giovedì 30 aprile 2015

Nepal: Dialogo della Natura e un Islandese

Quanto è avvenuto in questi giorni in Nepal, non ha potuto come ovvio, che colpirmi profondamente, sia per l'entità del disastro, sia per la vicinanza che io sento per quelle genti e quei luoghi. Le persone che ho incontrato nel mio viaggio del mese scorso, per fortuna, pur vivendo in prossimità di quanto avvenuto, mi hanno assicurato di non aver subito danni di sorta, tuttavia non riesco a fare a meno di pensare di continuo alla fragilità nostra di fronte alla natura, che pare accanirsi sempre contro i luoghi più segnati del nostro pianeta, come fosse una dea malevola e crudele, anche se forse non è così. Per questo credo che sia opportuno ragionare almeno un attimo su questo nostro antropocentrismo, davvero così pretenzioso. Ieri mi è stata data l'opportunità di riprendere un brano delle Operette morali di Leopardi, che mi sembra davvero illuminante su questo tema e per questo ve ne ripropongo un brano. Un uomo che per tutta la vita, convinto che la Natura sia crudele e operi malignamente contro l'uomo stesso, ha cercato non già di inseguire il piacere, ma quantomeno di sfuggire al dolore, incontra in un suo viaggio estremo proprio la Natura stessa sotto forma di gigante e con lei intesse una conversazione.

Dialogo della Natura e un Islandese

L'islandese: ........Dal sole e dall'aria, cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla umidità, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa luce: tanto che l'uomo non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità o danno, starsene esposto all'una o all'altro di loro. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d'incalzarci, finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te per legge a tutti i generi de' viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo declinare e perdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl'incomodi che ne seguono.

Natura: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

Islandese: Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura.

Natura: Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.

Islandese: Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?

Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.

mercoledì 29 aprile 2015

Arunachal Pradesh: da Ziro a Daporijo

Tiro di fionda a Tolon


Una casa di Tolon
Hai ancora in bocca il pizzicore delle zenzero, dopo colazione; sia il thé che le fette di pane ne avevano una dose generosa, così ti porti dietro questa sensazione fresca ma un poco aggressiva, assieme al ricordo della valle di Ziro, circondata da boschi di alte conifere, con i recinti dove crescono fitti i bambù, che ogni famiglia si coltiva e rimangono fonte di materiale da costruzione e le radure, appena fuori dei villaggi, con i totem di canne, luoghi sacri dove vengono seppelliti i morti, senza segnali apparenti, solo la terra ricoperta di erba che le capre tengono bassa bassa, brucandola, che dopo qualche tempo si avvalla un poco, segno che le spoglie umane sono ormai consumate e si sono riunite al regno degli spiriti della foresta. Oggi la strada è lunga 165 km, fino a Daporijo, quasi sette ore di macchina, attraverso un manto stradale tutto curve che scavalca catene di colline successive che dividono una serie infinita di valli deserte, profondissime e scoscese. Le buche continue costringono ad una guida lenta e tutta scossoni, con frequenti deviazioni per aggirare ostacoli imprevisti. Siamo nelle propaggini sudorientali dell'Himalaya, che dopo essersi precipitato dai picchi nevosi del confine col Bhutan e con la Cina, si trasforma in un'area di terre alte moreniche e sedimentarie, che una serie di torrenti impetuosi e dal regime variabilissimo, rigagnoli in inverno e forre violente che tutto spazzano via al culmine della stagione delle piogge, scavano profondamente come unghiate inferte a casaccio da un drago malevolo. 

