Eccoci qua, facciamo allora un balzo indietro di un mese, un flash back facilmente attuabile nella tecnica letteraria. La partenza arriva sempre improvvisa come la lama della ghigliottina. Una cesura netta tra i mesi di preparazione, di incertezza, di dubbi su come fare o cosa scegliere ed il momento in cui ti trovi davvero di fronte a quello che hai immaginato, sperato di conoscere, deciso di vedere. E' un po' il distacco tra il sogno dell'immaginario e la prova della realtà, a volte deludente e banale, altre, tesa di continuo a superare quelle che erano le aspettative. Ecco perché queste albe invernali fredde e pur chiare che fanno da cornice al raggiungimento dell'aeroporto, rimangono come avvolte da un alone particolare, ancora a mezzo tra prima e dopo. Di nuovo l'alternanza scandita e regolare di queste risaie d'inverno, gli stocchi gialli e secchi dei campi di granturco come abbandonati, tristi come animali impagliati e coperti di brina leggera che sta già mutando in bruma nebbiosa. Questa Malpensa perduta tra le nebbie padane, simulacro di un paese declinante con i suoi grandi saloni semivuoti, non riesce però a cancellare il senso di nuovo che ti aspetta al di là dei gate, dove il mezzo che ti porterà a destino, aspetta grasso e silente se pur percorso da un basso ronzio rassicurante. Anche questa volta il balzo ti porterà lontano. Troppo facile, tanto da essere immeritevole rispetto a chi ci metteva mesi per percorrere la stessa strada che allora ti portava diritto all'ignoto.
Curioso che dall'Italia non si riesca ad arrivare direttamente in molta parte dell'Africa; forse non la giudichiamo importante o forse peggio, è il resto del mondo che non giudica noi abbastanza importanti, non più hub, ma periferia da raggiungere attraverso scali intermedi. Intanto il passaggio su aerei turchi ti consente di valutare come velocemente si muovono paesi un tempo lontanissimi dallo sviluppo. Andare in Africa attraverso l'Asia, un percorso non nuovo anche per il passato, in cui Istambul era crocevia di un mondo, il vero ponte verso l'Europa. Lo stesso fatto che i tetti della città siano coperti di neve ti dà come un segnale improprio che le cose nel mondo stanno cambiando rapidamente e che sbagli molto se pensi a Istambul come ad una capitale mediorientale in bilico tra arretratezza e disordine, invece che ad un paese che cresce tumultuosamente e che cerca un suo spazio concorrenziale nel mondo. In questi posti misuri come il mondo è diverso dagli stereotipi che ti fai pensando al passato. Enormi neri che sembrano scoppiare in giacche e cravatte ancora troppo strette, seduti a ticchettare sugli iPad; anziane italiane slabbrate che ciondolano nell'infradito della vacanza low cost; orientali vigili con gli occhiali, intenti a non perdere tempo; eritree avvolte in larghe vesti colorate con bambini appesi alla schiena con la testa ciondolante dal sonno.
Negli aeroporti senti davvero vicina la globalizzazione delle culture e della diversità dei tanti normali esistenti. Adesso però è il tempo dell'estremo balzo con un' ultima riflessione. Ma perché la Tanzania questa volta? Un insieme di motivazioni diverse mi hanno portato a questo itinerario. Intanto una volontà lontana di ripercorrere quasi, un cammino che mi aveva portato 41 anni fa al mio primo spostamento fuori dall'Europa, proprio in Africa, nel vicino Kenya, quasi per riprovare quelle straordinarie emozioni di un incontro con un mondo di natura selvatica e misteriosa, che essendo abbinato al viaggio di nozze, rappresentava anche una meta simbolica di estrema attrazione. In secondo luogo, di nuovo in Africa ad appena un anno dal Senegal, per cercare di comparare ed avere conferme della realtà di questo continente, così lontana dall'immaginario che se ne ha comunemente. Poi certo la ricerca dell'Africa delle cartoline, savane e foreste, animali e piste interminabili nel nulla, un'avventura quasi garantita per contratto alla ricerca dei tanti Livingstone ancora perduti del bush. Ma ancora il fascino del calpestare orme e sentieri che davvero portano il marchio della nascita dell'umanità, i percorsi di questa Rift Valley che si tagliano strade antiche, ferendo la terra da cui siamo sgorgati noi, prima di invadere il mondo intero, sangue fertile ed infetto allo stesso tempo che ha condizionato per sempre il pianeta.
Oppure per un insano desiderio collezionistico di aggiungere il novantesimo paese visto, ancora così lontano però, dalla meta del numero rotondo che mi proporrei di raggiungere prima di gettare la spugna. E infine seguire un'altra traccia, davvero spesse volte incredibile, di persone che hanno voluto dedicare sé stesse a fare cose per gli altri, mosse come da un obbligo interiore che le costringe quasi a mettersi a disposizione per aiutare dove appare chiaro che ci sono bisogni grandi e difficilissimi da soddisfare. Scelte che per tanti, presi da un egoismo quotidiano che travolge ormai le nostre vite consuete, rimangono persino difficili da capire, eppure cosi numerose e reali da fare riflettere. Ecco dunque uno spaccato di pensieri su cui meditare, invece di dormire beatamente appena appoggiata la testa sullo schienale. C'è chi ci riesce, dannazione, io neanche per un minuto, per poter arrivare già stremato quando l'aereo atterra a Dar es Salaam nel cuore di una notte buia e senza luci, in un aeroporto addormentato tanto da parere deserto, che si riscuote soltanto negli occhi assonnati dei controllori di passaporti o di quelli che ti devono prelevare la tangente del visto. Ma perché in Africa si arriva sempre nel cuore della notte?
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4 commenti:
Uno splendido inizio! Sarà un vero piacere leggere i tuoi racconti di questo viaggio.
Scrivi da dio e hai anche il diabolico dono di saper creare l'attesa.
Cristiana
@Cicco - e se avrete pazienza conto di camparci almeno un mesetto!
@Cri - Fin da ragazzo mi hanno spiegato che l'attesa prolunga il piacere.
"l'image du rêve et l'épreuve de la réalité" .........complètement d'accord
Plaisir de lire tes billets de voyage
Jac.
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