martedì 14 giugno 2016

Viaggio in Toscana 2 - Monte Oliveto Maggiore



Il coro ligneo
I paesaggi che scorrono in questa meravigliosa Toscana, diventano, se possibile, ancor più affascinanti a sud di Siena. Le colline delle crete, così spoglie e nude nei mesi di secca da farle apparire come opere di design minimalista, nella tarda primavera sono coperte di un verde intenso con tanti ritagli regolari di orzo giallo che ne fanno un patchwork ondulato e perfetto. Le spighe barbute sono ormai oro puro, tutte piegate verso il basso segno inequivocabile che chiedono disperate che arrivi la grande macchina a compiere la strage e riportare la terra alla sua nudità francescana. I rari campi di avena sono ormai di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianco come le chiome di tavole trecentesche. Le linee, spesso sinuose o a sottolineare i crinali, sono segnate dalla nera matita dei cipressi che ti fanno indovinare da lontano, stradine contorte che portano ai casali sul culmine dei colli. E poi ancora ulivi a perdita d'occhio e macchie di verde più scuro di boschi quasi selvatici a riempire avvallamenti come messi lì a bella posta da uno speciale architetto del paesaggio. Calanchi grigi graffiano i bordi più scoscesi, dove la vegetazione non è mai riuscita ad attecchire e si mangiano a poco a poco la terra dando ancor di più un senso di selvatichezza che il territorio sparso di case rade e solitarie già insinuava. Così passando sulle curve continue di queste strade strette che seguono le linee di livello, arrivi a Monte Oliveto Maggiore, forse il gioiello più vivido di questa terra, una delle abbazie più belle d'Italia sicuramente. 

Affreschi del Sodoma
Nascosta da una fitta vegetazione in cima ad un alto colle a strapiombo da tre lati, non riesci a vederne la maestosa grandezza che forse si appaleserebbe solo dall'alto o dalla cima di altri colli ancor più romiti. L'unico lato accessibile è sbarrato da mura e torri, che in quei tempi difficile e quali non lo sono, si doveva difendere con alte mura l'arrivo del nemico, sempre identificato dal bieco Saracino, lo nero periglio che vien dallo mare, nella realtà ben diversamente, come sempre sono andate le cose, con i nemici più frequenti che erano gli imperiali per i papisti e viceversa a combattere guerricole infinite con mattanze all'arma bianca, stridor di lame e scudi, nitriti di cavalli squartati e assedi ricchi d'oli bollenti e voli di frecce. Dunque qui sorse questo monastero Benedettino, subito per le ragioni suesposte cresciuto a dismisura e divenuto fortezza, nel pieno di quella via Francigena che sul finir del medioevo doveva essere un fiume vero e proprio di pellegrini che andavano verso Roma e avevano necessità di riparo, protezione e perché no assistenza sanitaria, cosa a cui poteva ben pensare la farmacopea erboristica dell'abbazia. Davvero un luogo magico così perduto e nascosto tra gli alberi a racchiudere i suoi tesori. 

Affreschi con ritratti dei pittori
Fate finta di non vedere l'orribile statua di marmo bianco posta da pochi anni nel cortile davanti all'ingresso principale, un vero pugno in un occhio che offende la vista e la memoria del santo e godetevi con calma i due gioielli assoluti racchiusi all'interno: il coro ligneo della chiesa, un'opera mirabile di un intarsiatore che ha saputo trasformare, con la sua squadra di allievi, ogni seggio in un quadro con legni di colori diversi, da guardare nei più minuti particolari e lo strepitoso grande chiostro completamente affrescato in una parete dal Signorelli e per tutto il resto dal Sodoma, autore sottovalutato e che qui dà davvero tutto il meglio delle sue capacità. Per apprezzare completamente la visita dovreste avere il privilegio, come è capitato a noi, di essere accompagnati dal signor Dino Benincasa, un capostazione in pensione che dedica il suo tempo a questa che ormai è diventata per lui una passione davvero coinvolgente. Vi saprà intrattenere per ore con tutta una serie di divertenti episodi, leggende e aneddoti davanti ad ogni affresco di cui conosce antefatti, fatti e misfatti nei più minuti dettagli. Non perdetevi questa visita perché vale veramente il tempo speso. La terminerete nella bella biblioteca sopra il refettorio che sulle tavole apparecchiate attende i pochi monaci ancora presenti. Te ne vai così, risalendo a piedi quel duro chilometro che ti separa dal pullman, giustamente tenuto a distanza,  pensando a quello che doveva essere questo pellegrinaggio secoli fa, il senso di una vita.





La biblioteca
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