giovedì 29 gennaio 2015

Mingun, l'incompiuta

In battello sul fiume


Sulle rive dell'Irrawady
Alla luce dell'alba la barca risale lentamente la corrente. E' grande, sproporzionata del tutto a trasportare due soli passeggeri. Siamo sul ponte superiore, su grandi sdraio di vimini e un cesto di banane dolcissime su un tavolinetto davanti a noi. Le rive di terra fine, con una piccola scarpata alta qualche metro che la corrente si mangia a poco a poco, scorrono con lentezza al tuo fianco concedendosi ad una osservazione attenta, che ti consente di spiare nelle capanne, che ti permette di guardare l'umanità che comincia la sua mattina sul fiume, uguale a tante altre giornate come questa. Qualcuno, dopo aver terminato le abluzioni personali, lava panni o stoviglie, altri raccolgono l'acqua in recipienti di metallo e risalgono la ripa, contadini portano i buoi che trascinano i loro carri ad abbeverarsi. Forse è così che bisognerebbe viaggiato per questo paese. Con la lentezza della corrente, come inglesi del secolo scorso. Godendosi le acque di questo fiume immenso, con i suoi isoloni di sabbia, terra mutevole che cambia di anno in anno e ad ogni stagione. Forse questo viaggio, con i suoi tempi, con il suo concedere spazio al puro osservare, è lo scopo stesso del suo esistere, forse non serve che al termine della risalita del fiume ci sia una meta da raggiungere; lo stesso brontolare leggero del motore del battello, accompagna il ritmo della respirazione, aiuta la formazione di un non-pensiero che permette di abbracciare l'orizzonte e di comprenderlo con lo sguardo, nello sguardo, senza ragionarci sopra. 

Mingun Paya
Rispondeva il Buddha a chi gli chiedeva cosa stesse facendo: Respiro. E tanto potrebbe bastare. però quando sullo sfondo dell'ansa, sulla bassa riva lontana compare la sagoma di Mingun, non riesci a rimanere staccato e indifferente, subito le forme che si disegnano all'orizzonte attraggono la tua attenzione in una sorta di spasmodica attesa dell'arrivo. Prima che la barca attracchi hai tutto il tempo per misurare con l'occhio la serie di costruzioni che seguono una dopo l'altra, spuntando tra gli alberi. Uno sguardo rapido  alla Pondaw Paya, tempio ancora in fase di rifinitura, modellino in scala di quello che sarebbe dovuto essere il tempio principale. Poi basta seguire il sentiero, quela fila di donne coi cesti sulla testa, mentre la costruzione senza senso che emerge tra gli alberi ti fa da guida sicura. Mingun Paya è un simbolo. Chiarisce alle genti quanto l'uomo vorrebbe fare e sogna di costruire, anche se poi la realtà lo rende a priori impossibile. Pure non si arrende e vuol cominciare l'opera che rimane così incompiuta a testimoniare verità popolari: chi troppo vuole...Oltre due secoli fa un re aveva un sogno, costruire la più grande pagoda del mondo. Era un periodo in cui, come in molti altri della storia, imperava l'amore per il gigantismo ed avere il merito di fare una cosa così grande da rimanere imperitura per la vista e nel ricordo delle genti, non aveva prezzo. Cominciò così il lavoro che dovette assorbire larga parte delle finanze del regno, ma quando la base della pagoda, già essa stesa da sola più grande di qualunque altra costruzione completa esistente fu terminata, il re morì, trenta anni dopo l'inizio della costruzione.

In cima
Forse anche i soldi erano terminati e la piramide incompiuta è rimasta lì, immenso scheletro a testimoniare quel vorrei ma non posso, che dovrebbe essere comunque utile insegnamento per i posteri. La costruzione quadrata, 72 metri di lato per 140 di altezza, appare così come una immensa piramide tronca, di cui si può solo immaginare come dovesse essere la pagoda da costruirvi sopra e può essere considerata come la più colossale pila di mattoni del mondo. Ma anche l'ironia della storia ha voluto aggiungere il suo tocco. Dopo un'altra ventina d'anni dall'interruzione dei lavori, un devastante terremoto aprì nei fianchi della costruzione paurose crepe, che pur senza fare crollare del tutto l'edificio, mostrano una situazione di precarietà quasi instabile che mette ansia al solo osservarla. Nessun ingordo cercatore di appalti avrà riso quella notte, perché non c'erano più appalti da assegnare. Però, lungo le crepe più grandi sono state costruite ripide scalette ed è così possibile raggiungerne la piattaforma sommitale, un punto di osservazione davvero unico per il territorio circostante. La fila dei pellegrini si inerpica lungo le ripide rampe tirandosi su per i mancorrenti; le pietroline dei mattoni rotti e la terra offendono i piedi nudi di chi sale, questo rimane pur sempre un luogo sacro e enormi parti di muri sembrano poter smottare da un momento all'altro, ma l'ascesa verso l'alto non si arresta, anche perché la coda dietro spinge. 