Un punto di ristoro lungo la strada
Questi corsi d'acqua hanno prodotto in milioni di anni, valli a V di profondità vertiginosa e contorta, portando con sé ad ogni stagione, nuova terra strappata dai fianchi di quei monti quasi privi di roccia, ma fatti di tenere concrezioni di pietrisco instabile. E' un terreno mutevole, sottoposto a frane continue che sconvolgono il paesaggio e mutano i corsi di sentieri e passaggi rendendo le comunicazioni lente e faticose. D'altra parte questo è un paese quasi deserto e gli abitanti dei minuscoli aggregati di capanne e delle case isolate, hanno avuto per millenni poche necessità di comunicazione e meno ancora di spostamento. Genti che hanno sempre vissuto di quanto poteva dare la foresta, legno, frutti selvatici e cacciagione oltre ai proventi di un'agricoltura primordiale, che una natura comunque generosa consente nei minuscoli orti abbarbicati agli strapiombi. Ma ciò che ti strania completamente è proprio questo stravolgente rigoglio che ricopre ogni spazio, ogni luogo che ti si para davanti. Lungo la strada, attorno a te un muro continuo di verde rende praticamente impenetrabile il bosco. Alberi altissimi, a loro volta ricoperti di altre specie simbionti, che li fanno apparire come ricoperti di spessi mantelli di foglie, liane pendenti, orchidee e altri fiori colorati ed un sottobosco di erbe giganti, dalle foglie mostruose che occupano tutto lo spazio sottostante. Felci arboree alte metri e bananeti selvatici, palme sconosciute, tronchi di legni preziosi dalle radici imponenti. 

La jungla di montagna
E' una jungla di montagna così ricca e impenetrabile che ti richiude alla vista il paesaggio e non appena riesci ad arrivare ad uno strapiombo che ti consente un poco di spazio attraverso la valle, per indovinare il percorso della strada che si insinua tra il verde fino a raggiungerne il fondo, per risalire poi il versante successivo in un continuo zigzagare apparentemente senza punto di arrivo, ti viene naturale una sosta, per ammirare quella strepitosa varietà di vegetali, quel mondo che respinge la presenza umana, richiudendosi come uno scrigno segreto, ripieno di misteri e forse di pericoli. Dal fitto arrivano rumori e scricchiolii, strida di uccelli e rumor di foglie secche forse schiacciate da animali che strisciano ed insetti giganti, farfalle grandi come mani dai colori ammalianti, piccole scimmie che spuntano tra i cespugli guardando gli estranei che infrangono quel mondo diverso e distante. E' un universo davvero alieno che non stanca di stupire, ad ogni curva, ad ogni oltrepassar di crinale, all'infinito di una terra che apparentemente è senza confini. Al fondo di una valle, un gruppo di baracche a contorno di un vecchio ponte che accorcia di un poco la strada. E' Tolon, un villaggio popolato solo da gruppetti di bambini laceri e sporchi che giocano nelle letamaie dietro le case, tra capre e maiali. Quasi ogni casa ha qualche tomba a fianco nel cortiletto, sormontata da una croce; cattolici o battisti sono arrivati fino a qui. Quando si sta per superare qualche collina più alta, una sorta di passo dove la vegetazione un poco si dirada, qualche capanna in legno assume la forma volenterosa di un punto di ristoro, uno stanzone, con la cucina dietro dove una signora fa riscaldare qualche pentola di dal o prepara chapatti sul fuoco vivo. 

Nella jungla
Se vuoi ci sono anche noodles precotti e qualche sacchetto di patatine, con Coca Cola o birra calda, dato che l'energia elettrica, da queste parti è un optional piuttosto raro, al contrario naturalmente della connessione telefonica, ormai bisogno primario di qualunque parte del mondo, anche la più remota. Poi ancora jungla per ore ed ore, dalla quale spuntano di tanto in tanto enormi mythun selvatici che brucano ai lati delle radure, bovidi giganti che ti guardano ruminando al passaggio, inconsci di poter diventare prima o poi, oggetto di attenzioni sacrificali certamente poco gradite. E' quasi sera quando arrivi nella zona dei villaggi Tagin. Ligu è forse il più grande. Un centinaio di grandi capanne distanziate tra loro e circondate da orti e cortili recintati, dai tetti di frasche o di lamiera ondulata. A differenza degli Apatani, qui le case sono più grandi e a pianta quadrata. I divisori di stuoie che costituiscono gli spazi privati dei vari componenti della famiglia sono disposte tutto attorno alla grande camera centrale con il fuoco, dove tutti si riuniscono e si ricevono gli ospiti. Le case, su palafitte, sono circondate da una veranda alla quale si accede tramite ripide scalette, separate tra uomini, quella frontale principale e quelle per le donne, piccole e laterali. Il villaggio è semideserto, pochi anziani e qualche bambino, il tutto dà una impressione di grande povertà e di una vita molto semplice e fatta di pochissimi bisogni. Quando i torrenti convergono in un corso d'acqua più imponente, attraversato da un ponte, le case cominciano ad infittirsi. Siamo arrivati a Daporijo.


