lunedì 3 giugno 2019

Malta 12 - Giuseppe l'emigrante

Le figurine dei templi di Ggantija

Le mole
Un cielo azzurro punteggiato di bianche nuvole sparse in movimento veloce. Siamo in fondo in mezzo al mare ed il tempo cambia in fretta ed in un attimo puoi passare dal bello al brutto, come ben sanno i marinai. E poi c'è questa sensazione di solitudine, anche tra le case, non vedi quasi nessuno che cammina o che si affacci da balconi antichi e carichi di storia, anzi di storie, dei racconti di famiglie smembrate dei loro cari che se ne andavano a migrare lontano, perché una terra avara non concedeva molto per  vivere, solo barche di legno colorate con le quali gettare reti minuscole al largo, solo piccoli campi sassosi in cui le spighe, esili e magre, facevano fatica a farsi strada e il poco che potevi poi portare al mulino, non permetteva di crescerla, quella famiglia. Sembra che andasse molto l'Australia in quel dopoguerra difficile, mentre molta parte del resto del mondo invece cominciava la sua crescita tumultuosa. Qui a Gozo, lo senti bene questo solitario spopolamento, solo un poco mediato dalle nuove opportunità. Il territorio è lo stesso della vicina Malta ma il respirare del paesaggio è in tutto differente. Avverti un senso di calma tranquilla, una totale mancanza dell'affanno europeo, di perdere l'opportunità, che senti invece, ormai pieno e forte, sull'isola principale. 

Ta' Kola
Qui c'è ben presente, la Malta di una volta, coi suoi paesini semideserti, i campicelli richiusi tra i muretti di pietra che arrivano fino alla scogliera, di fronte a quel confine naturale davanti al quale fermarsi, dove forse rimanevi a lungo per prendere le decisioni forti, tornare al villaggio o partire per sempre. Oppure quando rimanevi a lungo seduto davanti all'asino caricato di qualche sacco di grano da macinare, fermo dinnanzi alle pale mosse dal vento, che completava il lavoro, mentre tu meditavi su questa indecisione, sogno o incubo costante. Ce n'è ancora qualcuno di questi mulini, alte torri di pietra dorata con un cono bianco di calce in cima, come un cappello sghembo di una maschera triste, le cui pale rimangono ancora aperte, braccia scheletriche, ora immobili come crocefissi piantati nella terra di una agricoltura dolente e antica, ma senza nessuna speranza. Sei vele perdute, di cui resta soltanto il ricordo, nella rete scheletrita, legata al lungo palo, morta e oramai immobile e che non trarrebbe più in inganno nessun Don Chisciotte di passaggio. Quello rimasto a Xaghra, il mulino Ta' Kola, al centro del paese, è uno dei pochi rimasti. Ne puoi risalire la stretta scala fino al perno centrale dove il mozzo, messo in rotazione dal vento forte, muoveva il grande ingranaggio di legno innestato sulla pesante macina di pietra. 

Xewkija
Gli oggetti di vita antica che riempiono gli ambienti sottostanti sono testimonianza vera, più che dello stile di vita passata, comune a tanti altri luoghi della civiltà contadina dell'inizio del secolo scorso, di quel sentimento di cui ho parlato prima, della rigida difficoltà di vivere quaggiù, per chi aveva il coraggio di rimanere. Le strade intorno alla costruzione sono deserte, come se gli abitanti volessero lasciare il luogo nella sua solitudine specifica, in cui la storia lo ha abbandonato. A pochi passi di distanza, non più di duecento metri, le rovine del tempio di Ggantija, circondati da un bel giardino e affacciate su una balconata naturale sulla terra che digrada fino alla costa lontana un paio di chilometri, distanza dalla quale il blu del mare appare più come una tela dipinta che una superficie mobile e perigliosa. Anche queste pietre immani ed incombenti, come le molte altre che abbiamo visto, sono testimoni uguali di quei 5000 anni passati. Il loro stesso nome attuale ha dato propriamente la definizione a questa fase di civiltà, portando subito il pensiero non ad altri se non a creature gigantesche alle quali si possa addebitare la capacità di spostare questi massi enormi, ai titani immaginati, signori di ere passate e rimasti nell'Olimpo fantasy ultraterreno, protagonisti di leggende e di strutture religiose, popolate di dei capricciosi e potenti. Grandezza che rimane anche quando le dimensioni diventano piccolissime come nelle tante minuscole figurine sacre ritrovate, debordanti nella loro grassezza iconica. 

