lunedì 5 novembre 2012

Cimiteri di città.


Ha ripreso a piovere in grigio, come è giusto che sia e subito ti condiziona umore e pensiero. E' questo il tempo più idoneo alla visita dei grandi cimiteri di città. Già quando ti avvicini, riconosci subito un'aria di fretta diversa e meno opportuna, ma così naturale. Tutti si avvicinano ansiosi, devi cercare il parcheggio, ti muovi più convulso tra fiori, vasi, strumenti, in un affanno non confacente né al luogo, né a quello che stai facendo. Entri in un luogo destinato ad un uso. Enorme, la città dei morti ti accoglie e ti accetta come visitatore convulso nei suoi grandi spazi dove quasi fatichi ad orientarti. Come in un agglomerato straniero, cerchi a fatica strade e piazze e anche se già conosci la via, ti aggiri su sentieri noti per timore di perderti nella downtown. Mentre passi, guardi la schiera infinita di nomi sconosciuti, di piccole facce che ti osservano mute senza raccontarti storie. Percorri lento sterminati ed altissimi falansteri popolati all'inverosimile di piccole abitazione quadrate, anonime che inquadrano la confusione della massa che diventa ceto sociale, gruppo di riferimento. 

Nei grandi prati una fitta serie di costruzioni più altisonanti, come a definire e categorizzare un distacco che prosegue oltre la vita; insiemi barocchi, sculture complesse di un'architettura funeraria che pretende di mostrare opulenza anche nella cupa dimensione in cui questa non serve più, se non al vivo. Le più antiche, ormai scure, dove muschio e umidità hanno creato una corteccia spessa che prelude all'abbandono; le nuove, lucide ed orgogliose nello splendore bianco del marmo o meglio ancora nella durezza variegata dei graniti, per dimostrare una immortalità sognata ed illusa, desiderata. Ha larghi spazi il cimitero cittadino, pur nella sua inanimata densità. Eppure qui ti senti comunque stretto da vincoli, deprivato di libertà ambite, di sogni semplici, obbligato anche da morto a vincoli sociali così inutili e fastidiosi. La sua monumentalità ti schiaccia e non ti invita a rimanere, a ricercare quel momento di assorta meditazione necessaria al tentativo di capire cosa è l'uomo. Quando esci, osservato l'obbligo, ti rimane solo quell'odore di fiore appassito, che adagio adagio comincia a marcire.


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4 commenti:

il monticiano ha detto...

Un post al quale mi associo in pieno.
Che senso ha fare tombe monumentali quando chi sta lì dentro non c'è più.
Non so se sia una fortuna o una disgrazia la mia ma io non so dove andrò a stare quando non ci sarò più e neppure lo voglio sapere dal momento che non ho una tomba. Spero di farmi cremare.

Enrico Bo ha detto...

@Monty - In effetti, dai Aldo , ma chissene...

Francesco Zaffuto ha detto...

Sono andato a vedere il tuo post sui cimiteri di montagna, tutto un altro respiro. Ricordo che tanti anni fa visitai un cimitero verso Senale (Alto Adige) era solo fatto di piccole croci e solo fiori, la morte era una continuazione della vita.

Enrico Bo ha detto...

@Fra - Certo sono d'accordo, a parte il fatto che a quel punto, come ho ha detto ad Aldo, ma chissene...

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!