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Il Chomolhari (7314 m) |
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Un affresco del Kyichu |
C'è ancora tanto da vedere nella valle di Paro e invece per me questo è l'ultimo giorno. Arriva tutte le volte, da un lato il dispiacere, per il viaggio terminato, la consapevolezza di tutte le cose che hai lasciato da vedere e che quasi certamente non vedrai mai più, il lasciare le persone appena conosciute, a cui ti sei legato pur per un breve rapporto, dall'altro il fatto che oramai sei con un piede di là, sulla scaletta dell'aereo che ti riporta a casa, così quel misto di sentimenti, turba un poco le ultime cose da fare, che cerchi in ogni modo di affrettare per comprenderle tutte, per non lasciare niente indietro. Quasi un po' di affanno insomma. Eppure la pace tranquilla del tempio di Kyichu, riesce comunque a sorprenderti. La parte vecchia accanto a quella nuova, una delle tante continue ricostruzioni. All'interno una serie straordinaria di statue e dipinti antichi, tra cui un magnifico Avalokiteshvara, il Buddha dalla mille braccia che spicca tra le altre. Un piccolo cortile, quasi spoglio al confronto della magnificenza di tanti altri, ma forse era questa la modestia che avvolgeva i siti più antichi, che ancor più contribuisce a completare questa atmosfera di pace immobile nel tempo.
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Kyichu Lhakhang |
Vicino, una tenda accanto alla quale avvengono le cerimonie funebri con un piccolo palco per le cremazioni, ma tutto il giardino intorno è un tripudio di fiori, il viola chiaro dei glicini, il bianco dei ciliegi e dei peri, l'arancio delle bouganvillee, le fiammate purpuree delle magnolie. Dappertutto si avverte il respiro leggero e prolungato della meditazione. Niente rumori, niente folla, sono tutti al festival, solo silenzio e preghiera muta di quei pochi che hanno scelto di isolarsi proprio in questo giorno di festa. Un solo monaco è accosciato su una coperta rigonfia, in un corridoio laterale. La testa reclinata in avanti verso l'angolo del muro, il torso immobile come una statua, da cui indovini solo i minuscoli movimenti della mano destra, nascosta davanti, nel grembo, forse a compitare meccanicamente i grani del rosario. Mi avvicino, cercando di non turbare quella concentrazione con qualche scatto inopinato dell'otturatore, osservo meglio, aguzzando l'occhio nella penombra, anche il pollice della sinistra si muove compulsivamente. Fa un sospiro profondo, poi si appresta ad affrontare sul livello successivo di Candy Crash sul suo smartphone. Bisogna fare ancora qualche chilometro però, prima di arrivare alla fine della strada asfaltata in fondo alla valle.
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La zona funebre |
Qui il cielo, che non ci è stato particolarmente amico per tutto questo mese, quasi volesse nasconderci le meraviglie di quelle cime bianchissime e lontane, come se gli spiriti delle vette di quei monti volessero mettere alla prova la nostra pazienza, le nostre vere motivazioni, improvvisamente ed inaspettatamente si apre. Le nubi grige di umidità, assieme a quelle bianche di panna montata, si squarciano davanti a noi come le cortine di un sipario colossale che mostrano, sovrapposte al fondale blu indaco del cielo, il triangolo bianco splendente del
Chomolhari, con i suoi 7314 metri, una delle più alte montagne del Bhutan. Non rimane molto alla vista, concedendosi per pochi minuti, quasi non volesse farci lasciare il paese senza mostrarsi, forse un segno di merito o forse un ultimo sberleffo ai turisti pretenziosi, che danno un prezzo ad ogni cosa. Anche Tashi non crede ai suoi occhi, ci aveva portati fin quassù quasi per onor di firma e invece la montagna magica, la moglie del Kanchengjunga è proprio lì davanti a noi splendida e irraggiungibile. Scatta un bel po' di foto, poi contatta un amico che da quattro giorni è al campo base della montagna, immerso nella nebbia e ancora non è riuscito a mostrarla ai suoi clienti inviperiti.