Un batacchio
E' proprio questa la caratteristica dell'arcipelago, quella di alternare anche a distanza di pochi metri, tratti e frammenti di mondi successivi, lontanissimi tra di loro, eppure tutti ormai caratteristici e caratterizzanti di questa terra. Scendi nella valle e risali dall'altro versante. Una lunga strada diritta, ti porta fino al centro di Xewkija, circondata da una piacevole fila omogenea di vecchie case, bellissime nella loro unità di stile, pure in una continua diversità che le caratterizza una ad una, con le porte circondate da stipiti scolpiti, dai grandi batacchi di bronzo, fusioni d'arte che raffigurano delfini, gorgoni, meduse, leoni, dei dimenticati. Sulla piazza al centro, anche questa che digrada a scalinate verso la valle, una enorme chiesa, la Parrocchiale di S. Giovanni Battista. Individui subito la ragione del suo nome, la Rotunda, datole dalla colossale cupola, una delle più grandi del mondo e maggiore anche di quella della Cattedrale di S. Paolo di Londra, in evidente competizione con l'altra Rotunda, quella di Mosta, vicino alla Valletta, più bassa, ma con una cubatura ancora maggiore. La costruzione è tutto sommato recente e data al primo dopoguerra, dovuta al tanto lavoro volontario degli abitanti e ai soldi di maggiorenti locali, qualcuno accenna anche a fantomatici prigionieri di guerra. Percorri in silenzio lo sterminato spazio ovale interno, capace di oltre 4000 posti (molti di più degli abitanti del paese).

S. Giovanni Battista
Calpesti i marmi colorati e ricchi, per arrivare all'ambiente ricavato come sacrestia che raccoglie tutti i preziosi capolavori artistici, quadri, statue e oggetti sacri, che provengono dalla chiesa antica che questo colosso ha sostituito annullandone anche la memoria, per accederne alla sommità. Dall'alto delle terrazze, sotto la massa incombente delle costolature della cupola hai una sensazione di estranea minuzia, davanti a queste dimensioni così sproporzionate di fronte all'isola che la ospita. Una piccola scala di ferro ti consente di scalare la torre campanaria, di andare ancora più in alto per misurare con lo sguardo lo spazio che si stende fino al mare lontano, qui siamo proprio al centro dell'isola, poi lo scoramento ti prende; e se le campane, anche'esse dimensionate a quanto le circonda, cominciassero a suonare all'improvviso? Giri attorno alla cupola su larghi camminamenti che si alternano a piccole balconate aggettanti al paese che sta sotto, una serie di tetti chiari ed uniformi, tagliati dalle vie lunghe e precise che ne scandiscono le fette come quelle di un dolce di matrimonio sul quale gli sposi hanno già tracciato le partizioni, iniziando dall'alzata centrale. Giuseppe Camilleri è anche lui, basito da queste dimensioni esagerate. Getta lo sguardo intorno e ammicca col viso stupito, rivolto alla cugina, un volto scuro e rabbuffato da isolana doc, che lo sta accompagnando. 

