mercoledì 9 dicembre 2015

Dal Maharaja di Samode

Il tempio di Hanuman nel traffico di Delhi


Il palazzo del Maharaja di Samode
Già, lasciare Delhi. Dirlo è più facile che farlo. Uscire dal centro ingorgato e percorrere i vialoni della Nuova Delhi per arrivare alle arterie autostradali che attraversano la sterminata periferia, è un'impresa che può richiedere al mattino, almeno un paio di orette.  La tua auto, carica di te e dei tuoi compari, con tanto di valigioni caricati sul tettuccio, alla meglio trattenuti da cordini improbabili, ha assunto una aria indiana adeguata al paesaggio che la circonda ed è del tutto credibile, mentre si muove con destrezza in questo traffico senza senso. Si intrufola, come prevede evidentemente la consuetudine stradale, in ogni più piccolo spazio libero, senza timore di creare difficoltà allo scorrimento. Questa è la regola, suonare e trovare spazio in cui infiltrarsi, occuparlo con il diritto di chi ha almeno una piccola parte di cofano più avanti. Questa è considerata precedenza, poi in qualche modo la fila defluisce e zigzagando qua e là riesci a dirigerti verso la meta. L'aria spessa ha trasformato l'umidità in una specie di pioggerellina che non riesce neppure a lavare il vetro marezzato di polvere rossa. Il sole è una luce fioca e ovattata da un alone nebuloso eppure il caldo è già soffocante. La periferia prosegue per chilometri alternando quartieri in costruzione con gruppi di falansteri di venticinque piani dall'apparenza abbandonata, a isole di palazzi di vetro con le insegne delle multinazionali e a vecchi insediamenti, file infinite di case uguali dal volto quasi diroccato a cui l'umidità del monsone ha corroso l'originale colore con strisce violente di muffa nera che invadono i muri con costante prevedibilità, per uniformare ogni tentativo di riscatto alle costruzioni vecchie di secoli. 

Il maggiordomo
Una sorta di rivincita della natura alleatasi con l'incuria manutentiva dell'uomo. Le quattro o più corsie per senso di marcia delle nuove arterie che negli ultimi anni hanno tentato di mantenere il passo con la crescita esponenziale della motorizzazione indiana, sono già chiaramente insufficienti a contenere la quantità di presenza giapponese che ha sostituito, annullandola completamente, l'esistenza di due tradizionali icone indiane, le sagome inconfondibili delle Ambassador, le vecchie silohuettes inglesi che rappresentavano l'auto di qualità fino ad una decina di anni fa e la Padmini, in pratica una linea dismessa di 1100 Fiat, ceduta verso la fine degli anni '60, che costituiva la modernità e contemporaneamente la totalità dei taxi di Mumbai, quando ancora si chiamava Bombay e che era anche quasi l'unica auto circolante laggiù. Si era cominciata ad intrufolare da poco la piccola Maruti, cavallo di Troia per la valanga giapponese che ha poi invaso il paese. Il parco auto è comunque piuttosto recente, segno che solo gli ultimi anni hanno segnato la svolta di benessere alla portata di una classe media sempre più affollata. Fatto sta che anche a colpi di strombazzamenti e pur con la perizia del nostro Mohammed, meticoloso e professionale driver, non si riesce ad aver ragione del traffico, complici forse la massa di tuktuk, di ciclorisciò, di camion fatiscenti che sgusciano tra le code infinite. 

Un affresco miniatura
Creano una certa confusione controllata anche le frequenti e conturbanti presenze di veicoli che percorrono l'autostrada in direzione opposta al senso di marcia, a volte anche nella corsia di sorpasso. Per fortuna che la velocità è così bassa da riuscire ad evitarle con una certa facilità. Mohammed non si lamenta neanche, al massimo fa un cenno di sopportazione piegando la testa di lato e allarga le braccia per significare, qui funziona così, ma poi le rimette subito sul volante. In fondo anche se venivano contromano in autostrada, avevano suonato il clacson per avvisare. Poi a poco a poco la densità del traffico diminuisce e anche se la strada a poco a poco si restringe, si comincia ad andare più spediti. Superato qualche casello, dove lasciare una decina di rupie alla volta, sballonzolati da decine di bumpers che impediscono giocoforza ai distratti di schiantarsi contro le barriere, si fa una ulteriore coda, con l'auto circondata da mendicanti di ogni genere che approfittano della ghiotta occasione di avere quella massa di ricconi motorizzati fermi, anche se barricati nelle loro auto con i vetri chiusi su cui ticchettare con le dita per comunicare una presenza a occhi che guardano altrove. Io esisto ti dice una bambina dai capelli raggrumati dallo sporco, tenendosi sull'anca un fratellino dall'aria consapevole, mimando con l'altra mano il gesto del mangiare. 

