mercoledì 7 aprile 2010

Il Milione 8: Raki e narghilè.


Accidenti, ci siamo presi qualche giorno di vacanza e mentre noi riposavamo oziosi, la nostra carovana dei mercanti, che non ha tempo da perdere (ci vorranno altri tre anni per arrivare al Grande Kane), se ne è partita in tutta fretta verso nord est, che il tempo è denaro. Hanno cinque giorni di vantaggio, ma cercheremo di raggiungerli in via, dato che i ritmi di viaggio di quel tempo erano piuttosto blandi e noi siamo in macchina, una 127 bianca scalcagnata, con la quale nell'80 attraversammo tutta l'Anatolia in lungo ed in largo.
Cap. 19
Egli è vero che son due Arminie, una Picciola e una Grande. Sappiate che sopra il mare è una villa ch'ha nome Laias la quale è di grande mercatantia e quivi si sposa tutte le spezierie che vengono, e li drappi di là e tutte le altre care cose e li mercatanti che vogliono andare infra terra prende via da questa villa.
Già si era visto che Alessandretta (Laias) era il punto di partenza per la via della seta e in questa grande concentrazione di mercanti e di affari, Genovesi e Veneziani si disputavano le merci orientali dalle preziosissime (per la cucina europea) spezie ed i famosi tessuti. Di qui le carovane procedevano attraversando l'Armenia che allora indicava tutti i territori orientali dell'Anatolia. La Piccola corrispondendo alla Cilicia, Cappadocia e nord della Siria, mentre la Grande si può identificare con l'area del Kurdistan fino al sud del Caucaso ed al Mar Caspio. Di certo i nostri amici attraversarono l'antico ponte romano sul Tigri nelle vicinanze del Nemrut Dagi, la montagna mausoleo di uno dei generali di Alessandro Magno, luogo di grande suggestione. Sta lì da duemila anni con la sua colonna a segnarne l'ingresso e tu calpesti le stesse pietre percorse dagli zoccoli di infiniti armenti e dai sandali di soldati che andavano a conquistare l'oriente frammisti ai mercanti di ogni tempo. Gli stessi odori e sapori, diresti, le stesse facce indurite dal sole forse oggi più povere di allora. Già a quei tempi però, era una zona abitata da genti dal carattere fumantino da cui era bene guardarsi, cercando di non correre grandi rischi.
Quivi or son tutti cattivi uomini, solo gli è rimasta una bontà, che sono grandissimi bevitori.
Ci misero tutti in guardia infatti, dall'attraversare queste zone, sempre in contrasto col governo centrale, desiderose di totale autonomia e mal sopportanti un'autorità esterna. Certo le facce non promettono bene, ma nella realtà trovammo sempre grandissima cortesia e gentilezza. A Dyarbakir, nelle vie del bazar popolato esclusivamente di uomini, ci fermammo in un locale e fummo subito invitati ad unirci ad un gruppo per bere un raki (il vizio di bere molto è senza dubbio rimasto) e ci fu offerto un narghilè alla rosa, mentre giocavamo a tavli sotto gli occhi divertiti del baffuto padrone del locale. Quando ce ne andammo, ci esortarono invece a stare attenti a quei farabutti di Turchi, a loro dire gente infida e traditora, visto che tornavamo verso Istambul. Il tuo vicino è sempre il peggior nemico.

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2 commenti:

Diego ha detto...

mi risulta sia il capitolo 20

Enrico Bo ha detto...

La traduzione toscana che seguo è basata sul cosiddetto manoscritto F2 che sebbene vicinissimo a F consta di 22 capitoli in meno, in quanto il traduttore toscano ha fuso assieme diversi capitoli, tra cui ad esempio il 6 ed il 7, che riporterebbe correttamente quindi il mio 19 al tuo 20. Il buon traduttore, sicuramente un mercante, che scrive ad uso degli altri mercanti, non pare affatto uno sprovveduto, ma tende a lasciar perdere le amplificazione retoriche e favolistiche più care al Rustichello e punta di più alla puntuale descrizione dei luoghi, degli itinerari e della loro percorribilità, alla indicazione dei mercati e delle merci compiendo un'opera esegetica molto vicina al recupero della volontà narrativa ed alle intenzioni di Marco Polo.

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