martedì 6 gennaio 2015

La strada per Taungoo

Lavorazione del bambù

Sdraio di bambù
La strada che lascia lo stato Mon e risale a nord verso Taungoo passa attraverso un’area rurale popolosa e piena di attività che puoi vedere in atto  continuamente. Le bancarelle delle venditrici di pomelos, sono cariche di frutti mostruosi, quasi dalle dimensioni di zucche gialloverdi, palle giganti disposte in ordinate piramidi che la massa dei pellegrini che tornano dalla Golden rock, acquista volentieri a prezzi di affezione, sia perché dovremmo essere nel pieno della stagione, sia in quanto questa è una delle zone più rinomate di produzione. Anche qui i concetti di  km zero ed eccellenze si insinuano nelle menti. E’ la globalizzazione figliolo, fattene una ragione. Dove c’è materia prima fioriscono le attività. Sulle colline sono infatti presenti veri e propri boschi di bambù, i cui fusti, l’umidità del monsone rende grossi e rigogliosi. Il signor Wata per esempio, ha messo in piedi una attività che coinvolge diversi suoi vicini di casa. Attorno alla sua capanna, dove vengono portate le grandi canne verdi, appena tagliate, si formano grandi piramidi dove il bambù rimane per i mesi della stagione secca a perdere umidità, prima di venire spaccato per il lungo, poi tagliato a misura e ridotto in strisce e stecche a seconda del bisogno. Poi un altro gruppo di artigiani provvede a montare, intrecciando, forando, incastrando e legando, sedie, poltrone, sdraio e letti veri e propri di grande robustezza e comodità, non disgiunti da un certo stile. L’esposizione è direttamente sulla strada e la vendita si svolge dal produttore al consumatore diremmo noi.

Essiccazione del caucciù
Quando ancora le colline non sono finite, ma la boscaglia selvatica comincia a diradarsi, noti subito l’ordine artificiale della presenza umana. Lungo i fianchi ormai dolci della terra, si dispongono ordinate file di alberi; cominciano qui le piantagioni di tek e di alberi della gomma, una selvicoltura  che si sta allargando,  data la ripresa della richiesta di materie prime e che, se da un lato cambia lo stato selvatico di un territorio, dall’altro lega la gente alla campagna impedendone il rapido inurbamento. Si potrebbe anche obiettare ai puristi del naturale, sempre meglio del disboscamento selvaggio che ha interessato tante zone di questa parte del pianeta. La famiglia Khanet, ha circa quattro ettari di collina proprio al limite della statale. Tutto il suo terreno, a parte qualche piccolo spazio dedicato all’orto per le esigenze della sua numerosa famiglia, è impiantato  con alberi della gomma già in piena produzione. Il padre mi accompagna a fare un giro nella proprietà. Il ciclo produttivo è piuttosto semplice e può essere seguito bene anche a livello familiare. Accanto ad ogni tronco è appesa una scodelletta fatta con una mezza noce di cocco. Con un coltello affilato si esegue sulla corteccia un taglio curvo in discesa in modo che la linfa bianca e gommosa che l’albero secerne in seguito alla ferita scivoli verso il basso e si raccolga nella ciotola, riempiendola quasi completamente nel corso delle 24 ore.

Colatura del caucciù
Il contenuto rappreso di una ventina di queste tazze, viene impastato assieme e successivamente fatto passare a manovella tra due cilindri che riducono la massa ad un foglio grossolanamente rettangolare, spesso qualche millimetro, di circa mezzo metro quadro, che viene quindi disteso ad asciugare al sole su tralicci di legno. Quando il signor Khanet ne riempie il cassone della sua moto agricola, li porta al grossista in paese che glieli paga attorno ai 4 dollari l’uno. Anche senza fargli i conti in tasca si vede che non se la passa male, lui, i tre figli e relative nuore, tutti al lavoro nell’azienda. Si sono costruite case di mattoni, dove non mancano le parabole, in luogo di quelle di stuoia che si vedono di norma lungo la strada; sotto il portico ci sono motorini, la pompa del pozzo sembra nuova e c’è anche un generatore e un grosso pannello solare. Nel cortile non razzolano né maiali, ne anatre, forse conviene ormai comprarle al mercato. A prescindere dalla puzza, il caucciù che si asciuga al sole, non ha la fragranza della rosa, il volto del signor Khanet è disteso e sereno. I bambini tornano da scuola e le divise bianche e verdi sono nuove e linde di bucato, la nonna, l’anziana signora Khanet ride dalla panca del cortile, mentre ti saluta con la mano. In paese, suoni di tamburelli, sotto una tettoia di frasche un gruppo di volontari raccoglie offerte per restaurare il vicino tempio che innalza una guglia dorata sulla collina. Uno striscione disteso attraverso la strada ed i ragazzi che sporgono le ciotole di metallo, la benedizione è garantita. Poi la strada diventa diritta e taglia all’infinito la pianura ricoperta di risaia.

Una trebbiatrice
Anche qui vedi una agricoltura non completamente arretrata. Benché la maggior parte del lavoro sia svolto a mano, cominci a scorgere qualche macchina rudimentale di origine cinese, addirittura una piccola mietitrice all’opera. In generale però, le vaste camere delle risaie sono invase da gruppi numerosi di mietitori che tagliano il riso con piccole falci ricurve, raggruppandolo in covoni, ammucchiati poi ad essiccare al sole. In qualche caso vedi anche l’arcaico sistema dello sgranare a mano, sbattendo il mazzo di spighe secche a terra su uno spiazzo ricoperto da un telo; ma sempre più spesso  al bordo del campo sosta una piccola trebbiatrice che due o tre uomini alimentano coi forconi, che sputa da dietro ciuffi di culmi strappati e privati delle preziose cariossidi. Queste vengono poi stese lungo la strada e infine quando l’essiccazione è completata, sono raccolte in grandi mucchi in attesa di essere insaccate e caricate sui camion dei grossisti che le porteranno alle riserie. Vedi addirittura qualche campo sperimentale con tanto di paline e parcelle delle diverse varietà; se hai l’occhio attento, spunta qualche sacco con marchi  di produttori di sementi o concimi. Mi immagino già qualche bioamatore, agricoltore della domenica che griderebbe subito di certo al subdolo strapotere delle bieche multinazionali, rappresentate dalla Monsanto in testa, icona del male assoluto. Intanto, girando per questi paesi di campagna, vedi povertà ma di certo non malnutrizione, la gente appare ben pasciuta e non pare avere problemi dal punto di vista alimentare, casomai le carenze sono di tipo sanitario. I produttori, grazie ad un clima tutto sommato favorevole all’agricoltura, hanno di che nutrirsi e possono vendere il surplus, a seconda della dimensione dei loro terreni e procurarsi quanto serve loro per vivere.

Mietitura del riso

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2 commenti:

chicchina ha detto...

Descrivi un mondo ed un popolo ricco di
fantasia,adattabilità e attaccato al lavoro.
Mi pare di capire,un'economia tipicamente familiare,ma che funziona.Apprezzo sempre le tue foto,perfetto corredo di quanto scrivi,ma questo già lo sai...

Enrico Bo ha detto...

@Chcchi - Grazie . Effettivamente un'economia rurale a tutti gli effetti, con la calma e la laboriosità orientale, inclusi pregi e ovviamente i difetti.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!