Gli specchi
Segue la macchina che avanza a passo d'uomo. Poi la sbarra si alza grazie alla cordicella tirata da un addetto, si tratta comunque di un posto di lavoro che ha tolto alla strada un altro richiedente aiuto e lei passa ad un'altra auto, risalendo la fila. Ancora pochi chilometri ed un gruppo di baracche e una lunga asta tenuta alzata da una corda, circondata da militari accasciati su sedie sgangherate che neppure si degnano di voltarsi, segnala il confine, forse soltanto più teorico, con il Rajastan, certamente lo stato più turistico e conosciuto del paese. Un deposito infinito di camion carichi all'inverosimile, alcuni pericolosamente piegati di fianco per il peso stivato malamente, mostra che forse qui impera ancora un sistema di dazi interstatali. Pile altissime di grandi registri dove annotare a mano miliardi di inutili informazioni che servano a mantenere in essere una delle burocrazie più meticolose del mondo. Una palla al piede che distribuisce milioni di microstipendi e tiene impegnata una folla sterminata di persone. Anche questa è una forma di socialità per tenere occupate le persone, anche se a prezzo di rallentare l'economia, anche se per il momento corre ancora da sola. Il paesaggio è piuttosto monotono, piatto e senza asperità, se non qualche piccola formazione rocciosa che emerge ogni tanto lontana nella pianura ricoperta da una agricoltura semplice e legata all'andamento del monsone. 

Un corridoio del palazzo
I bordi della strada e spesso la strada stessa sono invase da mandrie di capre, pecore e bufali. Le vacche invece si muovono in maniera indipendente e consapevole della propria sacralità. Decidono così di attraversare la strada a caso, perché la scarsa erba secca è sempre migliore al di là del nastro asfaltato, sdraiandosi spesso a riposare in mezzo alla carreggiata. D'altra parte, sono state cacciate dai centri delle metropoli, si vorrà lasciarle in pace almeno fuori. Le ore passano veloci per arrivare a Jaipur, una delle città simbolo di questo stato, ma prima che scenda la sera, rimane il tempo di prendere una stradina di campagna, contorta e sgretolata per raggiungere Samode, una cittadina del passato ai piedi di una collina rocciosa. Si fa fatica a riconoscere in questo paesino dalle case in rovina, quella che è stata una piccola capitale di uno dei tanti regni in cui era suddiviso il Rajastan, appunto il Paese dei Re. Certo nelle antiche magioni in cui riconosci il tocco architettonico della ricchezza, che conservano su quanto rimane dell'intonaco esterno, tracce di dipinti e gli ornamenti barocchi delle haveli di pregio, le ricche case che i mercanti costruivano nei loro paesi di origine, per mostrare il proprio benessere, rivaleggiando come le famiglie mercantili dei nostri comuni medioevali, si avverte la presenza di un passato importante. 

