venerdì 11 agosto 2017

Il tarlo dell'Oriente

Myanmar - Mruak 'U - Preghiera

Mentre la brezza di questa aria che spira leggera tra i monti e le forre che scendono tra i pini, mi parla di lievi sensazioni che ormai nascondono ed ottundono definitivamente le calure estive (forse finite?), la voglia di pensare ha la sgradevole tendenza ad andarsene, forse alla ricerca di una pensione meritata, checché ne dica Boeri, ed emerge un po' spocchiosa come una grillina mai in vacanza il desiderio di rimanere lì, come inebetito di fronte al paesaggio per assorbirne gli odori, le sensazioni sulla pelle, i rumori attutiti, da subire senza approvazioni o dinieghi. Forse è questa la meditazione? O più semplicemente è lo sprofondare in una forma di otium così apprezzato dai latini, che non è ben chiaro se snervi la coscienza o la vivifichi. Sembra però facile non pensare, invece nel gorgo nero di questi meandri profondi, dove forse c'è davvero di tutto, come in una soffitta abbandonata di un film horror e dove puoi pescare a volontà, ricordi sbiaditi che forse erano squallida routine e che ora ti appaiono rosati splendori; desideri mai avverati, forse perché impossibili da raggiungere, forse soltanto rimasti lì per pigrizia o ignavia o incapacità; pulsioni represse di cui forse ci sarebbe da vergognarsi oppure così comuni da diventare banali, in ogni caso da studiare da partedi psicologi, anche bravi. 

Guardi la sagoma del Forte in lontananza, così vituperato da alcuni, così splendido e unico, così prorompente nella sua personalià da far di sé un manifesto inoppugnabile per una valle ed intanto le domande ti salgono da dentro, se le consideri, generando allo stesso tempo risposte così difficili da trovare e così inutili da ricercare. Una perdita di tempo che bene si affianca all'inattività, cercata certo, mai forzata per fortuna. Intanto, mentre una nuvola chiara si sposta verso sud aumentando lo spazio di azzurro sopra di me, ho una questione che mi arrovella. Ma perché l'oriente mi affascina a tal punto da costringermi come un assuefatto irreparabile ad andarci continuamente e quando ne sono distante, mi rimugina dentro una specie di groppo spinoso che non mi dà pace fino a quando non ricomincio a macinare progetti, itinerari e informazioni. Eppure di paesi di quell'area ne ho ormai visti parecchi, dal vicino all'estremo, dovrebbero bastarmi come esperienze rimuginate e invece no, il tarlo continua il suo lavoro incessante, spesso fastidioso. Io credo che sia una questione di fascino dell'esotico. 

Mentre il sud, l'Africa ha sempre rappresentato per me il selvatico, il misterioso, l'ancestrale che mescola alla voglia di conoscenza anche un misto di paura e diffidenza, l'Oriente sta lì come un insieme di sirene esotiche che invitano ad avvicinarsi, a bearsi nel farsi sfiorare, a mostrare i suoi misteri esibendoli come orchidee voluttuose ed invitanti, cariche di passione, di sensualità, di bellezza. Sono luoghi sognati fin dall'avvicinarsi alla letteratura dell'infanzia, Salgari, Kipling, che ti raccontavano mondi di bajadere, di tigri e di re dalle vesti dorate; di caverne misteriose, di immense statue di divinità feroci o misericordiose, di montagne bianche e inaccessibili, di paradisi perduti da raggiungere, di saggi dalle barbe bianche da ascoltare. In fondo tutte cose create dalla fantasia, esagerate e mitizzate al punto da deludere spesso chi ci arriva finalmente, magari con sacrificio. Tuttavia questo mondo è talmente ricco ed è capace di regalare tali e tante sensazioni, che tutto il negativo che riesci ad immaginare, la sporcizia, la puzza, il disgusto per la povertà carogna, l'affollamento barbarico e tanto altro, diventa ad un tratto, appena varcato quel limite invalutabile del pregiudizio e della ripulsa, parte dell'attrazione fatale, tratto positivo da reinterpretare, assimilare, sopportare in nome del tutto quanto puoi ammirare, godere, vivere. 

Quanta arte incontri per le vie dell'Oriente, quanta storia, quanto sapere e poi aggiungi natura e paesaggi sconvolgenti, ambienti selvaggi, deserti, foreste, mari e spiagge, colline verdeggianti e picchi innevati così estremi da non trovare paragoni. E poi gli uomini che ci vivono, molti vicini a noi o per lo meno ansiosi di raggiungerci inseguendole nostre stesse chimere, altri invece così lontani e diversi, isolati e nascosti, ma portatori di differenze e culture che puoi trovere solo lì e quasi da nessuna altra parte del mondo; un passato ancora e profondamente presente e forse non per molto. Insomma un insieme di attrattive che riescono a stimolare anche una statua di marmo, mi sembra o forse sembra soltanto a me, attaccato da questo virus che non lascia scampo, che una volta riuscito ad attirarti in questo gorgo, non ti lascia andare più, sei costretto periodicamente a ritornarci. La scusa è la solita, non ho ancora visto il tal posto, non ho ancora percorso quell'itinerario, mi manca ancora quel paese. Tutte storie, la realtà è questo profumo di Oriente non ti lascia più e continua a mandare dei richiami ai quali è impossibile resistere. Comunque il prossimo viaggio lo farò a Ovest, tanto per coerenza e poi, in fondo non era anche questo il desiderio di Colombo, buscar el levante por el ponente?


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