venerdì 22 febbraio 2013

Traversando la Rift Valley.




Lasciare Serengeti ti dà una stretta al cuore; vorresti rimanere ancora a lungo. Non ti rassegni ad abbandonare la grande pianura verdeggiante che si perde in colline lontane, gli ammassi di pietre , i cespugli bassi tra i quali vorresti aggirarti a lungo e poi stare fermo per ore ad osservare quel brulicare di vita. Ma ancora una volta i tempi del viaggiatore sono molto diversi dalle scadenze del turista, che ha un triste programma da rispettare. Mentre scorre la pista e la nuvola di polvere si alza dietro di te come la scia di una imbarcazione, cerchi di fermarti almeno ancora un poco tra le mandrie di animali che continuano a spostarsi verso nord. Poi la strada risale verso la zona dei crateri per attraversare la spaccatura della Rift Valley, la grande ferita inferta al continente milioni di anni fa, dove si è generata la nostra specie. Accoppiare la storia dell'uomo ad una terra così antica è inusuale per chi è abituato a considerare la storia in migliaia di anni invece che in milioni. Tu pensi a chi ti ha preceduto e subito vedi daghe romane alla conquista del mondo, epiche guerre al centro del Mediterraneo, imperi orientali e amerindi che si perdono nella notte dei tempi erigendo templi di pietra; al più risali ad antichi cacciatori che riconoscono la possibilità di piantare un seme nella terra o di migrare per conquistare nuovi spazi non popolati.

Ma qui è diverso, sotto i tuoi piedi un mondo così antico da non riuscire ad immaginarlo. Lungo queste valli corrose dal tempo, devi riportare la mente al momento in cui questa terra si spaccava per centinaia di chilometri e le montagne crescevano dal basso tra fuoco e lava. Crateri enormi che cambiavano lo spazio e sotto, tra nubi di polvere e la cenere dei vulcani, piccoli gruppi di esseri in fuga, come quelli le cui impronte vedi ancora scolpite nel fango diventato roccia della gola di Olduvai, quando una famiglia di cacciatori cercava riparo verso nord agli sconvolgimenti che accadevano intorno a loro quasi due milioni di anni fa.  E ancora trovi resti di ominidi che già camminavano in piedi, che maneggiavano bastoni, che si organizzavano in gruppi per sopravvivere e trovare riparo nelle spaccature delle rocce. Proprio qui è scoccata la scintilla primigenia che ha imposto una specie sulle altre e le sue tracce antiche sono sparse in questo spazio in cui perdi i riferimenti del tempo. Non puoi rimanere indifferente a questo senso di infinitamente antico che ti circonda, mentre la strada continua a salire tra i pascoli presidiati da armenti e da greggi. Una donna avvolta in un grande mantello rosso a righe si gira al bordo della strada per ripararsi dalla polvere; le ripe intorno hanno radure sempre più strette e la vegetazione si muta in foresta mentre stai per raggiungere il bordo superiore del cratere di NgoroNgoro. I pochi animali che vedi si nascondono subito nel folto, intimiditi dal rumore dell'auto, solo qualche giraffa non riesce a celare il lungo collo tra gli alberi. 

