mercoledì 30 luglio 2025

Seta 14 - Le montagne fiammeggianti

Flaming mountains - Depressione di Turfan . Cina - giugno 2025

Statua di demone

Bisogna dire che la colazione abbondante e di tuo gusto, ti mette di buon umore per tutto il resto della giornata, almeno per me è così e questo Hotel Metropolo, il gioco di parole mi piace pure, ci sa fare per quanto riguarda il servizio. Dopo aver schivato più volte Battista, così abbiamo ormai battezzato il robot che consegna cose di ogni tipo direttamente nelle camere, scendiamo nella grande hall ad aspettare i taxi. Intanto Battista ritorna, fa il giro per non disturbare un chiassoso gruppo di cinesi in partenza e si va a posizionare vicino al suo punto di ricarica. Ormai i rider che portano i fagotti di cibo ordinato nei vari ristoranti della zona, non passano neanche dalla reception, ma vanno direttamente a metterlo nel suo apposito vano superiore che si apre automaticamente al loro arrivo e via, se ne va verso l'ascensore a ultimare la consegna. Evidentemente all'ordine l'app dà già tutte le indicazioni della camera e il tizio non deve impostare nulla, naturalmente non becca neppure la mancia, ma tanto qui in Cina, la mancia è una istituzione che non esiste proprio, anzi i camerieri si offendono. Prova provata. L'altra sera stavo facendo il pagamento della cena con Alipay e forse per un mio errore o per un problema di cambio, la cifra che veniva mostrata nel pagamento era di poco superiore al dovuto, poco più di un euro o due di differenza, così che poteva sembrare una sorta di mancia. 

Rocce

La cameriera, tutta  rossa in viso, vi ha pregato di correggere la cifra, dichiarando di essere estremamente imbarazzata per l'accaduto e visto che non riuscivo a cambiare la cifra, abbiamo dovuto cambiare il sistema di pagamento, perché la ragazza si rifiutava di accettarla. Non siamo abituati a queste situazioni ma, paese che vai... Intanto arrivano i nostri taxi, uno dei due è quello che avevamo preso dalla stazione e che oggi ha portato una cugina e si è dato come molto ben disposto a farci fare il giro completo di una giornata, a prezzo concordato. L'itinerario di oggi ci porta subito fuori città, dove comincia il deserto, quel tratto di terra arida che congiunge il Taklamakan al Gobi, fatto di montagne e di altopiani sconfinati di terra tenera e sabbia, in qualche punto segnata dal passaggio di antichi corsi d'acqua oggi scomparsi, che hanno tracciato valli profonde, scavate come unghiate dal tratto feroce e aspro nei loess gialli e polverosi che ricoprono le terre che scendono dalla catena del Tien Shan. Sul fondo di questi canyon che procedono a zig zag nella pianura, senti solo il ricordo dell'antica presenza, ma sotto sotto, nei punti dove compare ancora qualche simulacro di una pozza o un sentore di umidità, vedi subito che qualche residuo di vegetazione si muove, annaspa e cresce con fatica, ma pretende di segnalare la sua presenza, la sua possibilità di vita.

L'eroina del romanzo

Subito lì attorno si radunano sparuti greggi di capre, gli animali più adattabili, a cui basta davvero poco per sopravvivere, con i grandi musi che nascondono canali nasali complessi e profondi per riscaldare l'aria inalata nei gelidi inverni e il vello lungo e protettivo per le stesse ragioni. Brucano di gusto la poca erba, guardandosi all'intorno per vedere il prossimo cespo, strappandola con cura per non sprecarne un filo e poi seguire il capo branco dalle lunghe corna ritorte che controlla la mancanza di pericoli prima di procedere. Deve essere dura la vita da capra da queste parti. Dopo una ventina di chilometri, la strada costeggia una serie di colline che man mano che si procede, si fanno sempre più erte e scoscese, fino a formare una specie di catena di alture che corre parallela. I fianchi dei rilievi diventano sempre più scoscesi e scavati lateralmente in solchi precisi e verticali, come se le poche precipitazioni che eventualmente cadono durante gli anni, compissero una progressiva opera di scavo fino a formare calanchi regolari che tuttavia, data la scarsità di acqua non riescono a modificare troppo velocemente l'aspetto del paesaggio, che in ogni caso è davvero singolare se si considera il suo disporsi secondo una scansione di spigoli che sembra non finire mai, davanti a quella che invece è una liscia superficie che forse in tempi passati più umidi, era ricoperta da strati di acqua, paludi o addirittura piccoli laghi. 

Pozzi e statue

Sono queste le famose Montagne fiammeggianti, una delle bellezze naturalistiche del Xinjiang, delle quali si raccontano leggende infinite, pluricitate anche nella storia letteraria cinese. Oltre al loro caratteristico aspetto, questi rilievi presentano in alcune ore del giorno, marcatamente al tramonto, quando la luce del sole le colpisce secondo particolari angoli, grazie al colore della loro composizione, una tonalità che qualcuno definisce addirittura rosso fuoco ed il fortissimo calore della zona, dove si raggiungono le più alte temperature del paese, fanno sì che le rocce si illuminino e l'aria caldissima provochi vortici simili a fumo che si leva dalle creste, dando l'impressione che l'intera montagna arroventata, bruci. Una delle leggende uigure racconta di un drago che imperversava sopra questi monti e quando l'eroe di turno lo uccise, il suo sangue colò sul rilievo colorandolo di rosso vivo e le fiamme del suo alito rovente continuarono ad infiammarne le creste. Invece secondo il capolavoro della letteratura cinese di epoca Ming: Viaggio in Occidente, che racconta il lungo viaggio del monaco Xuanzang, figura storica, che coi suoi discepoli portò le sacre scritture buddiste fino all'occidente, lungo quella che divenne poi la via delle grotte, al capito 60, narra del tempo in cui le montagne bruciavano a causa di una lotta tra dei che stavano da quest e parti. Il cattivone di turno, certo Sun Wukong, che ne faceva di tutti i colori, fu rinchiuso dal dio buono all'interno di una fornace, di cui però il malefico riuscì a liberarsi scalciandone i mattoni in fiamme tutto attorno, che ricadendo al suolo divennero appunto le Montagne fiammeggianti. Ma subito dietro ecco anche pozzi che pompano oro nero, che la natura è cosa bella ma il grano è grano, non scherziamo.