SURVIVAL KIT

Casa di Ligu
Ziro valley - Daporijo. - Li collega una sola strada attraverso la montagna. 165 km in circa 7 ore. Lungo la strada bei paesaggi, jungla fittissima e piccoli paesi. Etnie Nishi, Galo e Tajin. Daporijo, è una cittadina mercato di circa 15.000 abitanti, dove sostare obbligatoriamente. Poco da fare oltre ad un giro sulla strada principale, tra i negozietti locali. Vicino alla città il villaggio di Ligu con etnie Galo.

Hotel Singhik Super Market, Daporijo - 1870 R , la doppia con colazione. Qualità sorprendente per il posto, davvero povero. L'edificio dell'hotel spicca immediatamente tra le case basse del centro e le baracche del mercato e non faticherete a trovarlo. Camere spaziose e pulite, con buone dotazioni. Il personale è come sempre gentilissimo e a disposizione per qualunque bisogno. AC, TV, frigo, Free Wifi nella hall, un po' debole, ma da queste parti è una vera rarità. Spesso come dappertutto manca la corrente. Il ristorante annesso poi, serve buoni piatti indiani a prezzi ottimi. Non mi sembra che in città ci sia di meglio.

La strada tra Ziro e Daporijo



La cucina


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:





lunedì 27 aprile 2015

Arunachal Pradesh: Il sacrificio


Giovani Apatani

La padrona di casa
Guddi trotterella sule sue gambe grassocce fasciate nei jeans troppo stretti; si ferma a parlottare con un gruppetto di donne che sembrano tornare dai campi anche se siamo solo a metà giornata, la gerla piena sulla schiena, poi, convinta, cambia direzione di marcia. Seguiamo le donne che vanno veloci verso Dutta un piccolo gruppetto di case, di poco fuori della strada al limitare del bosco. Il sentiero sterrato sale appena verso il centro del paesino; a fianco, le case di legno hanno quasi tutte una bandierina azzurra con le insegne del sole e della luna, il segnale che contraddistingue gli animisti. Molte, appena fuori della veranda hanno i piccoli altarini di bambù che segnalano sacrifici recenti. Contrariamente agli altri abitati, qui sta circolando molta gente che si dirige verso il centro del paese, uno spazio triangolare più aperto presieduto da un'alta piattaforma in legno, riparata dalla solita copertura di lamiera ondulata arrugginita. Gli anziani sono già tutti radunati lì. Nella case intorno, intanto si stanno assiepando molte donne e ragazze, con il vestito tradizionale della festa, sopra una sorta di sarong rosso con una larga fascia blu e una blusa bianca con una sciarpa blu elettrico ricamata di mille colori che finisce sulla schiena. Ma la cosa che più colpisce sono i fasci di collane di perline, all'apparenza piuttosto pesanti, di turchesi e altre pietre che pendono dal collo ricoprendo la veste fino alla vita.


