giovedì 27 novembre 2025

Seta 60 - A Ulan Bator

La piazza centrale - Ulan Bator - Mongolia - giugno 2025 (foto T. Sofi)

Leggevo in un libro di viaggi: - Lo sguardo cerca punti di riferimento sul terreno. Non una strada, una pista, un sentiero, un fabbricato, una casa, tutto sembra vuoto: colline brulle, ondulazioni sinuose, corrugamenti appena accentuati, poi d'improvviso è un fiume scintillante, una strada dritta, un susseguirsi di edifici. È Ulan Bator la capitale -. Direi che non potrei descrivere meglio la sensazione che si ha, arrivando in questa grande città, che vi ricordo, ospita la metà della popolazione di un paese dalle dimensioni immense e già questa è una caratteristica così peculiare da rappresentarne la stranezza. Per la verità Ulan Bator è costituita da un nucleo centrale abbastanza piccolo, eretto in stile prettamente sovietico, una serie di abitati all'intorno piuttosto primitivi e malandati, ad esclusone di alcuni quartieri nuovissimi e poi da una sconfinata periferia fatta soprattutto di baracche e di gher, nella quale si ammucchiano tutti gli inurbati che, attirati dalla sua modernità, soluzione abbastanza semplice ed alla portata di ogni pastore che si rispetti, mal che vada si può sempre smontare tutto e tornare ai pascoli montani. Pensano di venire qui in cerca di opportunità e di una vita migliore da quella dei nomadi delle steppe. Ovviamente questa è una città di grandi contrasti tra cui si annovererebbe una popolazione di almeno 30.000 homeless che vivono sottoterra negli impianti fognari. 

Per il resto è una città che cerca di trovare il suo spazio nel mondo moderno, attraversata dalla ferrovia transmongolica che va diritta da nord a sud, dalla russa Ulan Udé, dove si congiunge con la Transiberiana, della quale costituisce uno dei rami meridionali e dall'altra arriva al confine cinese a Erenhot, la città dalla quale siamo entrati noi nel paese. Non si può certamente definire come una bella capitale, visto che è costituita per lo più da edifici anonimi dell'ultimo secolo e sappiamo che l'architettura sovietica non è certo nota per la sua grazia, tuttavia c'è sicuramente qualche interessante punto da visitare ed in ogni caso è sempre il luogo che definisce l'attuale anima e l'identità della Mongolia moderna. Non è una città molto antica, infatti la capitale è stata spostata diverse volte prima di stabilirsi in questo punto centrale del paese e ha cambiato diverse volte il nome, da Örgöö all'inizio del 1700, poi Ikh Kuree successivamente. Divenne poi nota fino al 1924 come Urga o Kuren. Infine appena fu nominata come nuova capitale della Repubblica Popolare creatasi dopo la rivoluzione, assunse il nome di Ulaan Baatar, cioè Eroe rosso, epiteto con cui veniva identificato il generale rivoluzionario  Damdin Sùchbaatar, morto qualche anno prima in circostanze misteriose e la cui statua fa bella mostra di sé nella piazza centrale della città, dove stava vicino alla statua di Lenin abbattuta prontamente alla caduta dell'Impero Sovietico. 

Ovviamente venendo in Mongolia non si può prescindere dal passare qui, vuoi perché in ogni caso è questo il centro pulsante del paese, e poi perché qui c'è l'aeroporto  internazionale per tornartene a casa. Un'altra caratteristica della città è che si tratta della capitale con la più bassa temperatura media dell'anno, -1,3°C, con minime medie a gennaio di -25°C e di +20°C nelle brevi estati, anche se è stata raggiunta una minima di -49°C e una massima di 38,6°C. Quindi il terreno è costituito da un permafrost ghiacciato già a piccola profondità, cosa che provoca grossi problemi statici nelle costruzioni dei moderni edifici di grandi dimensioni. Diciamo che solo le gher appunto, possono essere erette tranquillamente. Noi usciamo abbastanza presto, ma ci accorgiamo subito che qui la gente si sveglia tardi e di conseguenza tardi aprono i negozi. Riusciamo a fare una specie di colazione in un CU, catena coreana tipo 7eleven,  aperta 24 ore, qui la presenza dei Coreani è molto forte, poi andiamo a vedere il grande monastero di Gandan detto anche della Felicità perfetta. Al gruppo di templi, circondato da un muro, si accede traversando un quartiere di casupole modeste, fuori dal centro. All'interno si aggirano parecchi monaci, sembra che ne ospiti circa 400, ma anche diversi gruppetti di turisti, soprattutto Coreani, come ho detto. 