Il termometro

Sia come sia, qui fa un caldo porco e oltretutto proprio qui, puoi assaggiare cosa sia l'overturism che comincia ad infestare i luoghi più famosi del paese, infatti nel punto di accoglienza del parco, c'è un tale afflusso di macchine, anche se non siamo in piena stagione, che quasi tutti i giganteschi parcheggi sono occupati, Tocca fare chilometri a piedi sotto il sole cocente e dire che è ancora mattino presto. In realtà non c'è poi molto da vedere, perché la catena delle montagne in queste ore è di un giallognolo spento, solo al tramonto, forse, puoi vedere il famoso colore infiammato, posto che le foto esposte non siano potente lavoro di photoshoppatura, e tutta la parte sotterranea non è altro che una serie di scenografie che raccontano la storia del romanzo di cui vi ho detto, mentre all'esterno una serie di statue dei protagonisti stanno lì a fare da sfondo ai selfie dei turisti. Al centro della costruzione, a cui si accede dal sotterraneo, evidentemente il punto della depressione, qui siamo abbondantemente sotto il livello del mare, circa -50 metri, così sembra, dove si presuppone che ci sia la temperatura più alta, c'è un gigantesco termometro che si innalza verso il cielo e che tutti fotografano per dimostrare di essere stati al caldo. Al momento in cui eravamo lì, segnava 40°C, ma bisogna considerare che erano solo le 10 del mattino. 

Sabbie del Taklamakan

Comunque c'è una grande agitazione intorno, tutti si scatenano con i telefonini e le guide tentano di dimostrare come le uova si cuociano con facilità, se deposte a terra appena sotto la sabbia. Insomma direi un po' una trappola per turisti che non fa vedere un gran che, se paragonata al molto altro che si può osservare da queste parti. Però visto che ci si passa davanti e che l'anziano non paga, ci si può anche fermare a dare un'occhiata e poi tirar via veloci, che non vale la pena di perderci troppo tempo. Dunque lasciamo la zona e procediamo di un'altra decina di chilometri, dove nella barriera delle montagne fiammeggianti si apre un lungo canyon dalle pareti ripide che si insinua in profondità. Si tratta della valle del Mutou, un fragile corso d'acqua che scende dal Tienshan. Lungo la ripida parete occidentale si apre una serie di grotte dette dei mille Budda di Bezeklik, uno dei tanti siti religiosi presenti con queste caratteristiche lungo la via della seta. La natura friabile della parete rocciosa che ha reso possibile lo scavo delle grotte stesse, ha fatto sì che nel tempo molte di esser siano crollate facendo scomparire le opere in esse rinchiuse, create, come le altre della serie tra il V e il X secolo, dai monaci che risalivano questo itinerario favorendo lo sviluppo di questa religione. Successivamente l'afflusso di popoli portatori del messaggio islamico ha contribuito a fare declinare questo credo ed inoltre lo spirito iconoclasta dell'Islam stesso ha provocato la distruzione fisica di molta parte di esse. 

Afreschi

Al momento ci sono circa 77 grotte contenenti dipinti, alcuni di scarso valore, altri invece di grande pregio, mentre molti sono stati nel tempo rovinati, sia per l'incuria che intenzionalmente durante le invasioni succedutesi nel tempo. Al momenti solo poche sono aperte per la visita, ma alcune di queste sono di particolare interesse anche al di là della bellezza intrinseca dei dipinti presenti. Ad esempio la numero 17 rappresenta la cosmogonia e l'inferno come viene immaginato nella religione Manichea, un credo antico dell'Asia centrale, oggi quasi completamente scomparso e di cui sono rarissime le vestigia rimaste, così come in altre si possono vedere le tracce dello sciamanesimo che era largamente presente in questa parte dell'Asia, prima dell'avvento degli altri credi; mentre la n.31, come del resto anche altre, presentano il particolare interesse di rappresentare uomini e fedeli di molte razze diverse, caucasiche, europee, orientali, indiane e mongole, a dimostrazione che questo era effettivamente un crocevia importante per gli scambi di questa parte di mondo, dove si incrociavano la seta e le derrate alimentari, con cavalli, pietre preziose e oggetti di vetro. In altre la razza caucasica è rappresentata in modo preminente, segno che la presenza indoeuropea era di certo preesistente in questa parte di mondo come ha dimostrato del resto il ritrovamento delle mummie del Tarim. 

Musico uiguro

Insomma non solamente un bel monumento da vedere sotto il punto di vista artistico, ma una testimonianza storica di grande importanza. Ciò detto, le poche grotte visitabili presentano dipinti davvero belli e raffinati. Si dice che i moderni scopritori tedeschi abbiano trovato colori così vivi da crederle opere molto recenti, tanto lo stato di conservazione era ottimale, grazie al clima estremamente secco del deserto circostante. Quando arriviamo sulla spianata antistante le grotte principali, un anziano che staziona davanti ad una di queste, inforca lo strumento a corda di cui dispone e attacca immediatamente Bella ciao, avendo evidentemente subito riconosciuto la nostra nazionalità, da qualche tratto a noi ignoto, ma evidentemente visibilissimo. Bisognerà naturalmente fare un'offerta, che probabilmente comprende anche la chiusura di un'occhio sul divieto di fotografare, che non si sa perché troveremo pressocché dappertutto, ma ovviamente nella maggior parte dei casi assolutamente disatteso. Dalle balconate che si percorrono per passare da un gruppo di grotte all'altro, non puoi tuttavia non rimanere impressionato dalla bellezza del paesaggio. Le rocce dalle sfumature ocra carico emergono da gigantesche dune di sabbia che si stendono fino all'orizzonte, dato che siamo all'estremo nord del deserto del Taklamakan. Cento tonalità diverse si alternano lungo le curve sinuose della sabbia ed è facile supporre quante ancora si muteranno col passar delle ore e con i diversi angoli della luce. 