Lo sciamano
I ragazzi invece hanno attraverso il corpo un grande scialle bianco che li avvolge completamente, con i bordi oro e blu. A tracolla portano solo un lungo filo di grandi pietre bianche rotonde, quasi una specie di rosario. E' subito chiaro che una festa è in pieno svolgimento. Una famiglia importante della comunità ha deciso di ingraziarsi gli spiriti della natura per avere un anno particolarmente prospero e fortunato, per cui ha pagato una grande festa per tutto il paese, che avrà il suo culmine nel sacrificio propiziatorio di due animali, a cui seguirà un grande banchetto comunitario e grandi bevute per tutta la notte. E' stato convocato lo sciamano che da ore sta infatti salmodiando sulla piattaforma, seduto tra gli anziani che lo ascoltano. La presenza nostra non sembra turbare affatto la cerimonia, anzi veniamo subito invitati a prenderne parte. Lo stesso sciamano, mentre continua a cantare, fa cenno di avvicinarci. Ripete da ore una serie di mantra in una lingua che lui solo conosce, diversa dal dialetto del paese, per cui nessuno lo segue nel canto, anche se tutti sembrano ascoltarlo, mentre vengono fatti altre cose, comunque riguardanti lo svolgersi del rito. Le donne della famiglia officiante continuano a girare intorno offrendo al resto del paese dolcetti, involtini di riso e altre cose mangerecce. Anche le soglie delle case vengono per così dire benedette con farina di riso sparsa a terra. 

Sacrificio di un uccellino
Non si sa bene quando verrà il momento del sacrificio. Il canto dello sciamano che può durare ore ed ore, deve richiamare gli spiriti dalla foresta. Solo quando lui li sentirà presenti e disponibili ad accettare l'offerta delle due vite, darà il via alle operazioni. Per cui, da qualche ora, tutto il paese continua ad aggirarsi lì intorno in una attesa compunta, anche se a volte distratta; non sono pochi, infatti i gruppetti di giovani o di ragazze che ingannano il tempo giocherellando col telefonino. Ai piedi della piattaforma intanto, legati con due corde intrecciate, una piccola vacca marrone e un colossale mythun pezzato dall'alta gobba e dalle tozze corna coniche, cercano di brucare i pochi rimasugli di vegetazione che ancora cresce attorno. Ogni tanto qualcuno passa loro al fianco, li guarda con palese approvazione, qualcuno li accarezza e le donne della famiglia vanno a benedire anche loro con la farina di riso, tanto che le corna degli animali sono ormai completamente bianche. I grandi occhi dei due bovini guardano intorno, ruminando, come stupiti di tanta attenzione, non ancora consci del loro destino. Le cose sembrano andare per le lunghe, pare che gli spiriti amino farsi pregare a lungo, ma Guddi assicura che tra non molto si arriverà al dunque. Intanto sulla piattaforma avvengono attività strane, mentre continua una generosa distribuzione di alcool di riso. 

Con le padrone di casa
Uno dei partecipanti è ormai talmente ubriaco che cerca di alzarsi e dare movimento alla cerimonia stessa, ma due ragazzi lo prendono di peso e lo portano verso la sua capanna, non ritenendolo evidentemente idoneo a continuare. Lui cerca di uscire un paio di volte, ma viene sempre riacchiappato e nell'ultimo caso, almeno, convinto con metodi alquanto bruschi ad andare a riposare. Uno dei più anziani accanto allo sciamano, un vecchietto dall'aria buona e dagli occhi dolcissimi è arrivato con un uccellino tra le mani e lo accarezza con amore, poi comincia a strappargli le piume mormorando preghiere e le lascia andare nel vento, mentre i pigolii si fanno sempre più disperati. Un altro ha un gallo nero tra le mani, gli torce il collo con un movimento brusco, poi estrae il coltello che come tutti gli uomini, porta appeso al fianco e gli estrae il fegato che viene esaminato con cura da un aruspice incaricato della bisogna. Tutti fanno cenno di approvazione, evidentemente gli auspici sono favorevoli. Qualcun altro porta sulla piattaforma generi di conforto, un pentolone con brodi e trippe varie. Solo lo sciamano si astiene, continuando la monodia ritmata che nessuno sembra capire, anche se si guarda intorno con occhio svagato. Tuttavia qualche cosa si muove. Il suo tono cambia e si fa più rapido e affannato. 