La sacrestia
Ha voglia di comunicare la sua ammirazione insieme al suo orgoglio, in fondo lui è di qua, anzi era nato proprio qua da pochi giorni, quando piccolissimo, appena finita la guerra, è partito con i suoi per l'Australia, uno dei tanti a lasciare questa terra di miseria. Forse è la prima volta che ritorna a trovare parenti lontani e ne percorre i sentieri e le strade, a mirare le meraviglie della terra che ha lasciato e che forse non immaginava neppure così, sebbene la lontananza, ingigantisca il racconto esagerandolo nella bellezza, amplificato dalla deprivazione della perdita delle radici. Tutto quello che vede è così lontano dalla sua Melbourne di oggi, nello spazio di certo, ma anche nel concetto, nella sua filosofia di vita. Vuole esternare anche a me, nel suo curioso italiano macerato da un fortissimo sound inglese, l'emozione che prova al vedere queste immagini, la bellezza della terra scarna che ci circonda, il mare lontano, il paese che ricopre la collina, tante volte di certo raccontatogli da suo padre, che la sua terra non ha più rivisto. La cugina, assente in silenzio, manifestando un leggero sorriso a mezza strada tra l'orgoglio di chi da un lato tiene la bandiera di chi ha resistito ed è rimasto e la larvata invidia verso coloro che invece sono partiti e che forse hanno fatto l'agognata fortuna, verso sognati paradisi, che poi forse invece paradisi non sono stati.

Le campane
Giuseppe vuole rimanere qui sopra ancora un po' a raccogliere con lo sguardo il più possibile di questo panorama, per impiantarselo bene nella memoria, forse per raccontarlo a figli e nipoti, se ne ha, laggiù in quelle terre lontane, dove tra poco vorrà ritornare. La cugina a cui tutto questo è invece nota routine e per il quale forse non capisce tutto questo slancio, non dice nulla, un po' per non interrompere l'idillio dei ricordi del cugino ricco, e come potrebbe non esserlo, visto quello che ha affrontato, un po' per lasciare intatto questo senso di orgoglio, che, penserà, sarebbe il caso di apprezzare a sua volta. Li lascio, salutandoli con la mano, mentre le campane, per fortuna in ritardo, cominciano a battere tutto il loro entusiasmo per il mezzogiorno in arrivo, ancora affacciato a una balaustra di marmo, l'occhio perso verso la linea azzurra dell'orizzonte, mentre una scolaresca esce schiamazzando dall'ascensore a rompere definitivamente la magia dell'immaginario. Due innamorati si fanno una foto  sullo sfondo delle scogliere lontane. Sotto, nella grande piazza, una serie di macchinari, anch'essi grandi come tutto quello che li circonda, stanno scoperchiando tutto il sagrato. E' giunto il momento, la grande piazza e le le sue scalinate di pietra dorata, saranno rifatte, più belle, moderne ed eleganti, il tempo passa e ogni cosa deve cambiare, per crescere, aumentare il PIL, arricchire tutti e tutto.

Museo delle tradizioni - Mulino Ta' Kola


SURVIVAL KIT

Il mecanismo del mulino
Templi di Ggantija - A Xaghra, meritano la visita per la posizione e soprattutto per il bello e nuovissimo museo archeologico che contiene oltre ad una storia completa e bene organizzata di questa civiltà neolitica, anche tutti i ritrovamenti della zona inclusa, una serie straordinaria di figurine femminili dalla caratteristica steatopigia in posizioni eleganti ed inconsuete, considerando l'epoca. Il biglietto di 5€, (incluso nel pass) è cumulativo anche per il vicino mulino

Balconi
Mulino Ta' Kola - Uno dei pochi mulini a vento rimasti sull'isola che ne ospitava un gran numero, fatto costruire dall'ordine dei cavalieri, è completamente visitabile fino alla cima e comprende diversi ambienti nei quali sono esposti oggetti della vita contadina tradizionale dell'isola. Camere da letto, cucine e ambienti di lavoro con i relativi strumenti agricoli e di vita quotidiana.

La Rotunda - Nel centro di Xewkija, di 75 metri di altezza, 27 metri di diametro, 85 di circonferenza. Costruita sulla vecchia chiesa del XVII secolo nel classico calcare giallo dell'isola. Pavimenti in marmo di Carrara. Dalla sacrestia museo, si accede tramite un ascensore (3 €) al tetto da cui si gode un magnifico panorama.

Sulla Rotunda

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2 commenti:

Simona ha detto...

Mi sto segnando tutti i tuoi post, dato che come sai a breve andrò a Malta e non so assolutamente niente di questa destinazione.

Poi, se passi da me, c'è un premio per te :)

Enrico Bo ha detto...

prima o poi passo davvero!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!