giovedì 31 agosto 2017

Addio monti




Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! 

Insomma è ora di tornare ai sacri lidi.

mercoledì 30 agosto 2017

Ardèche 5: Tra castelli e paesi


Il salone del Chateau des Roure


Stalagmiti a piatti

L'Ardèche è famosa oltre che per le gole, anche per le sue straordinarie grotte. Il terreno calcareo è stato eroso in profondità durante milioni di anni creando meraviglie sotterranee di tutti i tipi, hai solo il problema della scelta. Se lasci la bella strada che percorre le gole, di recente fattura, ma un tempo i paesi all'inizio e alla fine delle gole erano collegati soltanto da un sentiero e dovevi farti la foresta a piedi, ti inerpichi in montagne basse e selvagge ricoperte di boschi fitti e spinosi, all'apparenza impenetrabili, forse ostili all'uomo. Scartata la famosissima Caverna di Chauvet di cui vi ho già accennato, ho scelto di vedere l'altrettanto nota grotta del cosiddetto Aven d'Orgnac, una discesa nel ventre della terra che si protrae per una profondità di 120 metri per i normali visitatori, lungo una scala da percorrere con calma e con numerosi punti di sosta per ammirare le formazioni di stalattiti e stalagmiti che la arricchiscono. Naturalmente gli specialisti ne hanno ancora per diversi chilometri, ma la bellezza delle rocce che ti circondano ha pochi eguali e il breve concerto preparato nella cavità naturale terminale che sottolinea il lavoro delle gocce che cadono dall'alto in mille rivoli sonori ed il gioco di luci che lo accompagna, rendono questa visita davvero compensativa della coda che hai dovuto fare per conquistartela. 

La chiesa di Labeaume
Poi, solo la voglia di percorrere queste piccole strade di montagna tutte curve che vanno da un paesino all'altro in un territorio praticamente disabitato che lascia un senso di mistero e di natura selvatica. Sono paesi antichi, forse completamente spopolati che solo il riflusso del benessere turistico ha in qualche modo rivitalizzato e richiamato a nuova vita, con piazzette e castelli che riportano ad un passato lontano, un medioevo dove forse non era così facile vivere, come lasciano intendere i ruderi del lebbrosario cistercense che rimangono in uno dei punti più suggestivi delle gorges. Ma questa è anche terra di castelli e a Labastide de Virac il Chateau des Roure ti accoglie col fascino del fantasma nascosto e delle consuete capacità dei nostri cugini d'oltralpe di valorizzare quanto hanno a disposizione, anche quando è poco. Comunque subisci il fascino del tempo, la bella esposizione tematica sulla produzione e lavorazione della seta, con l'interessante presenza di una serie di macchine storiche e traversando le camere del castello che mostrano un arredo consono ad illustrarne la storia, arrivi fino al tetto dove puoi percorrere i camminamenti tutto attorno per ammirare quello che è di certo il colpo d'occhio più meritevole di tutta la visita. I rilievi digradanti del sud dell'Ardèche si snodano davanti ai tuoi occhi per onde successive, tra vigneti, boschi e pascoli dove la presenza dell'uomo non si avverte del tutto, né scorgi affatto la sua pervasiva tecnologia. 

Labeaume
Non scorgi auto, né macchine agricole al lavoro e anche le strade sono affogate con le loro curve contorte tra gli alberi verde chiaro, che le inghiottono quasi a volerne negare la presenza. Le stradine in pietra attorno al castello parlano di rifacimenti attenti e ruffiani, che però rimangono comunque così piacevoli da percorrere. Qualche chilometro e sei a Labeaume, un paesetto abbarbicato ad una serie di rocce scoscese che il fiume ha corroso nel tempo. Sosti nella piazzetta davanti ad una chiesa che le due enormi colonne della facciata vogliono mostrare imponente, mentre rimane un desiderio di affermazione di chissà quale signorotto locale che aveva visto lontane cattedrali. Anche le gole di questo fiumiciattolo che lambiscono il paese sono piene di canoe e il greto libero è ricoperto di carne umana che cerca il bacio del sole sempre e dovunque, strizzata in costumi fantasiosi che segnano le pelli come retine da salame da sugo. Fatichi anche a trovare parcheggio lungo stradine, vicoli, salitelle, create per asini carichi di fieno e non per carri di lamiera scoppiettanti. I prezzi esposti sono da affezione, d'altra parte se ti sbatti per arrivarci bisognerà pure pagare. L'acciottolato è fatto da tanti sassi di fiume quasi uguali piantati nel terreno e sa come martoriare piedi ricoperti da suole sottili e non adusi ai penitenziagite medioevali. 