Una famigliola di partecipanti

Intanto la piccola folla comincia a dirigersi verso la casa dei festeggiamenti. Andiamo anche noi, che evidentemente considerati ospiti di riguardo, veniamo prima ricevuti nella camera centrale dai padroni di casa e poi sul grande terrazzo interno in muratura che dà sul cortile, a segnale della agiatezza della famiglia. Qui è già stata preparata una incastellatura di bambù che oltre ai pennoni alti ed agli ornamenti obbligatori, ha anche una specie di giogo all'altezza del terreno. Intanto i giochi si stanno compiendo, la processione percorre le strade del paese e arriva alla casa, preceduta dal gruppetto dei giovani che fanno festa. Lo sciamano prende posto sul balcone prospiciente il cortile, intanto davanti al corteo arriva la mucca che si guarda attorno con occhi impauriti, forse già conscia del suo destino. Viene trascinata verso l'altarino e la corda è assicurata al giogo basso, in modo che quasi non riesca a muovere il muso. La padrona di casa, la cui veste bianca contrasta con il rutilare di colore che gira intorno, si avvicina all'animale con un secchiellino argenteo ed un mestolo rituale e le sparge farina di riso e burro fuso sulla testa e poi si ritira, mentre da dietro, acquattato e quasi senza farsi notare, arriva un uomo robusto con una grande ascia. 

Il sacrificio della vacca
E' un attimo, con il movimento rapido di chi è abituato a colpire i tronchi robusti nella foresta, la lama si abbatte sul collo dell'animale che piega le ginocchia, mentre una ventina di ragazzi, che da ore attendevano il momento le si gettano addosso. Chi la prende per una zampa, chi per la coda; in tre le afferrano il collo torcendolo allo spasimo e facendola stramazzare a terra con un muggito straziante. Due le spalancano le fauci, mentre un terzo le getta in gola un secchiello di farina di riso bianca, non si capisce se per benedirla ulteriormente o per farla soffocare. L'animale si dibatte furiosamente mentre un uomo le ficca una lunga asta di bambù nel costato per raggiungerle qualche organo interno. Spinge, torce, grida, il sangue schizza dappertutto, fiotti di liquidi si spargono a terra, mentre il salmodiare dello sciamano sale alto e si spande sulla folla che grida, prega, ride, in un sabba arcaico e feroce. Subito compaiono lunghi ed affilati coltelli che vanno a piantarsi nell'animale che per fortuna ormai ha terminato le sue sofferenze e viene spostato di forza in fondo al cortiletto, dove altri addetti cominciano a sezionarlo in pezzi. Le voci si calmano e una pausa irreale scende sulla scena. Ma dal vicoletto arriva la seconda processione e il canto si alza di nuovo sulla folla estasiata. 

Il mythun

Il mythun, tirato da due ragazzi arriva nel cortile seguito dal grosso della gente che ne occupa gli ultimi spazi ancora liberi. Le terrazze e i balconi che danno verso l'interno sono tutti affollati di donne festanti e di bambini che suggestionati dal momento urlano senza posa. Il grande bovino è certamente molto più faticoso da gestire della povera vacchetta che lo ha preceduto, ma anche lui, nonostante gli scrolloni del grosso testone ed i muggiti riottosi viene legato al giogo dell'altare. Ancora una volta si ripercorre il cammino della benedizione, mentre l'uomo con l'ascia gli scivola dietro furtivamente. Adesso sulla folla aleggia un silenzio irreale, un'attesa ansiosa e partecipata, neanche i bambini presenti in massa tra le gambe tre grandi, gridano più. Di nuovo il gesto rapidissimo e preciso e la pesante ascia si abbatte sul collo dell'animale. Ma questa volta la massa è molto più grande e dura da abbattere. Dalla folla sale un urlo animalesco. Il gruppo di ragazzi che gli si gettano addosso, pur determinato e feroce, fatica molto a gettarlo a terra, tra muggiti e urla selvagge. In tre cercano di torcergli il collo afferrandolo per le corte corna e gettandoglisi addosso con tutto il loro peso. Gli occhi della bestia sono rivolti al cielo, quasi una preghiera perché tutto finisca in fretta. 