Gli edifici in classico stile tibetano, sono in massima parte templi dedicati ai diversi aspetti del buddismo tantrico. Uno è stato trasformato in una specie di museo che contiene molti oggetti antichi, bellissime tankhe e la biblioteca. Qui c'è un anziano monaco, sembra molto soddisfatto della nostra visita e ci accompagna nel giro, tentando di spiegarci qualcosa, ma in tibetano stretto o mongolo, che a questo punto per noi è un po' la stessa cosa. Davanti ad un altare c'è un certo numero delle classiche sciarpe di garzina bianca di benvenuto, che la Lina mostra di apprezzare e allora il monaco ne prende subito  una e gliela mette al collo con un grande sorriso. Usciamo più sereni di quando siamo entrati, forse essendo stati anche benedetti, che male non fa e passiamo al grande edificio bianco che racchiude la famosa statua dell'Avalokiteshvara, detta in mongolo Megjid Jianraiseg, il dio che guarda ovunque, uno statuone alto quasi trenta metri che occupa tutti i tre piani del tempio, di rame e acciaio, ricoperta di fregi di oro e di argento e almeno 2000 pietre preziose, ricostruita una trentina di anni fa e consacrata dal Dalai Lama in persona, per rimpiazzare quella portata via dai sovietici nel '37. Si dice che all'interno della statua siano racchiuse preziosissime reliquie e centinaia di libri sacri, cosa he aumenta notevolmente il potere apotropaico della statua stessa.

La squadra dei lottatori

Giro in senso orario attorno alla statua e rimango a lungo ad ammirare le meravigliose tankhe appese ai muri laterali. Bisogna dire che l'interno dei templi di religione buddista tibetana sono sempre straordinari per il rutilare dei colori, delle stoffe, dei dipinti e delle statue che li riempiono con una sorta di horror vacui che non lascia spazi liberi. Anche gli altari sono pieni di offerte di fiori e di frutta, nonché dalle tante sculture di burro colorate. Mentre ammiro tutto questo, ecco che entra un gruppo di colossi dalla muscolatura imponente. Dai loghi e dalle scritte delle magliette si indovina che si tratta della squadra nazionale coreana di lotta mongola, che è qui evidentemente per un importante campionato continentale. E' seguita dai fan e dalle telecamere di una stazione televisiva coreana che sta girando un documentario. I campioni rendono omaggio alla statua alla quale fanno devozioni evidentemente scaramantiche in vista delle gare e vengono filmati abbondantemente nei loro atti di preghiera. Ovviamente mi intrufolo e vado subito ad omaggiare il campione assoluto che mi viene indicato da un suo fan che lo sta a guardare con occhi adoranti. Mi complimento con lui, ma sono immediatamente adocchiato dalla Tv, e vengo quindi intervistato come ghiotta preda occidentale. 

Come è giusto mi spaccio per grande appassionato di questo sport, di cui mi sono ignote anche le più semplici regole, ma faccio i migliori auguri al campione ed a tutta la squadra, che mi saluta all'unisono con grande calore. Probabilmente non  capita tutti i giorni di avere un grande fan italiano che li segue. Poi ci aggiriamo un po' fuori nel grande giardino all'inseguimento di monaci che vanno alle varie sedute di meditazione, alcune delle quali si svolgono in un tempietto un po' separato, dedicato al guerriero Ghesar Khrom, dove si possono comprare anche benedizioni o erbe miracolose. Magari non lo sapete, ma il suddetto re guerriero, figura mitica del Bhutan e interprete del loro poema epico nazionale, non rappresenta altro che una storpiatura del nome di Cesare di Roma, ritenuto evidentemente il più grande condottiero  mai esistito e la cui fama era giunta fino alle più remote vallate himalayane attorno al V secolo. Per chi fosse curioso, vi do una chicca, infatti una tankha dedicata a questo personaggio divinizzato, è conservata anche al MAO di Torino, dove potrete ammirarla nella sala dedicata all'arte tibetana. Strani incontri si fanno girando per il mondo, non è vero? Usciamo di lì sazi di dedizione religiosa e ci dirigiamo verso i centro attraverso un quartiere piuttosto vivace con case zariste e sovietiche rimesse a posto, molte delle quali ospitano bei locali moderni all'occidentale. 