Balazuc
Però bisogna riconoscere che le case hanno un loro aspetto avvincente, il paese è omogeneo e senza sbavature, rientri dal giretto soddisfatto, anche se nelle vicinanze non hai trovato traccia delle centinaia di dolmen promessi nelle guide. Altro piccolo spostamento e, non avendo trovato il villaggio di artisti di Le Viel Audon, evidentemente ben nascosto per evitare di essere scoperto, arrivi a Balazuc, un borgo abbarbicato ad una falesia che precipita nel fiume. Il paesino è un poco più grande e ti consentirà di arrampicarti con fatica attraversi i contorti vicoli ed i camminamenti coperti che, a simiglianza dei nosti borghi liguri, conducono fino alla cima da cui puoi dominare la gola circostante. Anche qui, un sacco di gente, ma ormai ci siamo abituati, rimane da considerare che siamo attorno al ferragosto e hai il dubbio di come sarà la situazione durante il resto dell'anno. Tuttavia la presenza di diversi esercizi commerciali, fanno supporre che comunque un certo flusso di amatori continui anche in stagioni meno cariche. Per trovare da dormire, tocca fare un po' di strada fino a quello che un tempo era di certo un paese che campava sulle terme, a vedere i grandi affreschi sulle facciate delle case, stile belle époque, Vals les Bains appunto, dove leggi una certa grandeur ormai perduta, il segno di un tempo che fu che di certo ha visto i fasti delle damine liberty che venivano qui a passare le acque e ora che rimangono solo più sui fregi dei locali lungo la via principale. La sera i locali del centro fanno un po' di musica d'antan forse in cerca di spinta per i pochi clienti di passaggio che non sai se presi dalla nostalgia del ricordo o nella valutazione di un tempo che non potrà mai ritornare.

Aven d'Orgnac

SURVIVAL KIT

Museo della seta
Aven d'Orgnac - Uno dei 16 siti di Francia. Dopo il video iniziale di una decina di minuti che illustra la storia del ritrovamento, visita guidata di 1 ora con discesa di 700 gradini con varie soste, risalita in ascensore. 13 €. Attorno parco della preistoria con spettacoli e dimostrazioni e museo dedicato. Dedicate alla visita completa almeno un paio d'ore.

Chateau des Roure - Ingresso 9,20 € comprensivo anche del museo della seta (che consiste in una camera con le macchine che è possibile vedere in movimento). Visita con audioguida di circa un'oretta a percorso obbligato dei tre piani fino al tetto. Il fantasma non si vede. Poi potrete fare due passi nel paesetto che o circonda.

Labeaume, Piccolo paese a 15 km da Pontd'Arc. Merita una sosta di un'oretta per percorrerne le strette vie in salita. Grande folla che utilizza il torrente che lo lambisce per attività da spiaggia e fluviali. Concerti nella chiesetta sulla piazza principale.

Chateau des Roure
Hotel de l'Europe - Vals les bains - Albergo che di certo ha visto tempi migliori. Camere datatissime che il gentilissimo gestore non può rendere migliori. Nel bagno squallidino solo una saponetta. Free wifi, tv. Camera 66,80 € senza colazione. Si può parcheggiare nella piazzetta antistante.

Café du Marché - Vals les bains. Nella via principale, con musica dal vivo. Piatto fisso di pasta scotta con frutti di mare + calice di vino e gelato. 16€

Panorama dell'Ardèche

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martedì 29 agosto 2017

Avej el döit


Dunque tanto per farvi capire quali sono le fondamentali attività del pensionato medio che transita per il mio ufficio (leggi tavolino del bar Rosa Rossa) voglio portare alla vostra attenzione questo problema di cui si è molto discusso e su cui tanto ancora si discuterà. Avendo io postato sul libro delle facce un video che raccontava la performance della street band che l'altro giorno percorreva le vie del nostro paesello dimostrando bravura e simpatia, la natura del contendere si è soffermata sul nome del gruppo stesso: I Sensa Doit, come stava scritto sulle loro uniformi che, tradotto dal piemontese, significa I senza garbo, gli sgarbati, ancorché fossero invece garbatissimi e socievoli oltre che molto bravi. Tuttavia la discussione si è appuntata su come sia la corretta grafia della parola garbo nell'idioma piemontese, che qualcuno vuole lingua e altri semplice dialetto. 

Ora, posto che Garbo si può tradurre in piemontese anche con il curioso e affascinante lemma: Ghëddo, che, come potete vedere sul dizionario piemontese, così si scrive con la vocale pronunciata in modo molto stretto,  nel lemma in questione in cui la vocale viene pronunciata allo stesso modo del dittongo eu in francese, con un suono più allungato e strascinato, la mia opinione è che la parola in questione debba essere scritta Döit, come riporta anche il dizionario on line Piemunteis.it a cui vi rimando e sul quale potrete anche sentire la pronuncia ufficiale. Insomma con la dieresi, altrimenti detta Umlaut dai nostri amici alemanni, invece che con la ô con l'accento circonflesso o con la œ come suggerisce l'amico Carlo. Gli amicidel gruppo stesso non aiutano in quanto se date un'occhiata alla loro pagina FB, nei testi viene scritto con l'accento circonflesso mentre nella titolazione con la dieresi. Siccome la diatriba è piuttosto importante vi pregherei di dare il vostro contributo al riguardo. A chiosa finale di questo argomento vi aggiungo un gustoso modo di dire che utilizza la parola in oggetto.

Avej el döit ch'a l'han j'asu a plé ij biscöit, a lavé ij bicer, a lavé le sane.