Si sventra il mythun
Poi, le corde che erano state legate alle zampe, opportunamente tirate, hanno ragione della forza dell'animale e la vicenda si ripete, con furia ancor più bestiale. I coltelli compaiono quando ancora il gigantesco bovino scalcia disperatamente, mentre i muggiti si sono spenti nella gola soffocata dalla polvere bianca e cominciano a squarciare la pelle, sventrando i tessuti mentre ogni cosa fuoriesce, quando ancora il lungo palo verde viene agitato dentro e quasi sfugge di mano al lanciere determinato a colpire al cuore. Un ragazzo quasi invasato dalla furia colpisce con calci feroci i testicoli del mythun tra gli applausi della folla che ruggisce a lungo. Poi è una furia devastatrice, chi taglia gli zoccoli, chi cerca il fegato, subito separato in pezzi e dati alle personalità presenti. Un anziano se ne va soddisfatto con la sacca dei testicoli in mano. Sono passati soltanto pochi minuti, il cortile è ormai una macelleria, una piccola processione che segue lo sciamano, se ne va verso il luogo dove si terrà il banchetto. La furia orgiastica della folla si placa a onde. Le grida dei giovani a poco a poco si spengono, come quella degli ubriachi ormai ebbri di violenza e di sangue. Il cortile pian piano si svuota, rimangono solo i residui della rabbia. Gli spiriti del bosco forse se ne sono già andati.

Lo sciamano guida la cerimonia

SURVIVAL KIT

La vacca è uccisal
Hapoli - é il centro principale della valle di Ziro. Ha anche un animato mercato che si può visitare alla fine della giornata, dopo essere andati per villaggi. Qui ci sono le consuete zone dedicate agli alimentari, pesce secco e carni con le macellerie all'aperto, ortaggi e frutta ed anche i negozietti di tutti i prodotti necessari agli abitanti della valle. Qui convergono da tutti i paesini vicini. Ci sono addirittura un paio di banchetti con roba per turisti, tipo le collanine e gli altri ornamenti delle donne Apatani. I prezzi dopo opportuna contrattazione sono abbordabili. 

La fine della cerimonia

Giovane Apatani



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:






domenica 26 aprile 2015

World Tai Chi Day


I partecipanti


Ieri era il World Tai Chi Day e accanto a New York, Melbourne e altre importanti città del mondo non poteva mancare Mombaruzzo (Italy), per la serie Non solo amaretti!  Grazie Paola!



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

venerdì 24 aprile 2015

Arunachal Pradesh: Da un villaggio all'altro


Donna Apatani



Un anziano Apatani
Guddi è piccola e rotondetta e parla un buon inglese, d'altra parte è andata al college. Fare la guida la pone su un altro piano rispetto agli abitanti della valle, anche se in fondo conosce tutti e le vecchiette dai nasi deformati che incontri tra le case, la salutano ridendo. Certo a lei ed alle sue amiche non era neanche passato per la testa di tatuarsi il viso o piantarsi i dischi nelle narici; sua madre è stata tra le prime a smettere queste pratiche, quasi quaranta anni fa e da allora non lo ha più fatto nessuna, anzi qualche anziana ha addirittura cominciato a toglierseli, quegli orrendi dischetti, solo che rimanevano gli enormi fori a fianco alle narici e mai come in questo caso "el tacòn xè pezo del buso" (anche se questa non è propriamente la lingua Apatani che ha cadenze e accenti più tibetani). Ha invece piccoli orecchini moderni, così neppure i lobi delle orecchie sono sformati, quanto ai tatuaggi, chissà, magari ha qualche tribal nascosto da qualche parte che neanche si vede, mentre traffica sullo smartphone. Però si sente che è orgogliosa delle tradizioni del suo popolo, cosa che tra l'altro è per lei fonte di reddito. 