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Il Drukgyel dzong |
Non ci credono, occorre inviare alcune foto dimostrative a titolo di prova e di ulteriore beffa. Ridacchia Tashi, sotto i baffi, allora è proprio vero, gli dei della montagna ci vogliono davvero bene. Poco vicino, le rovine cupe e corrose dal fuoco del
Drukgyel Dzong, una fortezza severa, sorta proprio nel punto della battaglia fatale che nel XVII secolo, aveva dato la vittoria finale contro gli invasori Tibetani, fermati qui, dal valore dei soldati dell'esercito reale. Mai più sarebbero passati scendendo da questa valle scoscesa, mai uomini avrebbero potuto vincere questo castello. Solo il fuoco nel 1950 ne ebbe ragione. Oggi solo muri cadenti e travi annerite a mostrarne l'antica potenza. Una numerosa famiglia di Kalkata in visita, si aggira assieme a noi tra le rovine. Le ragazze fanno fatica in mezzo al cortile ricoperto di erba spessa, con le scarpette coi tacchi, il capo famiglia, testa calva e spessi occhiali di tartaruga, sicuramente un professore, le guida sicuro fin sul bastione sud, spiegando la storia del sito, mentre le donne stanno attente soprattutto a non inciampare nei
sari colorati e a non precipitare giù dalle mura. Scoperto con stupore che parliamo inglese, le ragazze perdono ogni interesse alla storia del monumento e cominciamo una bella chiacchierata sugli argomenti più vari.
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Vestizione di un anziano bhutanese |
Ci separiamo solo davanti al negozietto di souvenir alla base delle mura, che il padre prudente aggira a monte, dopo aver osservato per tempo, con orrore, l'esibizione giganteschi falli affrescati sulle pareti della casa. Meglio evitare. Torniamo verso Paro, tra risaie a terrazze digradanti dolcemente verso il centro della valle. Dietro a noi il sipario sui monti bianchissimi, si chiude definitivamente. Lo spettacolo è finito. La montagna si è ritirata nelle sue stanze della sera. Poco più avanti c'è una antica fattoria che fa da
guest house ed allo stesso tempo si propone per mostrare il vecchio stile di vita delle campagne bhutanesi. Insomma una specie di agriturismo, in cui la signora, padrona di casa, ha capito che c'è un sacco di gente interessata a vedere e provare (ma per un'ora soltanto naturalmente) come era bello vivere ai tempi di una volta, con la vecchia stalla con le vacche sdraiate, l'orto pieno di verdure biologicissime, la sauna orientale, con le pietre sotto le quali si accende un fuoco per arroventarle prima di fare il vapore bollente nel quale sudare. Le camere della casa sono ancora tali e quali a quelle dei nonni, con la cucina spartana, i ripostigli con le vecchie cose e gli strumenti di un tempo, la carne secca appesa ad essiccare ed il fieno profumato nel fienile sul tetto, il piccolo tempietto interno che ogni casa aveva ed onorava, le camere da letto con le stuoie ed i guardaroba, con i vestiti classici tradizionali, i quali, ogni buon turista non può sottrarsi dal provare, con tronfia goffaggine.
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La floralie di Paro |
In pratica ci cascano tutti, con squittii di piacere, come la torma di giapponesi che si stanno facendo i
selfies in cortile o i più compassati europei che mostrano i polpacci nudi, tra i risolini della padrona di casa che cinge loro la cintura. Non resta che bere una tazza di
arak, una grappa di riso locale, nella migliore tradizione, d'altra parte se hai già dato con la grolla della Valle d'Aosta, perché rifiutare, sarebbe offensivo, inoltre è compreso nel pacchetto. In città invece, si è appena aperta, con l'inaugurazione della regina madre e del corteo reale, l'esposizione nazionale floreale. Tutti i produttori di piante verdi e vivai sono qui a presentare la loro produzione. Giardini di orchidee, glicini, rose, astri, rododendri, gerbere d'ogni colore e altri fiori, molti dei quali a noi sconosciuti, ricoprono completamente aiuole e barocche rappresentazioni di arte topiaria. Un sacco di gente che gira, i balli del festival sono appena finiti e la folla sta sciamando verso questa attrazione. Ragazze che si fanno fotografare tra le rose e poi subito postano su facebook. La tradizione è bella e sana, ma il mondo occidentale è alle porte e spinge, c'è poco da fare, il regno della Felicità Interna Lorda forse è anche lui al capolinea.
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Business is business |
SURVIVAL KIT
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Negozio di souvenir |
Vista sul Chomolhari - A una quindicina di km verso il fondo della valle a ovest, dove finisce l'asfalto da un punto sopraelevato, se avrete fortuna si può vedere questa cima bhutanese al confine col Tibet. Si ricorda che dal 1999 c'è divieto di alpinismo e scalata su tutte le cime del paese, alcune delle quali come la più alta il
Gangkhar Puesum, 7570 metri, rimangono quindi inviolate.
Kyichu Lhakhang - Uno dei monasteri più antichi del paese, visitato anche da Padmasambava nel suo viaggio verso il Tibet, a qualche chilometro da Paro. Appartiene alle setta dei Nyingma Pa
Drukgyel Dzong - Fortezza in rovina anch'essa verso la fine della strada asfaltata, molto suggestiva, proprio per il suo stato attuale, Al momento sembra non ci siano intenzioni di restauro.
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