Avere il garbo che hanno gli asini a pelare le caldarroste (non i biscotti come avevo erroneamente scritto prima, quelli si dicono i Biscutin), a lavare i bicchieri, a lavare i boccali. [Agire grossolanamente]


Per vedere il video cliccate qui:

https://www.facebook.com/enrico.bo/videos/10213510135213030/

lunedì 28 agosto 2017

Scuse postume

dal web - Giacinto onlus



Avrete notato che da qualche giorno sono un po' assente. Il problema è che sono presissimo da multiformi incombenze e non riesco a trovare il tempo per applicarmi un attimo alla consueta attività scriptoria bloggarola. Intanto alla mattina sono occupatissimo a tenere occupato un tavolino del bar Rosa Rossa di Deamicisiana memoria (il noto era stato qui in visita al forte e aveva lasciato del locale e della cena fattavi una gustosissima descrizione nel suo ormai introvabile Alle porte d'Italia), impegnato attivamente nella lettura e nel commento del giornale con gli amici con cui ci picchiamo di risolvere i problemi del mondo non appena ne diverremo dittatori assoluti. Nel pomeriggio invece devo in primis risolvere la logistica di un appuntamento settembrino che un poco mi preoccupa ma che alla fine si risolverà semplicemente come sempre, almeno spero; in secundis, devo invece terminare la preparazione del viaggio ottobrino, che non essendo più nel mio amato est del mondo, così facile da percorrere, richiede invece attenzione e costanza, sia nella preparazione dell'itinerario, sia nelle multiple prenotazioni, di voli, auto da affittare, alberghi, che tra l'altro costano  una tombola, spettacoli da non perdere e così via. Insomma un lavoro a tutto tondo, che mi impedisce di finire la mia relazione sulle vie dell'Ardéche che avevo principiatocon tanto entusiasmo. Ma non vi preoccupate, al più presto terminerò anche questa incombenza. Nel frattempo portate pazienza che come sapete, il pensionato è la persona più occupata del mondo.

martedì 22 agosto 2017

Ardèche 4: Les gorges


Il termine delle gole


I meandri del fiume

Al mattino presto non c'è ancora molta gente per strada; in fondo qui la gente ci viene in vacanza e poltrire un poco nel letto ci sta. Così quando imbocchi la bella strada che percorre per circa 30 chilometri la corniche di queste gole, te la puoi prendere comoda, andar piano ammirando quello che ti circonda senza la preoccupazione della fila di auto che ti pressa da vicino. Bisogna dire che l'ambiente vale assolutamente la strada fatta per arrivarci. Anche se non ci sono le altezze vertiginose e le spaccature nella roccia che rendono le concorrenti Gorges del Verdon un unico assoluto, anche queste dell'Ardèche, con le loro pareti più basse, ma più contorte, rappresentano un ambiente naturale decisamente unico. Subito dopo il ponte che dà loro l'accesso, la strada si eleva un poco ed il fiume in basso sparisce, nascosto da barriere di roccia che occultano forre e precipizi, che conducono in basso. La strada tortuosa si inerpica sui fianchi delle colline che ormai sono state abbandonate dal vigneto e dal coltivo per lasciare spazio al bosco, fittissimo e basso. Cespugli spinosi che odorano di Mediterraneo e frinire assordante di cicale. Lungo la strada ci sono ben undici punti di sosta e osservazione, belvederi ben costruiti (i francesi sanno valorizzare molto bene quello che hanno), nascosti tra gli alberi che ti danno accesso diretto al dirupo e dai quali puoi goderti la splendida vista dall'alto dei meandri che il fiume ha scavato nella roccia viva, creando volute rotonde e senza spigoli lungo le quali l'acqua scorre placida, interrotta di tanto in tanto da piccole rapide che noti per lo spumeggiare intenso del corso verdeazzurro, prima tranquillo. 

Il  ferro di cavallo
Il panorama è davvero titanico, le rocce ruvide e corrose che il fiume ha scvato nei milioni di anni stabiliscono i confini di un territorio primordiale dove regnano solitari l'aquila e il gipeto che ogni tanto scorgi in un volo maestoso e lentissimo, quasi a sorvegliare la valle. Gli strapiombi disarmano e spaventano. Non riesci a sporgerti più di tanto. In basso, il nastro verde pennella la sua strada, lambito da spiaggette ghiaiose che segnano il confine con la vegetazione che ha invaso la base delle rocce che spuntano di colpo alle spalle per raggiungere il cielo, fino al tuo punto di osservazione. Puoi solo immaginarne la forza titanica che ha dovuto avere per scavare questo abisso profondo, un'unghiata feroce sulla superficie della terra, portando via con sé, dopo aver devastato la roccia dura, averla ridotta a piccolo frammento e ridotta a ghiaia e sabbia a forza di provocarne una continua abrasione, il residuo ormai debole e leggero. Dove non ha rotto e distrutto, ha scavato caverne e buchi, marmitte e varchi, dove l'acqua ancora si butta, gira e rigira, rode e cerca di aumentare il danno, per aprirsi nuove vie, per attraversare il piccolo istmo rimasto tra un meandro e quello successivo che ora forma quel mirabile ferro di cavallo, cercado di perforarlo, di formare l'ennesimo arco di roccia che desterà le meraviglie per generazioni. 

Canoe
Ci sono varchi e stradine che ti conducono in basso, così puoi raggiungere le rive del fiume, che dal basso appare così placido ed innocuo che ti convince facilmente di non poter essere responsabile di tutto quello che ti circonda. In basso il sole penetra con difficoltà e l'acqua rimane scura, anche se forse è poco profonda e ti invita a bagnarti, a camminare lungo la riva, a penetrare il bosco. Un luogo davvero magnifico, si potrebbe dire bucolico e amatissimo dai francesi, che in questo luoghi amano trascorrere molto tempo, come testimoniano gli almeno 25 campeggi che stanno qui attorno, tutti muniti di centinaia di kayak e canoe da affittare. Un poco più tardi, quando ormai tutti sono svegli e si danno alle varie attività naturalistiche che il luogo concede, ti spaventi al vedere dall'alto il numero dei natanti in acqua. Ce ne sono talmente tanti che fanno fatica a procedere seguendola corrente, intralciandosi gli uni con gli altri senza parlare del momento in cui arrivano ai punti di difficoltà della discesa, le rapide, alcune facili e poco scoscese, altre decisamente più impegnative, dove ci si deve barcamenare, mai verbo è più efficace, per non urtarsi l'un l'altro e per poter procedere senza rovesciarsi, fino all'ostacolo successivo. 

