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I fritti |
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Lo specialista in catering per matrimoni |
Vuoi cominciare a capire cosa sia la folla indiana, odorare, ascoltare cosa è l'India? Allora deve venire a Chandni Chowk. Qui puoi lasciare da parte il paese dell'esplosione informatica, il PIL che corre ed i palazzi di vetro che sorgono qua e là, delle società straniere che fiutano l'esplosione di una economia che corre, la nuova India insomma. Qui tocchi con mano (e ne sei ampiamente toccato a tua volta e non solo in senso figurato) l'odore, i rumore, la vitalità del paese. Questo è "il mercato" per antonomasia, quello che porteresti ad esempio per raffigurare la categoria kantiana dei bazar dell'oriente. Forse uno dei più vasti del mondo per superficie, è anche vecchio di secoli, inaugurato da quei sovrani Mogul che hanno dato il volto attuale alla Old Delhi. Un groviglio inestricabile di vicoli e viuzze contorte che occupano tutta l'area dietro alla Grande Moschea, al limitare del Forte Rosso. Appena scesa la lunga gradinata della Jama Mashid, lo sciame dei fedeli si ammassa per infilarsi nelle strette aperture che danno accesso a questa area mercantile, in pratica un susseguirsi senza pause di negozietti, strambugi, bancarelle, teli posti a terra non appena si apre un piccolo spazio libero, dove esporre la merce, ordinata, ammonticchiata, buttata alla rifusa, un po' come ti pare, purché sia tanta e sovrasti con la sua presenza chi arriva, attirando l'occhio del passante e convincerlo a comprare.
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Ghirlande per offerte |
Il rumore è fortissimo, tutti gridano, esaltano i propri prodotti, richiamano i passanti, contrattano animatamente nella lotta senza fine tra cliente e venditore. Certo quest'ultimo ha il vantaggio di sapere fino a che punto può arrivare senza rimetterci, tuttavia ha anche lo svantaggio di dover buttare lì la prima palla, il prezzo che, se troppo elevato, distrugge subito la trattativa, la rende inutile e fa fuggire direttamente il probabile cliente. Insomma un equilibrio difficile che entrambi i contendenti conoscono ed una lotta quotidiana da combattere di continuo, per arrivare allo scambio finale. Appena di fianco, la concorrenza agguerrita di altri mille venditori di merce più o meno simile, addirittura affastellati l'uno vicino all'altro, con un concetto esattamente opposto al mercato occidentale, dove negozi simili vogliono, a volte devono, avere una distanza minima tra di loro, proprio per non pestarsi i piedi. Questo aspetto, insomma, qui favorisce il cliente, che può paragonare con maggiore facilità prima di decidere. La sfacciataggine nella proposta dei prezzi a volte assurdi, non è neppure considerata scorretta, ma parte del gioco. Un tizio, alla mia richiesta, butta lì un prezzo senza senso, va bene che sono visibilmente un turista, ma l'esagerazione disturba.
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I melograni |
Con un cenno di irrisione della mano faccio per allontanarmi, ma vengo subito rincorso ed ecco arrivare una cifra di un decimo della precedente. Cerco di trattare ancora un po' partendo da una riduzione ad un ventesimo, ma subito il tizio esibisce una faccia compita e dichiara senza vergogna: "Sorry, fixed price!". Interessante no, come mentalità. Va da sé che la parte più interessante è quella dell'alimentare. Montagne di prodotti di ogni tipo, cereali, legumi, verdure, frutta, quest'ultima spesso impilata in piramidi perfette e lucide e spezie a profusione, impacchettate o più spesso sfuse. Sono queste che danno l'odore al mercato, che predominano e caratterizzano il taste of India dappertutto. Il senso che ti fa riconoscere il luogo dove sei, ad occhi chiusi. Intorno, quelli che il cibo lo preparano e lo offrono pronto da consumare. In antri oscuri enormi padelle semicircolari sono piene a metà di liquido ambrato che frigge ogni genere di pastelle, bomboloni, paste ripiene, dolcini per disporli poi a fianco in piramidi unte e bollenti. Ogni sottoscala con un varco sulla strada ospita un fornelletto che prepara thé con latte condensato e cinammomo, che poi qualche ragazzino lacero porta in giro in un cestello da sei bicchierini, offrendolo ai passanti. "Chay, chay" grida il ragazzino e fa tintinnare nella mano libera le monetine da 1 rupia.
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Negozio religioso |
Altri ti porgono bicchieri di lassi, lo yogourth annacquato rinfrescante, all'apparenza brodo di cultura di ogni cosa immaginabile. Ad ogni angolo un banchetto con una macchinetta dotata di due ingranaggi strizzatutto in cui vengono infilati i lunghi bastoni di canna da zucchero, che spremuti, forniscono un liquido marrone e lattiginoso, filtrato più volte prima di venir versato in grandi bicchieri che gli astanti bevono di gusto col mignolo alzato. I dabbawalla, con le loro sporte ripiene di quelle che noi chiameremmo sciscette, con il cibo del pranzo, corrono in ogni direzione per consegnare ogni giorno i milioni di pasti che piccoli impiegati o commercianti consumeranno in grembo, tra una trattativa e l'altra. Sembra che questo incredibile servizio, in cui pare non vengano mai sbagliate le consegne, sia stato studiato a lungo dalle logistiche di grandi multinazionali per carpirne il segreto dell'efficienza. Un bailamme di grida, urli, richieste di strada da parte di trasportatori con carretti e pacchi inverosimili, portati a braccia o in testa, che vengono attutiti e resi quasi incomprensibili dal rumore delle moto e dalle migliaia di clacson che bici, tuktuk e ogni altro genere di veicoli, auto comprese che hanno la voglia o la sfrontatezza di ficcarsi in quei passaggi, producono senza sosta.