La valle

Il colpo d'occhio è assolutamente straordinario e così come nel punto delle Flaming mountains di cui vi ho parlato prima, tutto sommato banale e privo di grandi interessi, la folla era strabocchevole, qui dove i colpi d'occhio e la bellezza del luogo sono davvero incomparabilmente più interessanti, non c'è quasi nessuno. Poca gente affronta la pur breve salita sulle scale preparate per risalire la scarpata ed arrivare alle grotte e alla fine te le puoi godere quasi in completa solitudine. Gli strati sedimentati della roccia sconvolti dai sollevamenti avvenuti per la pressione della placca himalayana, emergono diagonalmente spezzati in mille strisce dai contorni acuminati e dai colori che variano continuamente. Una tavolozza spettacolare che puoi goderti da mille punti di vista spostandoti solo di pochi metri. Una carovana di cammelli si avvicina, lasciando nella sabbia le tracce del passaggio ricurvo lungo i fianchi delle dune; pare di essere tornati indietro di mille anni, mentre il loro lento andare verso Turfan segna il ripetersi di abitudini secolari. Chissà cosa porta, uva secca, stoffe, sale o forse più banalmente manufatti di vile plastica per il mercato? Cambiano le cose e il tempo ma non le abitudini evidentemente. In basso il serpentone degli alberi bassi che segnano il corso del fiume, sono una traccia verde scuro a scandire il giallo carico della montagna, uguale da millenni. Intanto le figure nascoste nelle grotte rimangono lì a raccontare le loro storie di devozione, a manifestare il passaggio di eserciti di fedeli, di eserciti in cerca di tesori da razziare e di terre da conquistare per imperi millenari ormai perduti e dimenticati tra le sabbie di questo deserto infinito. 

Una carovana nel Taklamakan


SURVIVAL KIT

Dune

 mountains火焰山huǒyàn shān - Le montagne fiammeggianti sono una catena di rilievi lunghi quasi 100 chilometri, per una larghezza di dieci, che si estendono sul bordo del bacino del Turpan, estensione della catena del Tien Shan, con una altezza media di 500 metri ed un massimo di 800. Alla loro base i resti di laghi salati oggi scomparsi e una depressione al di sotto del livello del mare dove si registrano le più alte temperature della Cina, vicino ai 50°C dell'aria, mentre nella sabbia della superficie si superano facilmente i 70°C, tanto che una delle classiche curiosità che si mostrano ai turisti è la cottura delle uova che vengono messe direttamente a questo scopo a terra e ricoperte di sabbia. Lungo la strada a circa una decina di chilometri dalla periferia della città, sorge il solito parco tematico, di fronte ad un punto panoramico da cui si vede tutto il costone della catena, costituito da circa 9000 mq coperti con museo e curiosità riguardanti le leggende di queste montagne, in particolari quelle legate al famoso romanzo Viaggio in Occidente, uno dei grandi classici della letteratura mitologica cinese del periodo Ming attribuito a Wu Cheng. Se non ne conoscete la trama non potrete apprezzare tutta la serie di statue che troverete ne percorso sotterraneo all'esterno, né le pose estasiate in innumerevoli selfie che la gente si fa davanti ad ognuna. Il sito è gremito di turisti e si rivelerà piuttosto deludente specie durante la giornata, per la luce inadatta e per la gran massa di gente che ci troverete. Meglio, forse, al tramonto per la luce. Ci sono autobus per arrivarci dalla città ogni mezz'ora, direzione Shanshan. Ingresso 60 Y. Bambini e anziani gratis. 

Le grotte

Le grotte di Bezeklik -  Circa 70 grotte rimaste, di dimensioni medio piccole, rettangolari con volte a botte, in cui sono rappresentate anche diverse religioni preesistenti nell'area, al Buddismo, scavate tra il V e il X secolo fino all'arrivo dell'ondata Uygura che ne segnò la decadenza. Poche quelle visitabili. Bellissimo l'ambiente desertico che circonda il canyon che si insinua tra le Flaming mountains. Si trovano proseguendo lungo la strada verso Shanshan a circa 10 km da Gaochang, che si visita successivamente. Molti degli affreschi sono stati staccati dopo il ritrovamento e ora si trova in musei tedeschi. Gli affreschi sono molto importanti dal punto di vista storico, rappresentando i popoli che frequentavano l'area. 

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sabato 26 luglio 2025

Seta 13 - Il museo del Xinjiang di Turfan

Ricostruzione di grotta buddista - Turfan - Cina - giugno 2025


Mummia di Qocho

L'area delle oasi di Turfan, abitata da oltre 20.000 anni, per la sua storia, la sua posizione chiave nella riotta commerciale tra Asia ed Europa, ha determinato l'alternarsi di molte popolazioni diverse che hanno contribuito a lasciarvi tracce notevolissime e grazie al suo clima secco, come ho già detto, conservate in maniera assolutamente perfetta. I ritrovamenti più interessanti, avvenuti in tempi relativamente recenti, arrivano dalle tombe ritrovate nelle varie città abbandonate dei dintorni e comprendono oltre ai ricchi arredi funerari anche i corpi ben conservati degli abitanti delle città stesse, che, proprio grazie al clima ed ai trattamenti a cui venivano sottoposti i corpi, mostrano la loro chiara ascendenza indoeuropea. Si sa che la pruderie ufficiale dei cinesi è piuttosto sentita, per cui anche tutti i corpi esposti sono pudicamente coperti da un velo di stoffa sulle parti intime, così non si manca di rispetto e nessuno si offende. Il museo di Turfan è quello che ne mostra il numero più rilevante e, decisamente questa è la parte più importante delle collezioni esposte, per il resto non ricchissime, prive di spiegazioni in inglese e come di consueto condite di molta retorica governativa. A titolo di esempio, tanto per farvi capire la solfa, la chiosa finale del museo, riporto testualmente, è: "Oggi, tutti i nostri gruppi etnici che abitano questo territorio, come gli Uiguri, gli Han, gli Hui, i Kazaki, i Tujia, i Manchu, i Mongoli, i Tibetani, i Miao, ecc. continuano a sviluppare i loro sforzi al fine di promuovere una grande unità tra tutti i gruppi etnici e la prosperità sociale". 