Nella piazza principale si aggirano gruppetti di turisti, molti dei quali locali, almeno dall'apparenza, tutti bardati in vesti tradizionali, i pesanti cappottoni mongoli con le bordure di pelliccia ed i cappelli adeguati coi pennacchi, donne comprese, che si fotografano l'un l'altro per l'occasione davanti al parlamento e alla grande statua di Gengis Khan seduto sul trono che domina la immensa scalinata anteriore, che con uno sguardo pacioso ricorda a tutti di essere stato il più grande di tutti. In fondo alla piazza, oltre il giardino campeggia il grande monumento equestre dedicato proprio a Damdin Sùchbaatar, che ha dato il nome alla città. La sua posizione, davanti al cosiddetto grattacielo a lenticchia, una iconica costruzione piuttosto recente che vuole inserire la città a pieno titolo nel novero delle più avanzate architetture, è davvero scenica e tutti la vogliono fotografare. Appena dopo le porte di legno rosse del tempio di Choijin Lama, dietro alle quali si indovinano gli incastri dei tetti di maiolica verde in stile cinese delle costruzioni. Purtroppo è chiuso e non riusciamo ad accedere, ma alla fine il colpo d'occhio migliore pare essere appunto quello dall'esterno. Oggi è stato trasformato in museo e i cinque templi paio ricchi di opere d'arte soprattutto religiosa. Ma bisogna procedere veloci perché la giornata è ancora lunga e avendo solamente un giorno da trascorrere nella capitale, bisogna darsi una mossa. 

    


SURVIVAL KIT

Ulan Bator - La capitale del paese con circa 1,5 mln di abitanti, in continua crescita, a circa 1400 m di altitudine, con un clima estremo. Vivace e culturalmente interessante, sta sviluppandosi tumultuosamente. Traffico assolutamente convulso per cui nei trasferimenti potreste occupare molto più tempo del previsto. Da vedere: La piazza centrale con la statua di Gengis Khan davanti al Parlamento e dell'eroe nazionale a cavallo che dà il nome alla città. Sempre nella piazza Suhbaatar il Museo Nazionale di storia, il Museo Naturale e il Teatro dell'opera. Dietro la piazza si può vedere il cosiddetto grattacielo a lenticchia dalla forma particolare. Rimane il Tempio Choijin Lama, un centinaio di metri dietro la piazza e più lontano da raggiungere in taxi, il Palazzo del Bogd Khan, un personaggio singolare che governò il paese ad inizio '900 e morì nel 1921 tra stravizi, alcolismo e scandali sessuali, ma raccolse in questo palazzo una ricchissima serie di oggetti e rarità che ne fanno oggi un importante museo da visitare assolutamente.. Abbiamo poi il Memoriale Zaijan, sulla collina da cui si ha una vista completa della città e a cui si accede con una teleferica ed eventualmente lo stadio dello sport dove si svolge il festival del Naamdan e gli incontri di lotta, le gare di ippica e di tiro con l'arco, i tre sport nazionali e che si svolge nel mese di luglio. Per chi vuole approfondire c'è anche la cattedrale cattolica di  San Pietro e Paolo e quella Ortodossa  della Trinità, oltre a qualche altro tempio buddista fuori città. 


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche  interessare:


01 - Ritornati

02 - Le motivazioni

03 - In volo

04 - Primo contatto











Nessun commento:

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 122 (a seconda dei calcoli) su 250!