Le gole
Quando arrivi al termine del percorso a monte, hai gli occhi talmente pieni di bellezza e di stupore che quasi non ti aspetti lo spettacolare arco naturale calcareo di Pont d'Arc, che scavalca il fiume con un balzo di roccia maestoso e incredibile ad un'altezza di oltre sessanta metri. Dal basso lungo le rive puoi scorgere anche le profonde caverne, invisibili dall'alto, che si sono formate alla base dei dirupi, nelle anse dove il fiume per millenni ha scavato in cerca di nuove strade. E' un territorio calcareo dove l'acqua si è infiltrata per milioni di anni scavando caverne e cavità sotterranee di dimensioni prodigiose. Ti fai largo tra i bagnanti per ammirare meglio questi prodigi della natura. E'vero c'è un sacco di gente, ma ci mancherebbe altro che un simile prodigio rimanesse senza spettatori. I francesi amano la natura e l'escursionismo e poi ragioniamo, la maggior parte di loro vive lontani dal mare, che noi raggiungiamo comodamente in un'oretta e questi luoghi della Francia interna, durante i periodi di vacanza sono pieni zeppi, tanto che ho dovuto rinunciare alla visita della caverna di Chauvet, nota per avere i graffiti preistorici più belli e famosi del mondo perché bisognava fare una attesa di 4 ore per poter entrare! E pensate che non è neppure la caverna reale, perché giustamente per preservare le pitture, l'intera grotta è stata ricostruita artificialmente e dei graffiti si possono vedere soltanto le copie (per 15 €, i francesi sanno farsi pagare le loro cose). Ripiegheremo su  un'altra di cui vi parlerò la prossima volta.

Pont d'Arc
SURVIVAL KIT

Canoe sul fiume
Gorges de l'Ardéche - Percorso di 30 km che parte dopo qualche chilometro da Pont Saint Esprit e arriva al sito di Pont d'arc, arco naturale che attraversa l'Ardèche, una delle meraviglie naturalistiche della regione e da cui si può partire per le escursioni in canoa. Moltissimi i siti dove affittarle, potete stare tutto il giorno sul fiume e arrivare in fondo al percorso riconsegnanodo la canoa che sarà recuparata dall'organizzazione e che provvederà a riportarvi alla base con una navetta. Anche il solo percorso dall'alto in macchina permette di ammirare tutto il corso del fiume da 11 belvederi che evidenziano i colpi d'occhio migliori. Calcolate almeno una mattinata per godervele appieno con numerose soste.

Uno dei disegni (dal web)
Caverna di Chauvet - Scoperta nel '94, patrimonio dell'umanità, è stata completamente ricostruita con calchi ingesso in 3D, con oltre 8000 m2 di pareti e soffitti che riportano le copie delle pitture straordinarie che sono state ritrovate all'interno. Il parco che presenta anche molti altri punti di divertimento a tema preistorico è stato aperto nel 2015. Ingresso, con prenotazione per la visita guidata di un'ora costa 15€. Si trova a Vallon d'Arc (su una collina a 6 km da Pont d'Arc) a 2 chilometri dalla grotta originale.


Pareti


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lunedì 21 agosto 2017

Ardèche 3: Pont Saint Esprit


Il ponte di Pont Saint Esprit


Lo strombo del portale della cattedrale
Una passeggiata per le antiche vie di Pont Saint Esprit ti riconcilia col passato, sono così strette e contorte che quasi nessuna auto vi si avventura, così arrivi in tutta tranquillità alla imponente cattedrale e subito vai ad affacciarti alla balconata sul fiume che con un alveo davvero vasto, quasi dal non scorgere la riva opposta, costeggia per lungo tratto il costone su cui sfilano le case. Il lunghissimo ponte che lo attraversa coi suoi 700 anni di vita sta lì a raccontare di questa città e dei secoli passati. Ma la storia più curiosa per cui questo paesetto della Francia centrale è noto, risale a pochi anni fa, al 1951 ed è così curiosa che va raccontata. E' noto alle cronache come l'affaire du pain maudit e rimane un caso studiato e molto interessante per capire come si possano creare anche in tempi moderni teorie complottiste e storie fantasiose per arrivare a linciaggi sulla pubblica piazza e non solo messe alla gogna morali. Veniamo al fatto. Dunque pochi anni dopo la guerra, periodo in cui ancora il ricordo della fame e delle privazioni sostenute era ben vivo nella mente di tutti, avvenne nel paese una gravissima intossicazione alimentare che colpì quasi al completo la popolazione, che oltre ai problemi fisici presentò anche episodi psicotici acuti come aggressioni, allucinazioni e deliri notturni, esplosioni di violenza e tentativi di suicidio. 

