venerdì 23 gennaio 2015

Richiesta di visto.

L'uomo è stato fornito della libera scelta. Insomma sei tu che decidi, quindi non venire poi a menarla che non ti va bene. Insomma, potevo decidere di andare a Milano a richiedere il visto per il mio prossimo viaggio, on qualunque giorno a mia scelta, bene, ho deciso di andarci ieri. Nella notte la neve era scesa a larghe falde, per la prima volta in questo strano inverno e già verso mezzanotte un bello spessore di coltre bianca ricopriva la mia nebbiosa città. Alle 6 di ieri mattina, perché quando si deve fare una cosa, mica si può stare lì a pensarci troppo, nel buio della notte invernale, sentivi solo il croc croc delle rare auto che passavano sotto le mie finestre facendosi strada verso la meta. Così eccomi lì, con sullo stomaco un misero caffé amorosamente schiumato dalla consorte ancora pigiamata,. ma già sveglia per amore e condivisione dei momenti bui della vita, come promesso davanti al prete tanti anni fa, ad affrontare la notte buia e tempestosa e più che altro gelida, intabarrato come ai bei tempi per affrontare la Siberia, scarponcini, calzettone montano, sciarpone avvolgicollo, cappello e guanti felpatissimi. I marciapiedi sono ancora coperti dalla neve in parte ghiacciata e in parte in via di scioglimento per lasciare la orrenda poltiglia che gli alessandrini chiamano onomatopeicamente suàss, dal rumore che fanno le auto passandoci sopra prima di lanciarti gli schizzi fin sulla testa. L'atrio della stazione dove il mio compagno di sventura, più puntuale di me, mi attendeva, era pieno di altri disgraziati in attesa di improbabili treni che andavano al confine in attesa che Shenghen fosse sospeso da una torma di salviniani imbufaliti. Individuata la sua figura avvolta da altrettanto protettive coperture, ci siamo avviati alla banchina laterale che accoglie i disgraziati pendolari che tentano di raggiungere la metropoli milanese. 

Nel vagone quasi 1000 gradi, forse per rottura dei termostati, provocano subito la catalessi ai corpi accoccolati sui vari sedili, ma il vagone si riempie quasi subito di umanità varia semiaddormentata che cerca di tenersi in piedi fino al raggiungimento del posto di lavoro, rendendo evidente con la loro presenza invasiva che anche i posti a sedere italiani sono calcolati per lunghezza di gambe e dimensione di culi di taglia orientale o quantomeno pigmea. Comunque il tempo passa e il chiarore diffuso dell'alba mostra una tetra campagna dove la pioggia acida mista a galaverna, ha fatto sciogliere quel che è caduto la sera prima, trasformandolo nei campi in poltiglia limacciosa. In qualche modo si arriva a Milano e fiduciosi sul fatto che non ci siamo perduti né a New York, né a Shanhai, passiamo ai vagoni della metro, giusto nell'ora dello schiacciamento della rush hour, che ha ormai globalizzato le metro di tutto il mondo da Tokio a Città del Mexico. Comunque, scesi alla stazione, come attentamente studiato su mappe e internet la sera prima, ci ritroviamo usciti dalla Galleria, in una piazza del Duomo che si dispiega in tutto il suo grigiore invernale. Solo ed unico ,splendente di colori e di suoni, uno schermo gigante pubblicitario della Samsung che occupa tutto un fianco del Duomo stesso, coprendo fortunatamente alla vista le grigie guglie di marmo di un gotico fiorito che ormai, al confronto con i pixel ha fatto il suo tempo, d'altra parte pecunia non olet e li volete fare i restauri prima che le guglie medesime vi caschino sulla testa come i muri di Pompei? Qualcosa scende come un polverino dal cielo. Non si capisce se è acqua, fuliggine o acido puro. Si vedono cose che voi umani... sembra di essere sul set di Black rain o di Blade Runner. Comunque rimaniamo lì in cerca di una qualche indicazione che ci possa far capire dove andare per dove dobbiamo andare. 

L'intabarramento è tale che devo tenere le braccia leggermente larghe, come quei culturisti fisici dal muscolo deltoide debordante. Dalla galleria scendono due vigili in alta uniforme con tanto di casco nero a bombetta sulla testa. La tentazione è irresistibile. Quasi quasi ci avviciniamo e gli chiediamo: pardon nu vulevòns savuàr...con quel che segue. Poi un moto di prudenza ci trattiene, Va bene che facciamo il paio con Totò e Peppino ma di questi tempi non si sa mai, gli animi sono tesi e il pericolo si annida dovunque. Comunque dopo qualche richiesta di indicazione a passanti frettolosi che non sanno neanche loro dove vanno, figuriamoci se ti danno una indicazione giusta, riusciamo a raggiungere la piazzetta del consolato. La riconosci subito da lontano, dal grosso assembramento di indiani col turbante che aspettano in coda fuori del portone. Ci mettiamo ordinatamente in fila e quando tocca a noi, mostriamo la documentazione faticosamente compilata on line il giorno prima (circa tre ore di lavoro con ricerca di ascendenti di nonni e da quale paese venivano, oltre alla ricerca degli eventuali visti precedenti). Comunque coi tempi del caso alla fine la pratica è sbrigata, previo versamento della congrua cifra richiesta, in contanti mi raccomando. I moduli precompilati, i passaporti e le relative foto andavano bene, da notare che alla voce Sex si poteva scegliere tra Male, Female e Trans, tanto per dire, qui sì che sono già avanti. Bisognerà ritornare tra tre settimane, capirà, coi tempi che corrono dobbiamo controllare. Non è rimasto quindi che ripercorrere pedissequamente la strada del ritorno e tenerla fino alla salita del treno, visto che alla stazione di Milano la minzione pubblica costa un euro, ripecunia non olet. Il vagone stavolta era ghiacciato ma forse per fare media con l'andata.


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2 commenti:

Juhan ha detto...

Mica è poi così facile viaggiare!

Enrico Bo ha detto...

@Ju - Assolutamente è una vera corsa ad ostacoli!!!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!