mercoledì 19 giugno 2019

L'insostenibile pesantezza dell'essere




Mattina presto. Solitudine assoluta. Immobile, disteso, inerte, gli occhi semichiusi, tutti i sensi in standby. Quel minimo frusciare dell'acqua sulle pietre, un rumore di fondo inavvertibile. Un lieve gusto di salsedine e un sentore di iodio quasi assente. Un tepore sui polpastrelli e il filo di brezza marina che non ha ancora preso corpo e che non arriva a mettere in moto il pensiero. Anche l'intorpidimento del collo, i formicolii sono assenti. Una totale atarassia che non si muta in sonno, che impedisce il sogno e ogni altro lavorio della mente. Una non essenza completa. Uno stato inerte tra il piacere e il non piacere. Una indecisione dovuta alla mancanza di necessità di decisione. Sarà così la morte?  In alto sulla collina nel piccolo cimitero, piccole bianche lapidi di esangui contessine russe e ufficialetti  zaristi rosi dalla tisi e venuti qui a morire in pace di fronte a questo mare dalle onde calme, tra il profumo dei limoni. Deve essere piacevole riposare lassù. Se avessi un barlume di volontà, ma tutte le sinapsi sono staccate, posto che ce ne siano, mi lascerei andare in questo liquido amniotico per perdere anche questa minima sensazione di peso. Annullarsi lasciandosi andare. Tutti dobbiamo andarcene comunque alla fine. Anche noi. Nel primo pomeriggio, se vogliamo arrivare a casa ad un'ora decente.

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