Dinosauro

Insomma la sagra del volemose bene in salsa confuciana. Comunque sia, le tombe ricostruite con le mummie ed i loro corredi sono davvero pezzi emozionanti che valgono la visita. Una buona parte degli oggetti esposti vengono dall'area della città di Gaochang (o Qocho come la chiamano i cinesi) dove andremo domani e bisogna dire che sono i più interessanti. Bambini, donne e guerrieri giacciono circondati dalle loro cose che mani pietose hanno allineato accanto perché li accompagnassero nel loro ultimo viaggio, testimoni della loro importanza in vita. Ma non è tutto. In un altro piano del museo, c'è anche una importante parte dedicata all'aspetto paleontologico e naturalistico. Non dimentichiamo infatti che in queste zone e nella vicina Mongolia, sono stati scoperti vasti giacimenti di fossili di dinosauri ed in queste sale vengono esposti parecchi scheletri completi di grandi dimensioni, che sono sempre un bel vedere. In ogni caso direi che questo museo, come del resto i suoi omologhi di Urumqi e Kashgar, va visto per comprendere meglio quanto poi si va a ritrovare sul campo, in questo modo l'idea che ci si fa della storia di queste regioni è molto più completa.  Mentre cerchiamo ristoro al bollore, che anche se la sera si avvicina, non accenna a calare, sotto un giardinetto di piante che ombreggiano le panchine adiacenti, uno dei portieri del museo, che sorprendentemente parla un inglese abbastanza fluente, propone un suo  parente per andare fuori città in macchina domattina. 

Uvetta

Il business è sempre in agguato, ma il tipo ci sembra troppo insistente ed appiccicoso per conquistare la nostra fiducia, così ci facciamo lasciare il numero di telefono e ci dirigiamo lesti verso il nostro albergo, anche per tirare un po' il fiato. Rimane il tempo per curiosare un poco nei vari negozi attorno all'albergo. Come ho detto e come puntualmente riportato anche da Marco Polo, questa è l'area più importante della intera Cina per la produzione della frutta secca ed in particolare dell'uvetta che noi chiamiamo sultanina. Proprio a fianco ce n'è un negozio fornitissimo, nel senso che su una serie infinita di scaffalature c'è una esposizione di decine e decine di varietà, di dimensioni, prezzi ed evidentemente qualità diversissime. La maggior parte sono costituite da acini di dimensioni assolutamente enormi rispetto a quelle a cui siamo abituati e scegliere non è decisamente facile. Alla fine, c'è un solo modo per uscire dai dubbi, assaggiare di tutto, visto che pare sia concesso e la commessa anzi, inciti a farlo. Alla fine a forza di piluccare, le mangiamo mezzo negozio, poi paletta in mano, scegliamo quello che ci sembra il meglio facendo un mix di varietà col dispiacere, scegliendone alcuni, di rinunciare agli altri, sicuramente migliori. Mi sembra di essere come quei bimbi che, nei negozi americani di caramelle, che ne espongono centinaia di tipi diversi, si aggirano di qua e di là, guardandosi attorno incapaci di scegliere. 

Alla fine non è che possiamo partire, portandoci a casa una valigiata piena di uvetta. Est modus in rebus direbbero i latini. E poi bisogna lasciar lì anche le giuggiole e le pesche e le albicocche e tante altre cose nemmeno bene identificabili in questa specie di giardino dei balocchi. All'ultimo vedo anche noci grosse come una mano, ma ormai è tardi, i cartocci sono stati fatti e il conto pagato, indietro non si torna. Usciamo confusi e provati dalla quantità "assaggiata" e ci spostiamo nel vicino ristorante di cui ormai, alla seconda presenza, siamo diventati clienti fissi. Il padrone ci riconosce subito da lontano e ci invita ad entrare. Comincia subito la pantomima della scelta dei piatti col traduttore che scannerizza il menù all'opera. Questa sera sembra che non sbagliamo un piatto, dal maiale brasato, davvero buonissimo, al manzo in umido, ad un bel piattone di noodles fatti a mano coi gamberi, alle uova e pomodoro. davvero ci abbiamo azzeccato e va giù tutto con gusto. Ma il coronamento della serata è stata un'ottima bottiglia di vino nero di Turfan che al costo di circa 10 €, ci consola della fatica fatta nella giornata. Devo dire che, anche se mi avevano parlato assai bene dei vini prodotti in zona,  non mi aspettavo un prodotto con una così bella personalità, un bouquet ricco e una corposità importante, con una esplosione di profumi e sentori finali assolutamente convincente. Vorrei dire che se continuano su questa strada, e direi che non è moltissimo che la Cina si è buttata in questo settore, rischiamo di perdere altri punti in un campo per noi vitale, visto che nel resto non ci è rimasto molto. Comunque diciamo pure che la bottiglia è andata giù velocemente e non ci è rimasto che andare a riporre le stanche ossa, per prepararci ad altri ancora più spossanti impegni che subentreranno nei prossimi giorni.

Noci

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giovedì 24 luglio 2025

Seta 12 - Le rovine di Joaohe

Museo a Jiaohe - Turfan - Cina - Giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Interno essiccatoio

La colazione al Metropolo è di stampo decisamente diverso e si distingue anche da tutte quelle alla cinese che faremo nel prosieguo del viaggio. Qui c'è anche una scelta all'occidentale, con succhi di frutta, toast, marmellatine e così via. Facciamo quindi il pieno per prepararci al meglio per il resto della giornata e poi ci mettiamo in moto per vedere i dintorni di Turfan o meglio la costellazione di luoghi che formavano la gigantesca oasi della depressione del Tarim, punto focale dei commerci, già nei primi secoli dopo Cristo. Ad una quindicina di km dalla città eccoci ad una delle meraviglie della zona, la città morta di Jiaohe (detta anche Yar nella sua lunga storia che risale a 2500 anni fa), una sorta di Pompei asiatica, molto ben conservata e certamente la più grande città di terra rimasta in questo stato, al mondo. Intanto qui abbiamo subito modo di capire qual è il modo di intendere questi luoghi, da parte del sentire cinese. Infatti se c'è un luogo di grande interesse storico e artistico, il governo, prevedendone comunque un afflusso molto consistente di visitatori, presente o di certo futuro, essendo il turismo interno un settore molto ben visto evidentemente, come costruttore di PIL e di affari per tutti, ci si costruisce attorno tutto un sistema di attrazioni, tipo parco tematico, che sviluppi il business, aumentando i posti di lavoro ad oltranza, per lo sviluppo e la massima valorizzazione del sito e che comunque disperda in più punti di interesse la massa in visita. 