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Street food |
Un rumore di fondo ineguagliabile che assieme al sentore di spezia sarà il tuo compagno costante di questa esperienza. Nel tratto delle gioiellerie, i negozi si fanno un poco più pretenziosi. I gestori paiono tutti più grassi e pasciuti, accoccolati a gambe incrociate dietro i bassi banchi vetrati che espongono anelli e cavigliere, mentre gruppetti di donne, madri, zie che accompagnano la eventuale futura sposa a scegliere l'oro o qualche suo succedaneo di minore titolo, della dote. Poi tutta la parte delle stoffe e dei vestiti, che ridonda di colori così vari e smaglianti da occupare un pantone di sfumature esagerato e così ricco, da renderti difficile la scelta. Sari ricamati e trapuntati d'oro, kurta dal taglio elegante bordati a damasco, salwar camiz a disegni minuti, stoffe e tessuti così fantasiosi da colorare l'ambiente in un variopinto caleidoscopio che ti fa confondere la vista. Di tanto in tanto minuscoli o più grandi luoghi di culto, che vanno dalle semplici edicole che nascondono magari soltanto una piccola testa di Ganesha, l'ilare dio della fortuna e del buonumore, proprio dei mercanti, dove la pietas superstiziosa dei passanti ha lasciato qualche offerta che il calore sta facendo marcire.
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Il tempio sikh |
Poco più in là, edifici quasi maestosi, incuneati tra i negozi, dove accedi a fatica attraverso una scaletta nascoste da montagne di scarpe, da cui esce il salmodiare ritmico di qualche sacerdote, attento alla raccolta di offerte che il mercato, luogo di denaro per elezione naturale, fa scorrere a beneficio del sadhu di turno. Lungo l'arteria principale che lo attraversa, c'è addirittura un grande tempio sikh, orgoglioso dei suoi porticati in marmo bianco, circondato da fedeli in turbanti colorati, ordinate barbacce nere e mustacchi corposi. Qualcuno tiene in mano lancia o scimitarra, simboli di questa religione militante, che tuttavia ti accoglie subito invitandoti ad entrare con grandi sorrisi. Nel cortile, la efficiente organizzazione caritativa dell'apparato. Un grande pentolone che offre un pasto gratis a chiunque lo richieda. Una sorta di Caritas molto attiva in un luogo dove la richiesta è sicuramente presente a giudicare dalla fila corposa in attesa con la scodella in mano. Su tutto questo, la folla. Una massa di umanità pervasiva, che spinge e cammina disordinatamente in tutte le direzioni, creando ingorghi che si risolvono a fatica quando riescono a formarsi flussi direzionali, correnti umane che si prendono un lato del vicolo lasciando all'altro la direzione opposta.
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Il negozio del betel |
Ognuno con il suo intento, la sua cosa da fare, osservare, cercare qualche cosa, portarla da un luogo all'altro oppure semplicemente vagabondare qua e là cercando occasioni o neanche quelle. Passare il tempo insomma, una delle poche cose che non ha costo da queste parti. Tu scorri e osservi, il banchetto del betel circondato da sputazzi rossi e quello che offre dentiere o ornamenti religiosi, collane di fiori o ritagli di carta con le svastiche, affascinato e aggredito da una miscela di odori forti, a volte troppo, che rappresenta cosa sia l'umanità vera, quella che respira, suda, sporca, insomma vive. Ti lasci trascinare dalla corrente, l'occhio che cerca di afferrare immagini, la mente che ne metabolizza in diretta l'uso, il naso che dopo pochi minuti di insopportabilità, si adegua, anestetizzato forzatamente, la mano sul portafoglio e gli altri tuoi averi, ossessionato come sarai, dagli innumerevoli avvisi affissi qua e là di fare attenzione alle lunghe mani dei borseggiatori. Sarebbe davvero strano che in un luogo così. non ce ne fossero. Poi all'improvviso la corrente ti porta ai margini delle strade e come un refolo di piccoli gorghi laterali ti espelle di lato. E' ora di tornate a casa.
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Frutta |
SURVIVAL KIT
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Zona dentisti |
Chandni Chowk - La parte centrale della Old Delhi, dietro alla Jama Mashid. Dedicate almeno un'oretta a questo immenso e antico mercato, per capire cos'è l'India. Potete fare piccoli acquisti tanto per testare la vostra propensione all'arte di contrattare. La qualità delle merci non sarà di certo eccelsa, ma sarà divertente. Nella zona più lontana dalla Moschea, c'è lo
spice market, anche questo ricco di suggestioni olfattive. Attenzione ai borseggiatori.
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Il droghiere |
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4 commenti:
Leggendo sono riuscita quasi a sentire gli odori, mi hai riportato alla mente ricordi dei mercati nordafricani e di Zanzibar. Forse non sono proprio gli stessi ma quando sento parlare di spezie penso al cumino, alla paprika, e alla confusione allegra dei banchi del mercato.
Certo, i mercati d'oriente hanno caratteristiche davvero simili, in particolare gli odori. Quello che diversifica l'India è la folla davvero esagerata e le spezie che predominano sono quelle del curry.
Mi ci ero (letteralmente!) perso. Ricordo ancora l'esperienza, all'inizio quasi annaspando per cercare aria in un angolino non stipato di gente, poi, vinto, abbandonandomi al flusso e venendo espulso più tardi in un punto più o meno a casa. Ci sono anche gli sconsiderati che, nella calca, sgasano coi motorini cercando di passare.
Caro Doc, vedo che ti ci ritrovi in questo mio viaggio dove mi sembra tu sia stato da poco (ho letto le tue relazioni). L'India , sia come sia, è un posto da sensazioni forti, a mio parere.
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