Sono da poco passate le sei. Nell’aria, sul mare ancora un
chiarore diffuso che preannuncia l’alba vicina. Piano piano la luce aumenta,
così come le sfumature acquamarina delle onde, che il limite dell’alta marea
portano quasi a lambire i piedi del mio piccolo bungalow bianco, arrivando
quasi allo steccato irregolare che lo separano da questa spiaggia infinita in
cui perdi lo sguardo nella nebbiolina lontana in cui si confonde col cielo.
Deserta completamente. Le barche di kapok coi lunghi bilancieri dondolano al
largo sollevate dall’acqua che si alza. La brezza riempie i polmoni. Eseguo una
forma di tai ji al limitare della battigia. Il respiro del mare che si gonfia
scandisce i tempi in modo perfetto. Davvero il tai ji aiuta ad essere parte
della natura. I piedi aderiscono alla sabbia sentendone il contatto pieno.
Senti quasi la forza dell’onda che risale fin dentro il tuo corpo e rischiara
la mente. Il pensiero fluisce libero e sereno. Ieri sera Kassim, dal di là
dello steccato, mi ha mostrato un bel
polpo appena pescato, i lunghi tentacoli molli, la grande testa afflosciata. Un
richiamo irresistibile; sono scivolato verso il suo pergolato di foglie di
palma, seduto al primo tavolo di legno duro con le gambe affondate nella sabbia
a sentire lo sfrigolare della griglia.
Devi rispettare i tempi nei ristorantini
dei pescatori. Almeno un’ora dall’ordinazione. Così c’è tutto il tempo per
chiacchierare, osservare, pensare. Ecco che arrivano di corsa le due gemelline
di Kassim. I mzungu sono rari in questa parte dell’isola, in questa stagione
poi addirittura ricercati col lanternino, quindi in fondo anche il bianco fa
spettacolo e le piccoline, col vestitino rigorosamente uguale si mettono
davanti al tavolino decise a goderselo tutto. Si chiamano Fi e Fa e fanno di
tutto per attirare l’attenzione, ridono, fanno sberleffi e corrono nella sabbia
tutto attorno come ogni bambino del mondo, succhiando un pezzo di polpo crudo
ritagliato dal padre, ancora inconsce forse del fatto che tra un anno o due
invece di stare qui a sgambettare davanti alla panca e al vecchio frigo pieno
di Coca Cola e Fanta, staranno alla vicina madrasa, sedute a terra con un
piccolo hijab bianco a nascondere quelle testoline ricciute, compitando
versetti in una lingua che non conoscono.
Mi salutano ridendo ancora forse della mia buffa pancia. Il polpo era un
po’ duretto però, Kassim, ma la birra ragionevolmente fresca.
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