La cattedrale
A questi si aggiunsero presto scene di isterismo di massa e il presunto responsabile, il fornaio del paese, accusato di avere appositamente avvelenato il pane, ebbe la porta della bottega marchiata con una croce per scacciare i demoni che la abitavano. I più guarirono in pochi giorni, ma per molti si aprirono le porte degli ospedali psichiatrici e due morirono. Visto che l'esorcismo della croce non funzionava, alcuni tentarono di linciare direttamente il panettiere untore che fu allora tratto in arresto, si dice per salvargli la pelle. E' molto probabile, anche se non fu mai accertato con precisione che il pane fosse stato preparato con farina di segale e loglio in cui c'era una forte percentuale di segale cornuta che contiene tossine molto potenti che danno appunto questi sintomi. Inoltre sembra che il pane fosse stato sbiancato, essendo il pane nero un brutto ricordo dei tempi di miseria passati, con un altro prodotto altrettanto tossico, il tricloruro di azoto. Insomma il classico caso di frode alimentare scambiato con la molto più suggestiva ipotesi di stregoneria e di maleficio del demonio a cui il fornaio si sarebbe venduto. Tra l'altro era probabile che lo stesso fosse inconsapevole del fatto in quanto fu arrestato anche un mugnaio che distribuiva queste farine, pare noto per fare questi mescolotti truffaldini, che confessò subito il raggiro che gli avrebbe fruttato circa 2000 franchi, solo che questa volta aveva esagerato, un po' una storia del tipo vino al metanolo, sfuggita di mano. 

Vecchie case
Tuttavia l'inchiesta che si concluse con la condanna del mugnaio non stabilì la causa precisa per cui cominciarono a circolare le tesi più inverosimili. Le colpe erano via via del demonio, del panettiere per le sue vicinanze politiche a De Gaulle, delle moderne trebbiatrici e dell'infame progresso, delle potenze straniere, della guerra batteriologica, del Papa e di Stalin e delle nazionalizzazioni. Oggi certamente sarebbero state chiamate in causa, i banchieri, le multinazionali, la globalizzazione e la Monsanto, sono sicuro, in particolare quest'ultima data la sua continuità coni semi di frumento. Un giornalista americano invece, assicurò, prove alla mano,  che era stata la CIA che stava testando un aerosol all'LSD come arma batteriologica, mentre secondo altri poteva trattarsi di un avvelenamento di mercurio che veniva usato in alcuni prodotti per la concia dei semi, come accaduto in diversi altri paesi del mondo conconseguenze ancora più devastanti, in Guatemale e in Pakistan con oltre 100 morti, insomma un bel caso da manuale da confrontare con i tanti fatti gravi che accadono ogni giorno e che poi danno la stura ai complottisti di mezzo mondo. Va beh, il paesino è comunque molto grazioso, fateci un giro di un'oretta, ma poi, dopo un ricco petit déjener, con croissant che stillano burro, è ora di partire e fare i pochi chilometri che ci separano dall'ingresso delle gole.


La piana del Rodano




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domenica 20 agosto 2017

Ardèche 2: Orange


Orange - L'arcodi trionfo - I sec.


Fregi dell'arco
Orange è ormai sud della Francia, senti odore di Provenza e sei abbagliato da quella luce che colpì irrimediabilmente il cuore di tanti famosi pittori che arrivarono fin qui per compiere parte dei loro capolavori, però al tempo stesso Orange è anche impero Romano a tutti gli effetti, segnale inoppugnabile di una presenza che ha condizionato la storia e allora di Asterix e compagni, non si vedeva l'ombra. Così la città è segnata ancora oggi soprattutto dalle maestose vestigia di questo passato ingombrante che dopo duemila anni, rimane ancora lì a dire provateci un po' voi se siete capaci. Lo straordinario arco della vittoria che ti accoglie all'arrivo incittà, è uno dei più belli ancora così ben conservati. E' il più antico di questo genere, rimasto e i suoi bassorilievi raccontavano a chi arrivava dalla via Agrippa che collegava Lione ad Arles, storie di gladiatori e di guerre, assieme alle vicende della II legione di Cesare, i cui soldati fondarono la città. La sua pietra, tenera al punto che le intemperie hanno ammorbidito i dettagli scolpiti, rendendoli ancora più avvincenti e rievocativi, viene colpita dal sole forte del sud lasciando barbagli dorati che lo circondano di fascino esotico. L'altra gemma straordinaria è il teatro coevo, l'unico rimasto in Europa assieme ad altri quattro nel mondo a conservare la imponente scena completa, lunga oltre cento metri e alta 37 e capace di ospitare novemila spettatori. Altro che grandeur

Orange - Il teatro
Questa è una dimostrazione di tale potenza da fare chinare la testa a tanti regni e imperi successivi. Deve essere davvero coinvolgente assistere a qualche rappresentazione in questo immensa cavea, che a quanto si dice ha conservato una acustica del tutto eccezionale. Rimane il tempo di passeggiare nelle viuzze del centro storico, gradevoli come tutte quelle di queste cittadine francesi che sembrano invitare a fermarsi nei dehors dei tanti locali che si sporgono su deliziose piazzette, mentre dai un'occhiata alle pesanti muraglie dell'antica cattedrale, al municipio al centro della città e al piccolo teatro ottocentesco che testimonia l'attività culturale che ferveva da queste parti. Insomma un bel bagno di storia. Per tornare coi piedi a terra, basta fare qualche chilometro fuori città verso nord e passi da Piolenc, il paese dell'aglio come testimoniato dal monumento enorme che staglia la bianca testa dell'ortaggio in formato gigante, a benvenuto ai viaggiatori all'ingresso del villaggio, come a testimoniare l'importanza economica che il suddetto riveste per la comunità, oltre ad essere una delle caratteristiche più note e da qualcuno criticate della cucina d'oltralpe. Ma poco più in là non ho potuto fare a meno di fare una piccola sosta a Mornas, un paesino di vecchie case disposte lungo la statale che conserva i ruderi di un castello medioevale abbarbicato alla cima di un costone roccioso che sovrasta le case stesse. 

