mercoledì 30 maggio 2012

La bicicletta gialla.

Avevo una bicicletta gialla. La sognavo da tempo, forse neanche la speravo. Manubrio cortissimo, cambio Campagnolo a cinque velocità, chissà quanto costava. Invece mio padre, non so come, trovò i soldi e me la comperò. Forse avevo fatto l'esame di terza media e un giorno lui arrivò a casa con un gran sorriso portando per mano il nuovo acquisto. Avevo una bicicletta gialla. Era una Meazzo, gran marca alessandrina ed il telaio di un giallo canarino così brillante da appagare completamente il mio sogno. Via subito in cantina la vecchia biciclettina rossa da ragazzino, il cui telaio era stato già una volta rotto e saldato alla meglio e poi partenza per Valle San Bartolomeo. Sì, in campagna dalla nonna, per i quattro mesi estivi, ci si andava in bicicletta, con quello che occorreva tutto appeso ai manubri in grandi borse ricolme, tutti e tre in fila indiana e anche io da quell'anno potevo appenderle alla mia bici da adulto. Attento alle macchine, rade, che passano veloci. Tanto il resto lo portava il mio papà che tutti i giorni tornava dalla sua cabina  di deviatore, anzi di deviatore capo, come sottolineava con un certo sussiego. 

Avevo una bicicletta gialla. Quando spingevi sui pedali sul rapporto più duro, filava come il vento, accidenti se andava forte, altro che la biciclettina rossa. In quel modo era ormai ufficializzata il mio ingresso nell'età adulta. La salita per entrare in paese era un po' duretta per i miei muscoletti di ragazzino grassoccio, era fatica vera, toccava cambiare rapporto, ma la probabilità che sulla cima, sul limitare della piazza ci fosse quella ragazzina, magari da sola, senza il solito branco di mosconi attorno tutti più grandi, dava forza, anche se sapevi che non c'era nessuna speranza, troppa concorrenza con maggiori titoli per superare l'esame. Avevo una bicicletta gialla. Giù per la discesa, con l'aria che ti rigava la faccia, un poco facendoti lacrimare gli occhi, per arrivare fino al fiume nell'afa pomeridiana, seduto sul bordo del canale, dopo averla appoggiata con attenzione contro una frasca, che il giallo della vernice non si rigasse. L'aria così densa immobile, l'acqua ferma con diafane libellule che cercavano di posarsi sui giunchi della ripa. Guardavi il cielo, lo sguardo perduto e ancora senza grandi sogni. Nessun orizzonte lontano da sperare, niente mondi sconosciuti da immaginare, soltanto l'attesa di una fetta di surrogato di cioccolata quando saresti arrivato a casa. Solo piccoli desideri a quel tempo. Avevo una bella bicicletta gialla.


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3 commenti:

Unknown ha detto...

Tu avevi una bella bicicletta gialla e io un bel cane lucidamente nero che non mi faceva mancare niente.
Bellissimo post.
Cristiana

Anonimo ha detto...

Caro Enrico,riesci sempre a farmi commuovere quando parli
dell'adolescenza ed anche questa volta hai centrato in pieno.Anch'io
avevo ricevuto una bici azzurra però, che dovevo in parte condividere
con mia sorella che,inferiore d'età era in attesa del suo turno.Per
essere più alla page avevo anche aggiunto una cartolina legata ai
raggi.Faceva un notevole rumore e mi dava l'illusione di cavalcare un
motorino che già allora desideravo follemente e non sono mai riuscita ad avere.

Paola

Enrico Bo ha detto...

@Cri - A volte basta un colore a suscitare lampi di ricordo. La mente fa strani percorsi.

@Paola - Ma certo la cartolina, come me lo sono scordato, dovrei fare una giunta al post, ma oggi non ne ho voglia.

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