Le montagne del Tien shan

Per noi può essere anche fastidioso o sgradevole o semplicemente pacchiamo, ma è un modo di interpretare la situazione che comunque, volenti o nolenti, deve tenere conto di un paese che può facilmente  generare un afflusso annuale di milioni di persone, che va comunque in qualche modo gestito. Ecco infatti che anche qui, ben prima del sito delle rovine della città, ti trovi di fronte ad una serie di costruzioni con una serie di servizi al turista, esposizioni varie di molti dei ritrovamenti fatti nel sito, antiche statue e via discorrendo ed un villaggio tradizionale uiguro dell'800, le cui abitazioni sono state completamente restaurate e che funge da museo delle tradizioni, dove puoi vedere la tecnica costruttiva delle case in mattone crudo, degli antichi mestieri e di tutto quanto riguardava la vita nell'oasi, a tratti con espressioni un po' naif, ma comunque ben presentate e godibili. Non è ben chiaro che fine abbiano fatto i pochi abitanti rimasti, forse convinti "in buone maniere" e per loro grande vantaggio a spostarsi in qualche falansterio cittadino. Puoi vedere tutti gli interni delle case e degli essiccatoi dove si capisce bene la tecnica usata per l'essiccazione della famosa uvetta, vera ricchezza di tutta l'oasi, assieme alle varie botteghe artigiane. Di certo questo ne fa un interessante museo a cielo aperto dove puoi vedere anche gli interni delle case, cosa non possibile nell'altro villaggio di Tuyuk, che vedremo domani, ancora parzialmente abitato. 

Le grotte di Yarghol

Successivamente un apposito carrellino elettrico ti porta fino alle porte della città vera e propria, non prima di aver costeggiato il lago artificiale formato dallo sbarramento del fiumiciattolo che alimentava la città. Nelle pareti a strapiombo che l'erosione aveva formato nei millenni, ecco il primo esempio di grotte contenenti templi e statue buddiste, una vera e propria via delle grotte questa, che percorre lo stesso itinerario della via della seta, formatasi nella prima metà del primo millenni dopo Cristo, epoca in cui il buddismo penetrò attraverso l'Asia centrale in Cina sostituendo le religioni tradizionali. Si tratta delle caverne di Yarghol, circa una ventina, scavate attorno al 400 d. C. e che fungevano da tempio per gli abitanti della vicina città. Guadando il fiume attraverso passerelle di sassi, ne sono visitabili solo alcune che presentano belle statue di Budda con le volte affrescate anche se piuttosto rovinate. Non illudetevi, naturalmente si raggiungono solo tramite lunghe e faticose scalinate di legno che consentono di risalire la scarpata. L'ascesa verso la liberazione deve anche essere sofferenza, se no dove sta il merito. Qui aiuta anche il fatto che in media la temperatura è sui 40°C o più, quindi preparatevi. Il popolo cinese è decisamente preparato a questo e, specialmente le donne, arriva in questi luoghi ben preparato, bardato e ricoperto di tutto punto addirittura in maschere e guanti oltre ai classici cappelloni enormi, per avere la certezza di non far rimanere alcun tratto, se pur minuscolo di epidermide al sole, al fine di evitare la tenutissima abbronzatura. 

L'interno della grotta

Noi  invece ci scopriamo il più possibile per respirare ed alla fine aver più caldo ancora. Certamente il sito è straordinario e si vede spesso utilizzato come set in molti film storici cinesi, grazie allo stato di conservazione della città che era piuttosto grande e posizionata ad occupare interamente un isola di roccia tenera e terra, in mezzo al fiume, che ne ha consentito la facile costruzione a mezzo di scavi, la cosiddetta tecnica sottrattiva e la parallela erezione di muri di mattone crudo per completarla. Il clima particolarmente secco, ha poi contribuito a conservarla nel tempo, evitando le erosioni dovute alle precipitazioni quasi assenti, anche se il vento, che soffia forte smerigliando le superfici con la sabbia del deserto, continua a levigarne le  superfici a poco a poco. Anche la sua posizione difensiva è stata agevolata dalla presenza del fiume che ne ha evitato conquiste e successive distruzioni riparandola  dagli assalti degli eserciti nemici. Certamente il colpo d'occhio della città in rovina che popola l'isola è davvero pieno di fascino. Sotto il sole a picco, percorri le strade deserte costeggiate da muri sbrecciati e cadenti, aggiri gruppi di case che bene hanno resistito al tempo ed altri che invece presentano solo più tratti smozzicati e rosi dal vento fino al grande tempio centrale con la fila di stupa, un centinaio, perfettamente  allineati. 

La città di Jiaohe

Sarà il caldo, ma i visitatori che si avventurano, arrancando sulla spianata, sono sorprendentemente pochi e si guardano da lontano, quasi tenendosi a distanza di sicurezza in tempo di epidemie, visto anche l'uso comune di mascherine. Intanto la temperatura sembra crescere ad ogni passo, Cerchi invano ombre che non esistono, la terra con cui sono fatti le adobe dei muri, sembra screpolarsi ad ogni minuto che passa; sei su un pianeta alieno che ti respinge, eppure qui ha vissuto gente per millenni senza lamentarsi troppo. Poi ai margini della via tra le rovine, un miraggio, una tenda bianca con qualche panca al coperto. E' un chiosco dove un vecchietto amabile fa dei frullati di anguria, all'apparenza deliziosi. E lo sono ve lo assicuro, tanto che si fa il bis, mentre i più accaniti continuano ad aggirarsi tra le rovine, che sono effettivamente straordinarie, ma bisogna pur fare una pausa di tanto in tanto, se no si schiatta. Qui intanto posso comunicare con qualche ragazza cinese, stupitissime come al solito che giriamo senza guide locali e che per combinazione partono il giorno dopo per Tbilisi, guarda un po', per cui riusciamo anche a dare loro utili informazioni. Caso raro parlano un inglese perfetto, visto che hanno studiato a Londra e lavorano per una banca internazionale. Ristorati, riprendiamo la via che ci riporta all'ingresso che raggiungiamo a fatica per ritornare in città e andare finalmente un po' sottoterra per trovare un minimo di frescura in opposizione al caldo opprimente. La risposta è infatti il museo Kaner'jing, dove viene illustrato il sistema dei Karez, l'ingegnoso metodo di irrigazione che ha consentito lo sviluppo dell'agricoltura e la vita nell'oasi di Turfan. 

