lunedì 19 gennaio 2015

In barca sul lago Inle


Pescatori a rete sul lago Inle


Pescatore a nassa
Alle prime luci dell'alba l'imbarcadero di Nyaung Shwe, in fondo alla Yone Gyi road, davanti al Viewpoint restaurant, è tutto un brulicare di lance in attesa dei clienti. Non puoi venire a Inle senza passare almeno una giornata in barca a navigare il lago in lungo e in largo. L'aria è tersa e fresca, appena la barca si stacca dal pontile sei subito fuori dalla confusione, percorri il canale che porta al lago passando vicino alle rive nascoste dai canneti dove si nascondono anatre e garzette. Quando le rive si allontanano, rimane solo la grande superficie dorata del lago, con le masse di giacinti d'acqua che fluttuano e le barche dei pescatori immobili con le figurine dritte e nere in controluce. Le colline verdi lontane fanno da mirabile quinta di sfondo, qualcuna ornata di lance aguzze e dorate che sembrano voler forare il cielo libero da nubi. L'uomo della prima barca che sfioriamo, pesca con la nassa, un enorme marchingegno a cono che trattiene in aria con una mano e un piede prima di immergerlo nell'acqua. Sta in perfetto equilibrio sulla punta della lancia con l'altro piede e con il braccio rimanente mantiene il lungo remo nell'incavo tra gomito e spalla, riuscendo a dare movimento e compiendo piccoli spostamenti fino al punto dove decide di immergere la rete. Quando questa va a fondo, servono allora due mani per manovrarla e allora il movimento al remo è prodotto tenendolo fermo tra ascella e gamba avvolta attorno ad esso. 

Contadini degli orti galleggianti
L'altro piede pare imbullonato al legno, fulcro di leva attorno al quale  rimane in bilico il resto del corpo. Davvero un esercizio da prestigiatore che merita una mancia. Ma il tipo non era lì solo per pescare? Mah, comunque tira il filo interno della nassa e quando la issa sulla barca ecco un piccolo pesce spinoso emergerne dal fondo al fine di essere orgogliosamente mostrato al pubblico pagante. Poco più a sud ci sono pescatori che invece calano lunghe reti tradizionali, poi, spostandosi un poco cominciano a battere la superficie dell'acqua con i remi per fare scappare i pesci verso l'inganno che li attende. Quando la trappola è scattata a sufficienza, la rete viene a poco a poco ritirata ed il bottino sparso viene in fondo alla barca. C'è pace sul lago. Anche i tanti natanti che la percorrono non paiono disturbare più di tanto. Vicino alle rive dove l'acqua è più bassa barche un poco più lunghe raccolgono le alghe dal fondo, pescando col remo. Le grandi masse di materiale verde marcio rimangono intrappolate sulla punta del legno e faticosamente issate a bordo. I due raccoglitori lavorano lentamente spostandosi lungo la riva. La barca è quasi piena e talmente carica che i bordi sfiorano l'acqua, così che ad ogni movimento anche minimo, il lago sembra voler strabordare e riempirla per tirarla a sé e riprendersi quanto gli è stato tolto. Ci fermiamo a chiacchierare. I due fratelli alternano questa raccolta col getto delle reti, quando serve materiale per alimentare gli animali. 

Donna padaung
Tutto sarà seccato sugli steccati della loro palafitta, si vede poco lontano una lunga fila di capanne sull'acqua, poi anche gli zebù dalla grossa gobba scura avranno la loro soddisfazione. Quando proprio non ci sta più nulla ed i mucchi di vegetali strisciano ormai fuori sfiorando il lago, la barca se ne va pagaiando lentamente lungo il dedalo di isolotti galleggianti. Vicino al villaggio, una serie interminabile di graticci di bambù, infatti, sono stati col tempo riempiti di terra, formando piccolissimi appezzamenti dove vengono seminate zucche, fagioli, pomodori, cetrioli e molte altre verdure in una sorta di coltura idroponica che galleggia sul lago. L'ortolano va a curare il suo pezzo in barca e la raccolta è generosa a quanto pare. I villaggi sono serie ordinate di capanne vicino alle rive forzatamente mutevoli a seconda delle stagioni e del livello dell'acqua che si alza o si abbassa anche di un paio di metri. Di questo deve tenere conto l'altezza della palafitta. Così adesso, durante la stagione secca, le leggere casette di stuoia appaiono come sospese su una selva di canne sottili e apparentemente provvisorie che invece sostengono bene il tutto, pur se la sensazione è di una certa mobilità e ondeggiamento. Le stuoie intrecciate formano gradevoli motivi di colori in chiaroscuro. Qualcuna è invece di robusto tek, ma allora i pali infissi nel fondo appaiono subito più robusti ed importanti. Le case sono più grandi e ospitano laboratori, piccole officine, grandi famiglie o perché no, il tempio del paese. 