Una delle sale dell'hotel
Ma è nel palazzo del maharaja, arroccato ai piedi della collina, che l'ultimo discendente, occhiuto interprete della modernità, ha trasformato in albergo di lusso, che trovi un gioiello nascosto, che la fretta del turista che si è segnato sull'itinerario da percorrere solo le località più famose, rischia di farti lasciare da parte. L'esigenza ospitaliera del complesso lo rende ancora perfettamente curato in ogni sua parte, restaurato acconciamente dove necessario e conservato nelle sue parti storiche con grande cura. Il suo salone degli specchi è uno dei più belli e ricchi del paese e la sala delle udienze pubbliche che dà sul cortile principale è di una rara maestosità, senza eccedere nel gigantismo. Davvero un gioiello in cui rimanere a riposare un poco, dove bere un thé allo zenzero che camerieri bardati servono con sussiego, dove percorrere camere di rappresentanza e corridoi ricoperti di dipinti e miniature accompagnati da un maggiordomo d'altri tempi, dall'aria vagamente inquietante che lo fa sembrare un personaggio di un cartoon disneyano, che vi fa strada in un mondo perduto. Qui Kipling si è fermato a scrivere alcuni dei suoi capolavori tra una caccia alla tigre e l'altra. Qui potete guardarvi attraverso gli innumerevoli specchi di nascosti zenana, gli angoli riservati al mondo femminile, che avranno rimandato sguardi bistrati nelle lunghe attese del raja, ascoltando soltanto l'eco dei propri passi. Te ne vai a fatica, lasciandoti indietro sospiri di fantasmi lontani, rinchiusi nella cattività di grate di pietra e di legno scolpito da artigiani raffinati, costruttori di questa, come di altre, prigione dorata.

Le finestre dello zenana

SURVIVAL KIT

Da Delhi a Jaipur con deviazione a Samode
Da Delhi a Jaipur circa 300 km, calcolate almeno 5 o 6 ore più le soste. Come forse ho già detto, il modo più semplice, più comodo e che permette di vedere di più in meno tempo, cosa che alla fine lo rende anche spesso più economico, consiste nell'avere a disposizione per tutto l'itinerario che vorrete fare o almeno per la maggior parte di esso, una macchina con autista. A seconda dei casi dovrebbe costarvi attorno ai 100 € al giorno tutto compreso, driver, sue spese, macchina, carburante, pedaggi e parcheggi, cosa che se siete 4 o 5, fa scendere l'esborso giornaliero a 20/25 € a persona. Avrete in questo modo l'impagabile vantaggio di avere una persona a vostra disposizione 24 h, che vi porterà comodamente in qualunque posto vi interessi, conoscendone anche orari e caratteristiche, che si fermerà a vostra richiesta in qualunque punto vi sembrerà interessante per fare una foto o per entrare in un villaggio lungo la strada o per intrufolarvi in un matrimonio o in una festa che vedrete al vostro passaggio o per fermarsi al primo bar se vi viene sete. Forse i bus zaino in spalla (sempre più pesante al passare dell'età) vi darà maggior senso di libertà e costerà formalmente un po' meno, ma le lunghe soste, la scomodità e tutto quello che vi perderete tra il punto di partenza e quello di arrivo e le altre spese necessarie per raggiungere i punti di interesse intorno alle mete, sono uno svantaggio da considerare. Comunque confrontate costi e itinerari, che possono venire fatti su vostra misura, così come la qualità degli alberghi. Io vi segnalo questo amico (ormai è la terza volta che mi faccio supportare da lui con soddisfazione). Provate a chiedergli un preventivo.

Mr. Ashish Mishra Srikant
Alternative tours Pvt Ltd - Specialized in conducting Ethnic tours
Room No. 4 & 5,
B.D.A Market Complex
Palashpalli
Bhubaneswar 751020
Odisha

Phone : +91 674 - 2593463 ,2590830
Fax : +91 674 2590819
91 9437129983

Al ristorante nel dehors del palazzo
Samode - Paesino a circa 40 km da Jaipur. Vale assolutamente la deviazione. Il palazzo, ora hotel di lusso (camere attorno ai 200 $) è uno dei più belli del Rajastan e molto ben conservato. L'ingresso costa 1000 R (circa 15 €), una enormità, ma considerate che nella visita è incluso il pranzo nel raffinato ristorante, (fino alla concorrenza di questa cifra). Un addetto vi accompagnerà nella visita di tutto il palazzo per camere e saloni di grande bellezza e senza la folla che ritroverete negli altri luoghi più famosi. A mio parere un luogo imperdibile. Scendendo, usciti dalle grandi porte che chiudono le mura,  fate una passeggiata fino all'ingresso del paese, ammirando le facciate diroccate delle antiche haveli che ancora conservano tracce dei dipinti esterni.


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