, perfetto nella sua manifestazione di arte religiosa. I monaci stessi, avvolti nei loro mantelli rosso mattone, sembrano essere parte perfettamente calcolata dell'ambiente, arredi indispensabili a caratterizzare cortili e sale di preghiera, incorniciati da porte rette da stipiti di legno antico. Nella prima grande corte circondata dalle balconate dove insegui con lo sguardo la fuga delle celle, un enorme bañan, l'albero sacro a Buddha, allunga i suoi rami quasi a voler abbracciare tutto lo spazio, i fedeli che entrano, i curiosi che si fermano a guardare col naso in su i disegni delle travi e le volute delle capriate che spuntano dai sottotetti barocchi. L'ultimo cortile ti porta davanti al tempio, grandissimo ed oscuro, che nasconde le tre statue maestose di Buddha, di Padmasambava dagli occhi tondi e penetranti e del fondatore della setta dei Berretti Rossi. Sulla facciata durante l'ultimo giorno del festival annuale, viene svolta una enorme tankha che rappresenta un' immagine dell'Avalokitesvara, che si dice si sia formata spontaneamente sul drappo. Le tankhe scoperte che sono appese ai pilastri rosso fuoco, incorniciate in drappi damascati dai differenti colori, sono di una bellezza straordinaria. 

Il secondo cortile
Qui vedi la mano di grandi artisti che riescono ad annullarsi nella loro opera, che rimane sempre senza firma, di un autore sconosciuto che si annulla nel valore intrinseco di quello che la sua stessa opera rappresenta. Quando questi quadri, questi affreschi, saranno deteriorati, dal fumo delle lampade che li ricoprono di una patina scura che dona loro una magia profonda o dall'umidità che ne farà fiorire i minerali dalle pareti rigonfiate, tutto verrà distrutto e rifatto a nuovo, senza nessun rimpianto, anche se a noi pare un orrore non conservare queste opere vecchie di secoli a cui daremmo valori inestimabili. No, per la gente che abita tra queste mura, il valore non sta nell'opera in sé ma soltanto in quello che rappresenta e che contribuisce ad aumentare il merito che si ricava dalla dedizione e dalla fede. In tutto l'edifico respiri sacralità e, istintivamente, anche se non richiesto, ti viene da parlare sottovoce, di nasconderti in fondo senza farti notare per non turbare chi fa le offerte, chi prega o il salmodiare profondo di qualche monaco anziano seminascosto da un altarino che agita tra le mani la campanella o qualche altro oggetto rituale. 

Monaci
Ad un tratto ecco che arriva una processione. Davanti molti monaci che fanno strada, poi alcuni dignitari che dal passo cadenzato mostrano importanza e seriosità, poi due figure minute ed un poco ingobbite circondate da altri figuranti tutti agghindati nei costumi tradizionali. E' la nonna dell'attuale Re che cammina al fianco della sorella ormai novantenne, che vengono a fare le loro devozioni, dal vicino palazzo, sede invernale dei membri della famiglia reale. Si guarda attorno con attenzione e osserva con piacere il reverente rispetto che al suo passaggio, tutti i visitatori le mostrano come testimonianza inequivocabile di stima e di affetto. Attraversa il cortile con passo lento e ça va sens dire, regale, d'altra parte è stata regina, moglie del terzo Re del paese, quello che ha cominciato la modernizzazione del regno. Poi scompare davanti alla sorella in una porta secondaria del tempio. Il codazzo di cortigiani, guidato dal Governatore della provincia e dal Segretario generale, la segue come dovuto, fino a che un paio di compiti militari non chiudono definitivamente il portale. 

Militare di guardia al palazzo


Come dalle profondità della terra s'odono allora le cupe note dei lunghi corni di ottone, che partono con una sorta di spernacchiamento stentato e poi si allungano in una nota sola, profonda e sostenuta, così bassa da non parere prodotta da strumento fatto dall'uomo. Due monaci dalle gote gonfie, con grande sforzo la modulano ed il suono si alza come dal fondo di un mondo senza tempo e prende corpo rimbombando tra le pareti a strapiombo, perdendosi poi come un'eco ultraterrena, lungo il fiume e nella valle. 



I favi di api all'ingresso
E' una nota così bassa da dare come un tremito interno che smuove le viscere, quasi come la vibrazione procurata dalla pronuncia della sillaba OM prolungata a bocca chiusa fino a che il respiro lo consente. In fondo, tra i campi e le risaie, i contadini forse smettono per un istante il lavoro, rialzano la schiena appoggiando la zappetta dal manico corto tra le zolle dure e rifiatano un attimo pensando alla durezza di questa vita ed alla liberazione dalla sofferenza che alla fine attende il giusto. Tra la riva del fiume e le mura, una lunga fila di jacarande hanno i boccioli gonfi, in procinto di lasciare esplodere tra pochi giorni il loro azzurro violaceo senza uguali.

Padmasambava (Guru Rimpoche)


SURVIVAL KIT 

Il ponte
Punakha Dzong - Situato in posizione strategica alla confluenza del Pho Chhu (padre) e Mo Chhu (madre) ci si arriva attraverso un bellissimo ponte coperto, carico di bandiere di preghiera. E' il castello di questa città, capitale invernale del regno e principale sede della setta dei Cappelli Rossi, costruito nel 1637. E' anche sede dell'amministrazione della regione e vi si svolge un importante festival  che si svolge in febbraio. Qui si sono celebrate nel 2011 le nozze dell'attuale Sovrano. Anche l'antico ponte che attraversa il Mo Chhu è del XVII secolo.



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Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!