Il Karez

La prima curiosità che ti viene è come mai si sia sviluppata una civiltà così florida, base per millenni del commercio mondiale in un luogo così arido ed inospitale. In realtà l'acqua non è così lontana, basta arrivare ai ghiacciai perenni delle montagne del Tienshan, che sono abbastanza vicine perché l'ingegno umano riesca a sfruttarle. Infatti i Karez (come i Qanat studiati nel deserto iraniano) sono un ingegnoso sistema di pozzi profondi fino a cento metri che intercettano le falde acquifere profonde delle montagne e le incanalano in condotti sotterranei fino alla depressione del Tarim, con una enorme ed intricatissima rete lunga oltre 5000 km, inframmezzata di bacini di accumulo, che contribuiscono a formare un sistema di irrigazione unico al mondo, mantenuto con cura per oltre duemila anni e che ancora oggi funziona per alimentare i fabbisogni di oltre un terzo della moderna città e del suo sistema agricolo circostante. Qualcuno ha chiamato questa opera monumentale la Grande Muraglia sotterranea ed evidentemente il paragone non è peregrino, viste le dimensioni ed il lavoro necessario a costruirlo e a manutenerlo. I cinesi, come naturale, se ne attribuiscono interamente il merito anche se nella realtà, questa tecnica è più squisitamente centro asiatica e propria dei popoli dei grandi deserti iranici. Il museo dei Karez racconta questa storia e consente di calarsi in uno di questi pozzi e negli adiacenti canali, vedendone le tecniche costruttive e il sistema idrogeologico completo che ne ha consentito lo sviluppo. Ben presentato assieme alla parte folkloristica e etnografica consente di capire le varie tecniche di costruzione, patrimonio di una casta di stimatissimi artigiani che dedicavano la loro vita a questa missione. Insomma tanta roba in questa Turfan direi, ma non è certo finita qui, anzi mi sembra che il meglio debba ancora arrivare.

La torre

SURVIVAL KIT

Rovine della città

Antica città di Jiaohe - Rovine dell'antica città carovaniera di oltre 2 millenni a circa 15 km da Turfan. Popolata da etnie caucasiche indoeuropee Cheshi, come si rileva dai ritrovamenti nelle necropoli, conquistata dagli Han attorno al I sec. a.C., poi ripresa in periodo Tang. fu abbandonata attorno al 1400. Sorge su un'isola in mezzo al fiume lunga 1.600 metri, larga 300. Rimane larga parte delle rovine della città, con un grande tempio al centro ed un altro edificio a torre sul promontorio. Almeno un paio d'ore per la visita, fa molto caldo, portatevi acqua per un tragitto di circa 3 km. Cercate di andarci o al mattino presto o al tramonto. Mi sembra che all'interno sia previsto anche uno spettacolo suono e luci. Da vedere anche le grotte buddiste di Yarghol sul fiume e il villaggio uyguro del 1800, museo folcloristico, con biglietto a parte. Over 65 sempre gratis. 

Museo dei Karez  - Kane'rjing - Nel villaggio di Ximen a 6 km dal centro. Museo che illustra il sistema di irrigazione dei Karez, con tutta la parte etnografica e folklorica oltre che alle spiegazioni idrogeologiche e ingegneristiche. All'interno si può visitare uno dei Karez che alimentavano l'oasi. Almeno un'oretta.

Rovine

Jiaohe
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martedì 22 luglio 2025

Seta 11 - A Turfan

Il palazzo del prefetto - Turfan - Cina - giugno 2025 (foto T. Sofi)
 

La mansion del prefetto
Oggi dobbiamo spostarci a Turfan, che dista solo 150 km da Urumqi, quindi ce la prendiamo comoda visto che il treno parte quasi a mezzogiorno e dopo la solita triste colazione cinese di cui mi faccio bastare un uovo sodo, visto che la fetta di anguria oggi non è prevista, ci si mette in  marcia con calma, dato che abbiamo visto che nelle stazioni è abbastanza facile orientarsi e che, anche se i controlli sono molti, in poco più di una mezzoretta eccoci al nostro binario, in attesa che il vagone dove ci sono i nostri posti si fermi davanti a noi. Questo non è uno dei treni più moderni e visto che deve essere anche piuttosto economico, è decisamente affollato, infatti facciamo fatica a sistemare i valigioni, tra i sedili piuttosto strettini, anche se tutti si attivano per dare una mano agli stranieri; comunque due ore passano in fretta e con la solita puntualità si arriva a Turfan nord (o Turpan che sia), al minuto previsto. La stazione nuovissima come al solito, sembra una cattedrale in mezzo al deserto, o una astronave appena calata nel nulla e qui siamo effettivamente in mezzo al deserto, visto che questa era una delle principali oasi situate sulla via della seta. Siamo nel pieno della depressione del bacino del Tarim, ai margini del deserto di Lop nor, che è la parte settentrionale del Taklamakan. 

una camera

Questa regione ha sempre fatto parte della serie di regni ed imperi turcheschi che si sovrapponevano l'uno sull'altro, nell'Asia centrale, con una serie di lotte continue, i Cinesi sono arrivati solo successivamente in epoca Tang, trovandovi culture già raffinatissime, spazzate poi via dalle ondate mongole che ne hanno quasi cancellato le etnie originali. In questo bacino infatti si erano sviluppati i regni dei Tocari, popoli caucasici, con lingue strettamente imparentate alle nostre, come si è scoperto nell'800 ritrovando le ricche tombe con le cosiddette mummie del Tarim, dai tratti inconfondibilmente indoeuropei. E' quello che trovò anche Marco Polo nel suo viaggio che descrive questa città, che allora veniva chiamata Campichon e della quale racconta le usanze religiose, ricordando la presenza di cristiani e la maggioranza musulmana e la famosa produzione di vino. L'aria caldissima che ci avvolge come un sudario appena usciti dalla stazione ci ricorda che siamo in pieno deserto, che i gradi sono più di 40, saranno pure secchi ma si sentono tutti, e che la città vera è piuttosto distante, quasi una ventina di minuti in macchina, mentre il territorio circostante, una spianata infinita di terra giallastra ti dà l'impressione di essere atterrato sul pianeta di Tataouine, detto per gli amanti di Star wars! 