Poi dopo un'ultima curva, in fondo ad una salitella, sbuchi di colpo su una piccola radura aperta e lo spazio si squarcia al di là del crinale in una vista attesa, ma che ti lascia comunque senza fiato. Sei ad oltre duemila metri, l'aria è solo leggermente frizzante e quasi non ti accorgi di avere il fiato corto mentre ti affacci alla balconata naturale. Davanti, l'immensa bocca del cratere si spalanca come un inghiottitoio colossale, uno spazio chiuso ermeticamente da erte pareti, una prigione naturale in cui si entra e si esce a fatica per conquistarsi la libertà. La grande distanza, il crinale opposto è lontano quasi venti chilometri, ottunde i particolari. Le pareti vicine che scorgi calare ripidissime e coperte di fitta foresta pluviale si addolciscono asindoticamente verso il fondo in una sequenza di variazioni di verde che culminano, mutandosi in azzurro nello specchio centrale del lago Magadi. Al centro di questo, pur così lontano, indovini la grande macchia biancorosata  di migliaia di flamingos con le zampe appena coperte dall'acqua. Solo aguzzando di molto la vista riesci a scorgere l'infinità di puntini neri che ricoprono gli spazi aperti, le grandi mandrie di animali, gnu, zebre, gazzelle, antilopi, bufali, che lo popolano. Qualcuno potrebbe immaginare questa come una raffigurazione del giardino dell'Eden, un sogno da raccontare, mentre invece sta lì, incredibilmente reale, lì davanti agli occhi per essere guardato a lungo, nel tentativo di fissare questa immagine unica e cercare di portarla con te per sempre. 

Ecco perché è bene, se si ha la possibilità di pernottare in uno dei vari siti posti sull'orlo del cratere, arrivare un paio d'ore prima che cali la sera. Gettati frettolosamente i bagagli nella stanza, non devi perdere neppure un minuto e correre alla grande balconata, sederti su una comoda poltrona e rimanere lì a guardare in silenzio, a vedere la luce che cambia a poco a poco, mutando le intensità di verde che man mano ingrigiscono, la superficie del lago che brilla sempre di più, la foresta che diventa verde cupo, poi viola, poi infine nera, mentre il cielo abbassa le luci, il chiarore diffuso si spegne e d'improvviso compaiono le prime stelle fino a quando ogni cosa diventa velluto nero in attesa dell'uncino argentato dalla curvatura inusuale, verso il basso, che sale oltre il crinale opposto. Finisci appena la tua birra schiumosa e corri a nutrirti in fretta, che il digiuno è dannoso alla lucidità della mente, ma sbrighi rapidamente la pratica senza fare gran feste alle sapide carni croccanti di un delizioso maialino arrosto, perché hai una premura indiavolata di non arrivare tardi ad un altro appuntamento imperdibile. Corri in camera, spalanca le grandi tende della vetrata affacciata sul grande giardino e spegni la luce, siedi sul letto e aspetta, non rimarrai deluso. 

Ecco che sotto le luci fioche dell'esterno del lodge, dopo un poco qualcosa si muove. Una piccola femmina di bushbuck zampetta incerta tra i cespugli ma si perde subito nel nero delle fronde basse; poi un enorme bufalo, seguito da un altro maschio, passo dopo passo bruca l'erba a pochi centimetri dal tuo vetro. Si sono appena allontanati, quando la sagoma preistorica di un rinoceronte nero, segue la stessa via. Trattieni il fiato, di certo non riescono, almeno così dovrebbe essere, ad avvertire la tua presenza, ma che emozione. Poi un movimento veloce, qualcosa passa quasi di corsa sul davanzale, strusciando lungo il vetro, due occhi gialli, mezzo metro di coda grossa e pelosa, piccole zampette simili a mani. E' un galagone, una proscimmia notturna che ama frequentare le vicinanze degli insediamenti in cerca di cibo. Si ferma un attimo annusando l'aria e poi scompare dietro la siepe. Non ti deciderai ad andare a letto, ma intanto chi riesce a dormire? Sarà l'altitudine o forse le troppe costine di maialino che appesantiscono lo stomaco rendono lunga la digestione. O forse è l'eccitazione dell'attesa, domani all'alba, alla prima luce, scenderai sul fondo del cratere.

NgoroNgoro dal Wildlife lodge.


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2 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Stiria e geografia, scritte con il pathos di un romanzo vero! Condiviso! "More solito".
P.S.
Perché il ritorno al captcha?

Enrico Bo ha detto...

Grazie Adri. Capisco che siano fastidiosi e tolgano la voglia di commentare, ma sono arrivato a una media di una cinquantina di spam al giorno e non ne posso più di perdere tempo a cancellarli. Scusate.

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