Sahara - Tunisia - gennaio 1978 |
Yussuf stava lì in quel picolo avamposto tra la sabbia ad aspettare qualche raro turista che avesse voglia di traversare in macchina il Chot-el-Jerid, l'immenso lago salato del sud della Tunisia, al margine del deserto vero, l'ondulazione infinita di dune che vanno verso sud, quando anche le palme più misere e asfittiche non ce la fanno più, semplicemente rinunciano ad esistere e lasciano spazio alla sabbia e al nulla. Stava lì senza affanni, sicuro che tanto tu non ti saresti avventurato da solo in quell'infinito bianco di sale coperto da poche dita di acqua, ma saranno state poi sempre poche dita? Anche se una serie di balises ad un centinaio di metri le une dalle altre, segnalavano una sorta di via tra le acque, lui sapeva che lo avresti preso a bordo volentieri, non foss'altro che per avere la tranquillità di seguire la strada giusta e 80 chilometri sono tanto in mezzo a un lago senza vedere le sponde, altro che passerella di Christo! Ogni tanto, quando le ali di acqua si alzavano un poco di più ,nonostante la velocità rimanesse sempre uguale e piuttosto bassa, chiedevi come per una sorta di scaramenzia - Andiamo bene Yussuf, siamo tranquilli? -
Lui ridacchiava sotto il caffettano scuro e pesante con cui si proteggeva dal freddo pungente della notte e faceva di sì con la testa. A gennaio la notte è gelata nel deserto e nessuno pensa al riscaldamento. Viveva in una tenda berbera ai margini dell'oasi, un gruppo di palme misere e rinsecchite. Forse la famiglia governava un piccolo gregge di capre, ma lui si era inventato quel lavoro, un po' strano, il traghettatore di macchine a piedi. Saliva con te, ti rassicurava sulla direzione da prendere quando dirigevi con una certa titubanza il muso dell'auto versola superficie bianca e piatta del lago e poi ti indicava la via, una sorta di terrapieno nascosto da pochi centimetri di liquido e tuttavia sufficientemente solido da sorreggere la vettura e permettere la traversata. La macchina avanzava come la prora di na nave, fendendo l'acqua bassa e sollevando una sorta di onda che si alzava dai due lati, lasciandotil'impressione di galleggiare. Certo dopo pochi chilometri l'essere lì da soli in mezzo a tutto quel sale che si raggruma in formazioni complesse, mentre l'acqua stagnante ti circonda in ogni direzione, dà un certo senso di precarietà.
Sarà sempre solido il fondo o all'improvviso si aprirà una buca in cui sprofondare o il terreno sotto diventerà molle e limaccioso impedendoti di proseguire? Così la presenza di Yussuf ti rassicura e quando arrivi alla fine del cammino, superate le ultime concrezioni bianche, sculture immobili a guardia della impenetrabilità del resto del territorio, salta giù senza fretta, si prende il compenso pattuito e ti saluta con la mano mentre va a sedersi sotto ad un'altra palma, l'omologa della sua compagna dall'altra parte, ad aspettare che arrivi qualcun altro da traghettare in senso opposto. Chissà come avrà preso la sua primavera araba, Yussuf? Chissà se la rivoluzione dei gelsomini è arrivata tra le dune davanti al Chot o magari suo figlio avrà tentato con un altro tipo di traghetto la traversata a cercare una vita diversa da quella di suo padre traghettatore? Nel 1978 era troppo presto per immaginare un futuro di questo genere. Allora il deserto sembrava ancora una casa vivibile, bevendo thé alla menta e masticando datteri dolci davanti ad una tenda nera.
Il bordo del Chot el Jerid |
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