Uomo al telaio da 8
Ti muovi tra un dedalo di canali, circondato da barche di venditori, di verdure e di fiori, di pescatori o semplicemente di gente che torna a casa. Qui sulla barca e sull'acqua si vive, ci vedi bambini o ragazze in divisa verde che vanno a scuola, donne che tornano dal mercato, insomma è la normalità. Qui un laboratorio con decine di telai dai più semplici ai più complessi ad 8 pedali, che un addetto muove con sincronia sconcertante. Grandi pezze di stoffa di cotone, seta o ancor più preziosa fibra di loto, a formare loungee dai disegni complessi o scialli dai colori smaglianti. Più in là un gruppo di fabbri batte con foga ritmando in tre, i colpi sulla stessa lama. Sono i fabbricanti di coltelli. Poco più oltre una capanna con un gruppo di donne sedute a terra che arrotolano i cheeroot, enormi sigari dall'apparenza inquietante, visto che siamo nel triangolo d'oro, territorio di cattiva fama, che alla fine si rivelano essere dei surrogati da poco prezzo di chi non si può permettere il tabacco. Non mancano quelli che lavorano le pietre preziose e semipreziose, d'altra parte la Birmania è la terra dei rubini, ma qui di sangue di piccione se ne vede poco. In una capanna più lontana un gruppo di donne Padaung sono intente a produrre stretti scialli rossi sui loro piccoli telai fatti di quattro canne tenuti stretti alla vita. Le loro teste inerpicate sui lunghissimi colli imprigionati dall'infanzia negli anelli d'ottone rastremati, danno loro un'aria perennemente triste. A Inthein puoi anche scendere a terra, o meglio, inerpicarti su sentieri in mezzo all'acqua, passando su arginelli, piccoli ponti tra le case che collegano tra loro isolette separate da canali più grandi. Una specie di Venezia di bambù da traversare con cura senza cascare nel canale. 

Il monastero dei gatti saltanti
Ti puoi fermare su una panca all'ombra di qualche capanna a ridere con qualche ragazzino che ti osserva mentre sbocconcelli una banana, poi ti fai indicare dove sta il monastero del Gatto che salta. Di gatti ce ne sono tanti, anche se forse sono di più i turisti che spiano qua e là per vedere se compare qualche monaco che pare abbiano addestrato i gatti appunto a saltare nel cerchio, più che altro per rendere onore al nome del monastero stesso. Ma l'attesa non è ripagata, anche se le antiche statue dorate visibili tra la selva di colonne di legno valgono davvero la pena di una sosta accurata. Se poi ti sei spinto fino quasi al punto più a sud del lago, trovi la Phanung Daw Oo Paya, un tempio dove, se sei maschio, hai diritto di andare ad appiccicare qualche foglietto d'oro a cinque piccole statuette sacre poste al centro del tempio. Erano pietre trovate nei dintorni dalla straordinaria somiglianza con la figura del Buddha in differenti posizioni, ma attraverso i secoli, l'apposizione delle lastrine dorate appiccicose, è stata tale e tanta che queste si sono trasformate in cinque palle d'oro massiccio dalle forme ormai irriconoscibili. Potenza della devozione. E' passata quasi tutta la giornata, l'acqua del lago adesso è azzurro intenso, solo qualche piccolo cormorano nero piomba dall'alto o rimane a nuotare placido prima di tuffarsi sul fondo a pescare la sua vittima, qualche pesciolino argenteo che ancora guizza tra il becco, quando riemerge col capo orgogliosamente rivolto verso il cielo, per cercare di inghiottire meglio. Puoi ritornare verso casa. Le attività sul lago continuano lentamente come avviene da secoli, i turisti passano e se ne vanno, è quasi ora di spegnere la luce delle lanterne, che la giornata sta per finire.

Un villaggio sul lago Inle

SURVIVAL KIT

Gite sul lago Inle. - Obbligatoria, è praticamente lo scopo per cui si viene qui. La barca per la gita di un giorno costa 12.000K e porta in tutti i luoghi classici principali, se è giorno di mercato si ferma in uno dei paesi intorno al lago dove questo avviene. Le varie visite ai laboratori non implicano nessun obbligo di acquisto. In generale non si è mai assillati da venditori e neanche si ha la sensazione dell'affollamento da turisti data la vastità del lago stesso. I pescatori a nassa sono molto fotogenici e siccome lo sanno, stanno lì apposta per farsi fotografare dietro previa mancia, bastano 500 K. 

Phanung Daw Oo Paya .Nel villaggio Tha Ley, monastero con le famose 5 statue di pietra trasformate in palle d'oro. Foto a pagamento. Incollano solo gli uomini.
Un monaco

Nga Hpe Kyaung - Monastero del gatto che salta. Qualche volta si possono vedere i monaci che fanno fare questi esercizi ali gatti in cambio di offerte, ma il monastero è interessante soprattutto per le bellissime statue antiche nei diversi stili Shan, Tibetano, Bagan e Inwa

Smiling Moon Restaurant Yone Gyi Road | Nandawunn QuarterNyaungshwe - Sempre  sulla Yone road verso il fondo, Cibo piuttosto anonimo anche se di poco prezzo. Piatti sui 3000K. Servizio distratto e menefreghista. Molti piatti del menù non sono disponibili. Tenersi sul pollo BBQ, che non si sbaglia.

Hotel AungmingalarNanda sun QtrNyaungshwe45 $. Bello , bungalow nascosti nel verde pur essendo appena dietro alla strada principale, alcuni ricavati da antiche abitazioni in mattoni. Personale gentilissimo, Free Wifi. Colazione abbondante e con molta frutta. Tranquillissimo pur essendo in centro. Di sera buio, Pila obbligatoria. Attenzione a non inciampare nei randagi che mordono.

Raccoglitori di alghe

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