Donna Apatani al lavoro nei campi
Un gruppetto di anziane saluta dalla risaia, dove curve stanno sminuzzando le zolle dure e subito offrono le zappe dal manico corto a noi, casomai le volessimo aiutare, poi ridono, tanto lo sanno che di uomini al lavoro nei campi se ne vedono pochi. Hong è forse il paese più grande della valle, con le sue case affacciate con le piccole verande sulle stradine tortuose che risalgono verso il bosco. Passa un carrettino spinto a braccia da un tizio con l'aria scafata, carico di oggetti per la casa, in plastica colorata e chincaglieria varia. E' l'equivalente del venditutto che anche da noi un tempo girava per i paesi. Suona il campanello quando arriva in uno slargo, dove si innalzano i totem della festa, da qui i giovani si lasceranno andare ad ardite acrobazie per mostrare la loro virilità e chiama con voce stentorea. Di certo dirà: "Donne, donne, è arrivato Giovanni" o qualche cosa di simile. Qualcuna esce a dare un'occhiata, ma il successo è scarso, qui quasi nessuno è in casa durante le ore di luce. Anche la nonna di Guddi che ha più di 80 anni, anche se non sa di preciso la data esatta, esce di casa alle quattro del mattino e ci fa ritorno verso le sei di sera, anche se ha la schiena curva curva, ma dice che a casa non saprebbe che fare.

Offerta di uova
Dal carrettino intanto, salta fuori anche qualche dolcetto e caramelle per i bambini piccoli, insomma, qualche cosa si porta a casa, poi una bella spinta verso la discesa e il tizio se ne va verso la prossima fermata, dietro la grande piattaforma di legno che sta al centro di uno slargo, in ogni porzione del villaggio. E' il punto di ritrovo degli uomini, dove ci si raduna, si discute dei problemi del paese o dell'organizzazione della prossima festa o dei sacrifici che verranno fatti in settimana o semplicemente si passa il tempo almanaccando le cose da fare il giorno dopo. Un sentiero in fondo al paese porta verso le prime piante del bosco, che incombe verso la montagna. I terreni sono tutti recintati da steccati di canne a circondare orti o anche i boschetti di bambù che spuntano rigogliosi come ciuffi verdi prima che la foresta prenda il sopravvento. Risalendo la collina si arriva ad una radura tra gli alberi, completamente disboscata. Qui vedi tutta una serie di totem di canne intrecciate di ogni forma e dimensione. E' un luogo sacro dove si viene a pregare ed a chiede grazie agli spiriti della foresta e naturalmente a fare sacrifici. Le incastellature più basse, poche canne intrecciate tra loro a formare croci e triangoli, hanno a diverse altezze delle piccole mensoline cave dove vengono poste uova, è il sacrificio minimo, quello che riguarda problemi davvero minori, qualche grazia di routine, richiesta perché le cose vadano bene, intorno piume di gallina, segno che anche qualche pennuto è stato offerto alle anime del bosco. 

Campo di totem con le offerte
Incastellature più grandi e strutturate, segnalano che lì sono state sacrificate capre o montoni. Ne vedi le corna lasciate in cima a confermare il buon esito dell'operazione. I più alti, con aste che svettano di parecchi metri sopra una sorta di altarino dove è stato legato l'animale, hanno esposte teschi di vacche o addirittura quelli più grandi con le tozze corna coniche dei mithun, una specie di bovino selvatico di grandi dimensioni che popola queste colline e vive nel folto della foresta. Il luogo dà in ogni caso una sensazione strana. Senti un'atmosfera diversa, di spessa attenzione. Sarà che comunque hai camminato in salita e qui sei attorno ai duemila metri e quindi un po' di affanno è giustificato, ma qui, ti accorgi subito di non essere in un campo qualunque, qui aleggia un senso di mistero, di compunta sottomissione a forze della natura nascoste e diverse, non per questo melevole o negative, ma in ogni caso aliene dalla vita comune, che bisogna avvicinare con discrezione, senza arrecare disturbo, camminando leggeri sulla terra soffice e coperta di foglie marce. Non si sentono rumori di animali o di fischi di uccelli, ma forse tra il fitto del fogliame circostante qualcuno guarda e sorveglia, anche se forse si tratta soltanto di qualche scimmia timorosa di essere catturata e a sua volta sacrificata nella festa grande quando arriverà lo sciamano a decidere cosa e quando fare le operazioni necessarie ad ottenere un futuro anno sereno e senza fastidi. 