La salita
Non oso immaginare cosa sia questo percorso durante la stagione delle piogge, quando i rivoli di acqua fangosa scorrono lungo le spaccature dell'edificio e gli alti gradini sono coperti di fanghiglia rossa e scivolosa, ma tant'è nulla è vano se si anela all'iperuranio. In cima lo spettacolo è maestoso. Mandalay è una nube tremolante, lontana all'orizzonte, i paesi e la campagna si stendono verso lontanissime montagne, il grande fiume scorre davanti, disegnando come un pennello sulla sabbia mobile, sinuosi disegni sempre diversi, curve delicate che scivolano come vesti di seta sul corpo di una danzatrice. Sulla piattaforma una torma di giovani monache dai mantelli rosa e monacelli bambini ricoperti di sai rosso mattone, della stessa sfumatura dei mattoni sottostanti. Sono scuole religiose in visita al monumento. Il professore, un piccolo monaco con gli occhiali spessi, sta spiegando la storia del re pretenzioso, che voleva innalzare la sua personale torre di Babele, ma i ragazzi si guardano attorni attoniti per lo spettacolo straordinario che si stende attorno e sotto di loro, ritti sull'orlo del muraglione guardano la bellezza ed è questo che si porteranno questa notte nei loro dormitori e che non potranno più dimenticare. Poche centinaia di metri più lontano, una macchia di un bianco abbacinante, la Hsimbyume Paya, una costruzione dalle forme mirabili, inusuali, una serie di guglie concentriche per sette terrazze successive sino all'ago centrale, che rappresentano le catene montuose che circondano il sacro monte Meru, il centro del mondo. 

I ruderi degli elefanti guardiani
E' fatica ridiscendere lungo la scala, vorresti rimanere ancora a guardare il paesaggio e la la gente che lo guarda e se ne arricchisce. I fianchi dell'edificio montagna sono lisci, le porte che ne delimitano le viscere, con i loro altari, le statue, sono limiti di un mondo a sé. Tutto intorno il bailamme dei mercanti nel tempio, i carritaxi di buoi, le motorette scoppiettanti, la fila dei camion con i cassoni pieni di monaci ragazzini che arrivano o ripartono dopo la gita culturalreligiosa. Ancora una passeggiata fino alla campana più grande del mondo; provi a entrarci sotto per sentire il suo suono devastante, quando la percorrono, come Peppone prima che cadesse la sua, ma questa sembra rimanere ben salda al suo anello e risuona orgogliosa per chi ne percuote il bronzo spesso istoriato. Sta lì orgogliosamente appesa e funzionante, non come la sua collega che vegeta in un cortile del Kremlino forse un po' più grande, ma caduta a terra e rotta, ingloriosamente inutile, senza mai aver potuto dare un rintocco. Il parco sacro è grande e dovunque ti aggiri, sempre incombe l'immensa piramide di mattoni ferita. Dal basso, la costruzione ti impone lo stesso straniamento che dall'alto, anche se sei più distratto a schivare i venditori appostati tra i ruderi o tra i mattoni in rovina di quelle che dovevano essere due gigantesche chiappe degli elefanti guardiani. Quando riprendi il tuo barcone e scendi lentamente la corrente, la sua sagoma inconfondibile non ti lascia più. Rimane lì sull'orizzonte, utile simbolo dell'inutile, fino a che l'occhio la intravvede, per poi rimanere indelebile nel ricordo.
Hsinbyume Paya


SURVIVAL KIT

La Mingun bell
Mingun - Per arrivare a questa area archeologica (ingresso 3000 k + ticket foto, ma se entrate dalla Pondaw paya, 200 m a sud dell'entrata principale, nessuno chiede il biglietto) la strada migliore è la barca (25.000 K per tutta la mattina, circa 1 h per andare e un po' meno per il ritorno). Partenza dall'imbarcadero vicino al View point.. 

Cose da vedere: 

1 - Pondaw paya - pagoda in fase di rifinitura alta una ventina di metri che riproduce in piccolo quella che doveva essere la forma definitiva della pagoda di Mingun.

2 - Mingun Paya. Basamento di quella che doveva essere la pagoda più grande del mondo. Uno scatolone quadrato di mattoni alto 140 metri devastato dai terremoti. Scala per salire (senza scarpe) molto ripida e scivolosa, con mancorrenti, che si infila in una delle fenditure più grandi. Panorama in cima indimenticabile. 

Taxi a Mingun
3 - Mingun bell - La campana più grande del mondo in funzione. 90 tonn. con diametro di 5 m alla base. Ci si può andare dentro a sentire il rintocco che il vostro accompagnatore fa con apposito batacchio da fuori. 

4 - Hsinbyume Paya - Tempio stilisticamente bellissimo, tutto bianco a 7 gradoni, con serie di statue in cima. Molti ristorantini e bancarelle di frutta, souvenir e oggetti religiosi in tutta l'area. Volendo ci si può spostare in carro taxi trainato da buoi, una turistata come la carrozzella a Roma. 

Per questa escursione, comunque imperdibile calcolate mezza giornata. 

Monache in visita a Mingun

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