Mornas - La chiesa
Una volta trovato lo stradino che risale la costa arrivi ad un parcheggio di fianco al vecchio cimitero e alla chiesa di pietra antica, poi ti devi sobbarcare una scarpinata su una salita mortale con una pendenza tale da renderla impegnativa anche per le auto. Come sempre i francesi sanno vendere benissimo la loro merce e sfuttano questo rudere offrendo spettacoli in costume e visite  guidate che fanno lavorare un po' di gente comunque. Dall'alto comunque la vista è splendida, sulla campagna circostante e sul Rodano che scorre placido al passaggio, irreggimentato tra rive di cemento. Vale sempre la pena fare queste piccole soste per apprezzare scorci minori, ma che convincono col fatto che il tempo è stato comunque ben speso. Non fosse altro per scorgere sulla facciata della piccola cattedrale i caratteri sbiaditi che recitano Liberté - Egalité - Fraternité sormontata da un bel Republique Française, per testimoniare che qui la rivoluzione c'è stata e che il secolo dei lumi ha messo religione e soprattutto clero al posto dovuto, storia che purtoppo altri credi non hanno avuto e per questo dispongono di credenti decisamente più saldi nella fede. Ma adesso direi che è venuto il momento di raggiungere Pont Saint Esprit, la cittadina che rappresenta la porta delle gole dell'Ardèche, il fiume che con il suo lavoro di milioni di anni ha consentito la formazione di una delle meraviglie naturali di questo territorio.

Orange - Il teatro ottocentesco
SURVIVAL KIT

Orange - A 100 km a sud di Valence. Vale la pena di farli sulla strada normale perapprezzare ilpaesaggio tranquillodella Vaucluse. Da non perdere una breve visita di almeno un paio d'ore, per vedere l'arco, il teatro e il bel centro storico.

Mornas - Lungo la strada, verrete attiratidalla vista dei ruderidel castellochelo sovrasta. Merita la fatica per la vista dall'alto soprattutto.

Pont Saint Esprit - Conveniente base di sosta da cui partire per visitare le gole. Dispone di molti piccoli hotel, conprezzi non particolarmente bassi. Se pernottate, prendete l'occasione per passeggiare nel grazioso centro storico, di viuzza in viuzza per scoprire antiche case, chiese e soprattutto per arrivare alla balconata sul Rodano che permette una bellissima vista sull'antico ponte medioevale di oltre un chilometro che consente di arrivare in città attraversando il vastissimo greto del fiume e che dà il nome al paese.

Hotel Le Commerce - 1, rue étroite (In realtà l'ingresso è sulla via principale dove c'è il grande parcheggio, se no il navigatore vi farà perdere nelle viuzze del centro). Comodo con parcheggio davanti, sulla larga via d'accesso al paese. 66 € la doppiasenza colazione. Stanzetta microscopica con dotazioni minimali, con bagno lillipuziano e due gocce di bagnoschiuma nella bustina. No AC, TV, free wifi buono in camera. Alla reception si raccomanderanno soprattutto, uscendo o rientrando, di non far scappare il gatto.

Restaurant café Les voyageur - 3, rue des 3 journées - A pochi passi dall'albergo sempre sulla via principale. Servizio bistrot con griglia, specializzato in spiedini di varie carni che siordinano a unità. Buonoe abbondante. Servizio gentile. 3 birre piccole, 5 spiedini grandi, 2 frites, coppa gelato e tarte tatin ottima per 46€. 

Paesaggio col Rodano

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giovedì 17 agosto 2017

Ardèche 1: Per strada


Valence - Un cortile

Valence - La casa orientale
Ogni anno non resisto, un giretto nella vicinissima Douce France, non me lo leva nessuno. In fondo sono qui a pochi chilometri dal confine, anzi un tempo questa era proprio terra di delfinato, poi Regno di Savoia, insomma siamo anche un po' di più che cugini e poi davvero questa terra mi piace molto. Dunque qualche giorno all'anno le va dedicato e non voglio neppure considerare il tempo passato sul mare della Cote, quello anzi mi sembra territorio italiano a tutti gli effetti, in particolare per la fauna che lo popola. Dunque, questa volta dopo attento studio e valutazioni paragonative, alla luce dei consigli dell'amico Sergio, grande conoscitore del territorio, ho deciso per un salto nell'Ardeche, piccolo dipartimento dell'entroterra incastonato tra Drôme e Vaucluse  verso est e la Loira a nord. Dalla Val Chisone ci arrivi in un attimo,  anche se fai una sostina colazione sul colle del Sestriere, che pur essendo fine luglio, mantiene il broncio della montagna alta, poco usa ai vacanzieri estivi e che si sente come in standby in attesa della stagione invernale che le è decisamente più congeniale. Tra la nebbia bassa e la temperatura frizzantinna, la briochina sicca sicca ti va quasi di traverso; meglio apprezzerai maggiormente i petits déjeuners che ti aspettano ansiosi al di là del confine.