Il complesso

Comunque arriviamo in centro città dove questa volta ci siamo permessi addirittura un quattro stelle decisamente bello, dove comunque impiegano un'oretta per la registrazione dei passaporti, operazione sempre complessa visto che evidentemente di stranieri se ne vedono pochi. Mangiamo un boccone nel ristorante a fianco prima di buttarci nelle visite, che mica abbiamo tempo da perdere. Il pomeriggio è davvero bollente, il sole picchia feroce, chissà se il nostro Marco è arrivato proprio qui ai margini del "gran diserto del sabion", come lo chiamava lui, che tanto spaventava le carovane che si avventuravano da queste parti, eppure credo che a quei tempi, questa zona fosse piuttosto affollata di viaggiatori, visto che la cosiddetta pax mongolica l'aveva resa sicura e percorribile in ogni senso, pur di avere in bisaccia i famosi lasciapassare del gran khan, in foglia d'oro. Beh oggi, hanno tolto pure il visto e quindi possiamo scorrazzare per tutto il Xinjiang a nostro piacimento e senza che nessuno ci dica niente. Ci dirigiamo quindi verso il complesso di Emin, non lontano dal centro, ma che sembra già decisamente fuori città, disposto com'è tra i vigneti che lo circondano in ogni direzione. Si tratta di un grande complesso che comprende diversi punti di interesse, anche se piuttosto recente nella sua costruzione. 

La moschea

Subito all'ingresso il palazzo del prefetto Emin Hoja, ti consente la visione di una casa architettonicamente impostata secondo le tradizioni aristocratiche uigure all'inizio del 1700, epoca in cui questo capo uiguro sconfisse in una sanguinosa guerra, l'esercito del khanato degli Zungari che dominava l'area, sottomettendosi successivamente alla nascente dinastia cinese dei Qing, che gli lasciò mano libera anche dal punto di vista religioso, così come alle altre tribù via via sottomesse, arrivando quasi fino a Taskent. Il palazzo è di grandi dimensioni e costituito da cortili successivi, con una serie di scale che collegano terrazze ed ambienti in legno riccamente addobbati, con tappeti e oggetti d'epoca, molti dei quali esposti in una galleria sotterranea in vetrine bene illuminate. Le camere da letto mostrano bene l'agiatezza in cui viveva il nostro prefetto. Tutto il palazzo è poi circondato da un muro in terra con una monumentale porta decorata secondo gli schemi dell'epoca. Ma il pezzo forte è costituito dalla moschea che sorge al di là del larghissimo piazzale a cui si accede tramite un ampia scalinata e soprattutto lo straordinario minareto, un imponente cono in mattone crudo, secondo lo stile costruttivo della zona alto ben 44 metri, largo alla base 14, il più grande della Cina e di tutto il Turkestan, costruito nel 1777 dal figlio di Hoja, in suo onore. 

Il minareto

Attraverso coraggiosamente la spianata deserta col sole che picchia feroce sulla testa. Non c'è nessuno  in giro e lo credo bene, con questo caldo solo i turisti più incarogniti insistono a salire i gradoni gialli, dove ogni passo è sofferenza. Per fortuna, le ragioni di sicurezza hanno vietato la salita alla cima del minareto stesso, date le scale malferme di legno tarlato, trappole mortali per chi già ne avrebbe poca voglia, ma che forse si sentirebbe quasi obbligato all'ascesa, visto che siamo arrivati fin qui e poi da lassù, sai che vista. Comunque sia, l'oggetto è veramente mirabile, con la trina ornamentale costruita lungo tutti i fianchi dalle sporgenze dei mattoni stessi, elegantemente disposi fino a formare una serie di disegni geometrici complessi e perfetti, alternando piccoli rombi a fiori stilizzati, che si trovano solo nell'area cinese, per tutto il corpo della costruzione, a formare una sorta di nido d'ape che crea un magnifico effetto di vuoti e di pieni, poi la serie di fasce a minuscoli archetti che girano attorno alla struttura che si rastrema via via verso l'alto fino a terminare in una tonda cupoletta sormontata dall'aculeo puntato verso il cielo. Una serie di sottili finestre illuminano la scala interna. Un capolavoro di questa cultura centroasiatica, che è riuscito a mescolare gli elementi della tradizione islamica a quelli più squisitamente uiguri locali, che domina severa tutta la pianura circostante. 

Il cimitero

La grande moschea che gli sta alle spalle mostra anch'essa una struttura complessa fatta di muri spessi e di sale successive che si rivelano sorprendentemente fresche ed arieggiate. La grandissima sala di preghiera è sostenuta da sottili colonnine in legno e travi sotto un soffitto a graticcio, che scandiscono gli spazi disegnati dal tappeto sottostante. Sul fondo, a fianco della nicchia rivolta verso la Mecca, un Minbar, di piccole dimensioni, opera in legno di mirabile fattura. Credo che anche questa struttura, con la scusa di essere trasformata in museo, sia stata tolta definitivamente al culto, tanto per non correre rischi. Capirete, la storia dell'armonia tra i popoli, ecc. Ma ancora una sorpresa ti attende girando intorno a queste due costruzioni, un grande spazio dedicato al cimitero islamico che ospita le tombe dei maggiorenti di quel periodo. La serie dei tumuli ordinati di terra gialla, inframmezzati da un paio di piccoli mausolei che contengono evidentemente le tombe più importanti, danno al sito un senso di solenne grandezza, così come sono ordinatamente disposte sulla scarpata, mentre alle spalle il muraglione della moschea ne segna il confine col regno dei viventi e soprattutto il grande minareto che alle spalle di tutto sorveglia completamente tutta l'area come un buon padre benedicente. Tutto il sito è gravido di un'aura di composta quiete, quasi volesse garantire a chi riposa lì, la tranquillità dei giusti. 

