mercoledì 11 marzo 2020

La peste e Don Ferrante


Davvero i Promessi sposi sono il più grande romanzo italiano e dato che siamo in casa e possiamo trascorrere un po' di tempo a ragionare, vi propongo queste righe.


"In rerum natura, " diceva Don Ferrante, " non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l'uno ne l'altro, avrò provato che non esiste, che 'è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe, esser sensibile all'occhio o al tatto; e questo contagio, chi l'ha, veduto? chi l'ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dotti che si comunica da un corpo all'altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all'altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, danno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d'esantemi, d'antraci ... ? " " Tutte corbellerie, " sparò fuori una volta un tale. - No, no, - riprese don Ferrante: - non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, foruncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell'e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.



Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso all'opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l'errore di que' medici non consisteva già nell'affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell'assegnarne la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi. - La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva; - e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno? His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle. (I promessi sposi, cap. XXXVII)

Interessante anche che, come bene racconta Luigi Matt in Don Ferrante e la peste, sul Giornale storico della Letteratura italiana (Fasc 645 - 1° trim 2017):
"Il passo in questione è mutato molto dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi. Nella prima stesura viene messo in scena un dialogo tra don Ferrante, che difende a modo suo le ragioni della scienza, e il signor Lucio, un «professore d’ignoranza, e dilettante d’enciclopedia» che «si vantava di non aver mai studiato, e ciò non ostante, anzi per questo appunto, pretendeva decidere d’ogni cosa» (IV III 40) (praticamente uno che oggi sparerebbe post su facebook); nell’ultima, che è il risultato di un processo di sintesi piuttosto drastico, del secondo personaggio non rimane traccia: don Ferrante è ritratto mentre arringa un anonimo uditorio, compiacendosi finché può di «predicare a distesa», venendo poi costretto a dispensare la sua sapienza «a pezzi e bocconi» (XXVII 52)."

D'altra parte nessuno inventa mai nulla, prosegue maliziosamemte il Matt: "Com’è ampiamente noto, nella prima parte – quella in cui attraverso uno stringente procedimento dialettico don Ferrante dimostra che la peste, non potendo essere né un accidente né una sostanza, non esiste – sono ricalcate alcune righe della lettera di Claudio Achillini ad Agostino Mascardi che tratta proprio della peste milanese del 1630. Se ne accorse per primo Olindo Guerrini, il quale, in tempi in cui la categoria dell’intertestualità era ancora di là da venire, scrisse che Manzoni «copiò di sana pianta» il procedimento argomentativo di Achillini, «senza dirci dove l’avesse preso»".


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