Valence - San Giovanni Battista
Il balzo fino a Briançon mi è ormai talmente consueto che mi scordo di apprezzare il bel colpo d'occhio della fortezza del Vauban che domina l'inizio della vallata della Durance e che prosegue verso Gap con un suo respiro ampio e invitante. Bisogna ammetterlo, dal nostro versante, specialmente in questo settore occidentale, le valli sono strette e tortuose, mancano di grandezza, le montagne stesse appaiono come più misere e sassose. Al di là, tutto appare più ampio, più grandioso, le cime, più lontane e quasi misteriose sembrano nascondere possibilità indicibili, ghiacciai ancora vivi e spessi, ancora poco toccati da questo clima ballerino da cui tanto sono angosciati. La Barre des Ecrins con le sue cime oltre i quattromila, ti segnala subito che qui è montagna vera, dove il limite dell'escursionismo si fa prossimo ad imprese più importanti. Già il passo del Lautaret ti pone in una dimensione diversa e più professionistica, anche se fai fatica a superare gli stormi di ciclisti incalliti che sudano su queste rampe storiche, in attesa di prendere l'imbocco dela strada per il famoso Galibier, misuratore di fatiche disumane che invogliano all'aiutino per poter dire almeno di essere arrivato in cima, pestando su quei pedali maledetti che sono i chiodi della croce a cui rimani appeso per poter raggiungere ancora vivo quel traguardo.

Valence - Una via
Poi, con quelli con cui parlerai di biciclette, di sudore e fatica, di gare raccontate, te lo potrai appuntare, sul petto nudo, come medaglia al valore, al pari di tanti altri nomi storici, Alpe d'Huez, Isoard, Mont Ventoux e il fatto che più d'uno ci abbia già lasciato la pelle, non perché schiacciato come una rana da automobilisti distratti, ma perché il cuore scoppia e non per l'emozione, lo fa rà diventare ancor più bello. L'uomo brama il rischio, l'adrenalina e la fatica passa in sottordine. Quando le gole della Romance si allargano e tutto diventa piano e scorrevole, quasi ti spiace aver perduto quel panorama di alta montagna, curve continue tra pascoli secchi e senza alberi, che ti segnalavano una quota importante e tutto il panorama si addolcisce, tra piccoli paesi pur popolati di vacanzieri amanti della semplicità e del profumo delle tome di montagna. Poi non si può resistere al richiamo autostradale, che i chilometri non saran tanti, ma se paghi pedaggio arrivi in fretta e in un soffio sei a Valence, capoluogo della Drôme al confine col nostro traguardo. Un colpo d'occhio bisogna pur darlo a questa cittadina sulla riva del Rodano dal centro storico ben conservato che invita ad una passaggiata per ammirare la sfilata di vecchi palazzi, le rovine dell'antico castello, i giardini quasi sospesi sulle rive del fiume vicino.

Valence - La cattedrale
La grande cattedrale di Saint Apollinaire e la chiesa di San Giovanni Battista, sono in realtà molto più imponenti dal di fuori che all'interno, dove appaiono un po' spoglie, prive di quella ricchezza di quadri e sculture che invece riempiono a dismisura le nostre cattedrali. Grandi architetti insomma i nostri cugini, ma un pochino sotto nel resto. Una pioggerella fine ma fastidiosa mi obbliga prima a cercare riparo nella piazza centrale tra i chioschi ed i tendoni dei ristoranti all'aperto, poi induce a raggiungere l'auto per procedere nel viaggio. L'autostrada segue per ancora parecchi chilometri il confine tra i dipartimenti dell'Ardéche e della Vaucluse, scorrendo lungo la riva destra del Rodano. Qualche vigneto sulle colline lontane ricorda che qui siamo in terra di grandi vini, la Côte du Rhone proverbiale, man mano che si procede verso sud e comincia a sentirsi il profumo della lavanda di Provenza e quando arriviamo quasi ad Orange, bisogna ricordare che siamo a un tiro di schioppo dal famoso Chateauneuf du Pape, un nome una tradizione. Insomma dici Francia, dici vino un po' dappertutto. E con questo vi do appuntamento a domani, lasciandovi sul gusto dei sentori di romanità che emanano dalla città che andremo a visitare.

L'interno della cattedrale



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venerdì 11 agosto 2017

Il tarlo dell'Oriente

Myanmar - Mruak 'U - Preghiera

Mentre la brezza di questa aria che spira leggera tra i monti e le forre che scendono tra i pini, mi parla di lievi sensazioni che ormai nascondono ed ottundono definitivamente le calure estive (forse finite?), la voglia di pensare ha la sgradevole tendenza ad andarsene, forse alla ricerca di una pensione meritata, checché ne dica Boeri, ed emerge un po' spocchiosa come una grillina mai in vacanza il desiderio di rimanere lì, come inebetito di fronte al paesaggio per assorbirne gli odori, le sensazioni sulla pelle, i rumori attutiti, da subire senza approvazioni o dinieghi. Forse è questa la meditazione? O più semplicemente è lo sprofondare in una forma di otium così apprezzato dai latini, che non è ben chiaro se snervi la coscienza o la vivifichi. Sembra però facile non pensare, invece nel gorgo nero di questi meandri profondi, dove forse c'è davvero di tutto, come in una soffitta abbandonata di un film horror e dove puoi pescare a volontà, ricordi sbiaditi che forse erano squallida routine e che ora ti appaiono rosati splendori; desideri mai avverati, forse perché impossibili da raggiungere, forse soltanto rimasti lì per pigrizia o ignavia o incapacità; pulsioni represse di cui forse ci sarebbe da vergognarsi oppure così comuni da diventare banali, in ogni caso da studiare da partedi psicologi, anche bravi. 