Le vigne

Lasciamo il posto lentamente, sfilando lungo i muri in cerca delle ombre più corte, passando tra le pergole dei giardinetti, con un senso generale di stordita compunzione o forse si tratta solamente dell'essere tramortiti dal caldo. Siamo in una parte dell'oasi che ti fa pensare di essere in aperta campagna, infatti lasciato il complesso siamo in mezzo alle vigne che si stendono a perdita d'occhio. Sono quasi tutte allevate a pergole basse da cui pendono enormi grappoli in via di maturazione o a spalliere piuttosto alte con abbondanti spazi tra i filari. Sono varietà di uva particolare, adatte soprattutto alla produzione di uva secca che, già citata da Marco, domina i mercati della città e viene esportata in tutto il mondo. Inoltre sono famosi i vini prodotti nella zona, pare i migliori in assoluto della Cina. Lontano nel verde puoi scorgere la cima del minareto che si erge come un faro lontano porto sicuro tra il mare di grappoli. Tra le vigne compaiono case allineate, una sorta di paese che altro non è che uno dei tanti quartieri di Turfan, composta proprio da molti di questi agglomerati lungo la parte più umida della grande oasi. La struttura delle case è caratteristica, si tratta di edifici agricoli attorno a grandi cortili di cui, la parte principale è sormontata sa un'alta costruzione, con le pareti di mattoni alternati a fori in diagonale che costituiscono i famosi essiccatoi per le uve che vengono disposte all'interno, ventilatissimo, su lunghi bastoni verticali che dispongono di pioli sui quali si appendono gli enormi grappoli. 

Portone

Davanti ai bei portoni in legno dipinto, le donne siedono intente ai lavori di cernita e selezione delle varia frutta secca a disposizione, a partire dalle giuggiole che sembrano essere in piena stagione o ai tanti altri lavori che impone l'agricoltura locale. Tutti si mostrano molto gentili, invitandoti spesso ad entrare nei cortili a curiosare intorno. In un cortile un gruppo di donne sta estraendo da un forno contadino una serie di pagnotte bollenti, allineandole ordinatamente su lunghi assi a raffreddare. Ovviamente la più anziana con un largo sorriso ce ne regala subito uno. Impossibile rifiutare e come ovvio ci appare subito buonissimo, con la sua crosta spessa e croccante che cela una mollica soffice e bollente. Forse l'avessimo comprato dal nostro panettiere di città, l'avremmo trovato duro e poco digeribile, ma tanto fa l'effetto psicologico e vi assicuro che raramente ne ho mangiato di così buono. Un po' più avanti, in centro al paese, ecco quello che rimane dell'antica moschea di Kangka, che il nostro Luca ricordava un decennio fa ancora popolata di uomini in preghiera. Oggi eccola con i portali sbarrati da tempo, i lucchetti quasi arrugginiti e la terra che il vento ha spinto contro le fessure che quasi li hanno sigillati per sempre. Anche questo è un edificio, che evidentemente non avendo neppure l'importanza per una soluzione museale, è destinato all'oblio definitivo. 

La moschea abbandonata di Kangka

Sul bel portale che occupa quasi tutta la facciata scandita da quattro sottili colonne minareto, i disegni a fiori sembrano appassire; le costolature eleganti che ornano gli spigoli, salgono fino alla cupola seminascosta. Guardi tra le fessure per indovinare l'interno, ma ti risponde solo il silenzio, mentre attorno, gruppetti di ragazzini giocano, calciando furiosamente una palla impolverata che rimbalza male su quello che potrebbe essere il sagrato di una nostra chiesetta di un paese in via di abbandono. Proseguiamo fino a raggiungere la strada principale che riporta in centro, di qui la parte rurale dell'oasi che ti dà il senso di un paese senza tempo, al di la, lontano, lo skyline dei grattacieli di nuova costruzione, l'oasi moderna. che non si interessa più all'uva secca o al pane appena cotto, ma che scambia le power bank e viaggia coi telefonini appiccicati all'orecchio. In mezzo sulle case antiche gli essiccatoi ancora vuoti, che aspettano forse ancora per poco le uve dolcissime dai lunghi acini profumati. Ci fermiamo a quello che sembra l'ultimo bar del paese, ma in realtà è una specie di ristorantino che serve solo zuppe. Capito che volevamo bere, ci accompagna subito dall'altra parte della strada, dal suo concorrente che vende le Pepsi. Chiamiamo un Didi per tornare in albergo, prima compriamo un po' di frutta, tanto  per mettere sotto i denti qualche cosa, anche se è un po' scomoda da mangiare. Niente paura, i gentilissimi addetti dell'albergo, provvedono a tagliarcela a pezzi e a farcela avere in camera. Cosa chiede di più, è piacevole viaggiare in Cina.

Essiccatoi e muri in mattone crudo

SURVIVAL KIT

Uve

Treno Urumqi - Turfan bei - T9526 - 11:42 - 13:40 - € 2,93

Hotel Metropolo Jin JiangNo.391 Middle Lvzhou Road, Gaochang District, Turfan - 4 stelle - bello, personale gentilissimo, camere grandi, doppio  letti king, bagno grande con ottima dotazione. TV enorme, AC, free Wifi in camera. Pulito. 36 €  con colazione ottima, anche occidentale con toast e dolci, tè e caffè. Consigliatissimo.

Oasi di Turfan (o Turpan) - La città, di 250.000 abitanti, dove la cultura Uigura è stata meglio conservata, è costituita da diversi centri sparsi lungo le oasi della depressione. Ci sono molte cose da vedere per cui consiglierei di soggiornavi almeno tre notti. Spostamenti in taxi con Didi. Ci sono anche mezzi pubblici ma i tempi si dilatano. Da vedere: il complesso di Emin, con moschea (dismessa), minareto, cimitero e la Mansion del prefetto della città Emin Ohja, a circa un paio di km dal centro. Il villaggio adiacente, con le case degli agricoltori, gli essiccatoi dell'uva ed i vigneti che lo circondano e la piccola moschea abbandonata. Il museo dei pozzi sotterranei (karez) di Kan'erjing, la città morta di Jiahoe e il museo di Turfan. Fuori città, nella medesima direzione (conviene prendere un'auto per tutto il giro) l'area delle Montagne fiammeggianti, il complesso dei 1000 Budda di Bezeklik, il villaggio tradizionale uiguro di Tuyok e le rovine della città di Gaochang.

Pani

Lavorazione uvetta
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