Interno di una long house Apatani
Scendiamo verso Hadi un altro paesetto più piccolo, anche questo semideserto, Una casa è completamente chiusa con legni inchiodati che sbarrano l'ingresso. Gli abitanti sono chiusi dentro a meditare e purificarsi. Lì ci deve essere un problema grosso, qualche malattia grave o una grazia davvero importante da chiedere agli spiriti e bisogna rimanere isolati per qualche giorno, fino a quando verrà lo sciamano a sciogliere il nodo e a prescrivere cosa fare per risolvere la situazione. Entriamo in un'altra casa. Qui c'è soltanto una donna con un bimbo piccolo che non sembra molto amichevole verso gli intrusi che entrano nello stanzone centrale. Frigna rumorosamente guardando di traverso, infine scappa verso il fondo dello stanzone rettangolare che costituisce l'ambiente principale. In mezzo, un riquadro pieno di cenere, il focolare che funge da cucina e da caminetto, circondato da stuoie su cui si siede la famiglia, da un lato, con gli ospiti di fronte. Non si fatica a capire come siano facili gli incendi che possono essere provocati da questi grandi fuochi liberi, circondati da case completamente costruite in legno e bambù secco e stagionato che brucia come una torcia alla minima scintilla. 

Il focolare
Sopra il fuoco un telaio sospeso pieno di legna, già tagliata a misura, che il calore che sale contribuirà a seccare per bene nel corso del tempo, mentre ancora più in alto sono disposte intere fette di spesso lardo, ad affumicare. Avverti subito dal bruciore degli occhi, quanto fumo riempirà l'ambiente privo di aerazione nelle sere d'inverno, anche osservando il colore nero carbonizzato delle assi del tetto. Da una delle stuoie che formano le camere laterali della long house, spunta una vecchietta ingobbita. Non pare particolarmente entusiasta di vederci e di esibire il suo povero naso martoriato. Si prende il bambino lacrimoso in braccio e si ritira dietro la casa, scendendo dalla scaletta posteriore verso l'orto ed il gruppetto di maialini che una grossa scrofa sta allattando. Usciamo dal paese tra le case più vecchie che ancora conservano i tetti completamente in legno, invece di quelle più recenti ricoperte di lamiera ondulata arrugginita. Ce ne andiamo così dall'altra parte della valle attraversando le risaie in secca, fino a Dutta, dove però già dall'ingresso, sul sentiero di terra che lascia la strada principale, si nota un inusuale assembramento di persone. La via che scorre lungo il paese è piena di gente, molti vestiti con il costume di festa. Si ode venire dal centro dove c'è la grande piattaforma di legno delle riunioni un salmodiare continuo. Sarà il caso di andare a vedere cosa succede. Seguiteci, Guddi fa segno di affrettarci.

Nonna e nipote

SURVIVAL KIT
Anziano Apatani con acconciatura tipica
La valle di Ziro - Situata all'inizio dell'Arunachal Pradesh, sulla strada proveniente da North Lakhinmpur a circa 70 km dal confine. Nella valle, in realtà un sorta di minuscolo altipiano tra le montagne, sono stanziati i 7 villaggi principali della tribù Apatani, di origine tibetana. Il territorio circostante è popolato da tribù Nishi, da sempre loro fiere avversarie. Accompagnati da una guida locale (obbligatoria, 10$ per tutto il giorno) si possono visitare i diversi villaggi, alcuni raggiungibili a piedi con brevi passeggiate, entrare in qualche casa e assistere se si ha la fortuna di capitarci a qualche festa con sacrifici o altro. La guida è comunque al corrente se da qualche parte nella valle si celebra qualche cosa nei giorni in cui sarete lì. Calcolate almeno un paio di notti. Nel centro principale, Hapoli (o new Ziro) c'è anche il mercato e un piccolo museo etnografico che chiude alle 16. Al centro della valle c'è anche un piccolo aeroporto, ma è sicuramente più affascinate percorrere la strada nella foresta per arrivarci e ripartire. Il motivo di attrazione del luogo, oltre all'atmosfera agreste e del tutto perduta nel tempo, sono le case tradizionali e le anziane donne tatuate con i nasi forati, che tra qualche anno sono inevitabilmente destinate a scomparire. Fotografate con discrezione.

La valle di Ziro


Tatuaggio Apatani



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:







Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!