Guardi la sagoma del Forte in lontananza, così vituperato da alcuni, così splendido e unico, così prorompente nella sua personalià da far di sé un manifesto inoppugnabile per una valle ed intanto le domande ti salgono da dentro, se le consideri, generando allo stesso tempo risposte così difficili da trovare e così inutili da ricercare. Una perdita di tempo che bene si affianca all'inattività, cercata certo, mai forzata per fortuna. Intanto, mentre una nuvola chiara si sposta verso sud aumentando lo spazio di azzurro sopra di me, ho una questione che mi arrovella. Ma perché l'oriente mi affascina a tal punto da costringermi come un assuefatto irreparabile ad andarci continuamente e quando ne sono distante, mi rimugina dentro una specie di groppo spinoso che non mi dà pace fino a quando non ricomincio a macinare progetti, itinerari e informazioni. Eppure di paesi di quell'area ne ho ormai visti parecchi, dal vicino all'estremo, dovrebbero bastarmi come esperienze rimuginate e invece no, il tarlo continua il suo lavoro incessante, spesso fastidioso. Io credo che sia una questione di fascino dell'esotico. 

Mentre il sud, l'Africa ha sempre rappresentato per me il selvatico, il misterioso, l'ancestrale che mescola alla voglia di conoscenza anche un misto di paura e diffidenza, l'Oriente sta lì come un insieme di sirene esotiche che invitano ad avvicinarsi, a bearsi nel farsi sfiorare, a mostrare i suoi misteri esibendoli come orchidee voluttuose ed invitanti, cariche di passione, di sensualità, di bellezza. Sono luoghi sognati fin dall'avvicinarsi alla letteratura dell'infanzia, Salgari, Kipling, che ti raccontavano mondi di bajadere, di tigri e di re dalle vesti dorate; di caverne misteriose, di immense statue di divinità feroci o misericordiose, di montagne bianche e inaccessibili, di paradisi perduti da raggiungere, di saggi dalle barbe bianche da ascoltare. In fondo tutte cose create dalla fantasia, esagerate e mitizzate al punto da deludere spesso chi ci arriva finalmente, magari con sacrificio. Tuttavia questo mondo è talmente ricco ed è capace di regalare tali e tante sensazioni, che tutto il negativo che riesci ad immaginare, la sporcizia, la puzza, il disgusto per la povertà carogna, l'affollamento barbarico e tanto altro, diventa ad un tratto, appena varcato quel limite invalutabile del pregiudizio e della ripulsa, parte dell'attrazione fatale, tratto positivo da reinterpretare, assimilare, sopportare in nome del tutto quanto puoi ammirare, godere, vivere. 

Quanta arte incontri per le vie dell'Oriente, quanta storia, quanto sapere e poi aggiungi natura e paesaggi sconvolgenti, ambienti selvaggi, deserti, foreste, mari e spiagge, colline verdeggianti e picchi innevati così estremi da non trovare paragoni. E poi gli uomini che ci vivono, molti vicini a noi o per lo meno ansiosi di raggiungerci inseguendole nostre stesse chimere, altri invece così lontani e diversi, isolati e nascosti, ma portatori di differenze e culture che puoi trovere solo lì e quasi da nessuna altra parte del mondo; un passato ancora e profondamente presente e forse non per molto. Insomma un insieme di attrattive che riescono a stimolare anche una statua di marmo, mi sembra o forse sembra soltanto a me, attaccato da questo virus che non lascia scampo, che una volta riuscito ad attirarti in questo gorgo, non ti lascia andare più, sei costretto periodicamente a ritornarci. La scusa è la solita, non ho ancora visto il tal posto, non ho ancora percorso quell'itinerario, mi manca ancora quel paese. Tutte storie, la realtà è questo profumo di Oriente non ti lascia più e continua a mandare dei richiami ai quali è impossibile resistere. Comunque il prossimo viaggio lo farò a Ovest, tanto per coerenza e poi, in fondo non era anche questo il desiderio di Colombo, buscar el levante por el ponente?


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mercoledì 9 agosto 2017

Recensioni - Severgnini - Signori si cambia



Ennesimo libro di questo intelligente giornalista, che sa sfruttare al massimo il suo lavoro, lavora viaggiando perché si diverte, ci fa trasmissioni televisive e articoli di giornale, alla fine dato che nel viaggio, come per il maiale non si butta via nulla, alla fine ci esce anche un libro. Insomma un po' quello che piacerebbe fare a me, senza riuscirci, purtroppo. Stavolta si parla del viaggio in treno, visto come categoria esistenziale, nel racconto di alcuni viaggi effettuati attraverso l'America, l'Australia, L'Europa e perché no, l'Italia. Ma il file rouge del libro, non è quanto avviene in questi viaggi, ma proprio il senso stesso che li accomuna, quello stare sul treno, quel contatto inevitabile con gli sconosciuti compagni di viaggio, quel mondo che sfila continuamente dietro quello schermo fisso che è il finestrino. Ricordo inestinguibile dei miei tanti e lunghi viaggi in treno in una Russia che non esiste più, salvo solo forse in quell'ambiente anomalo che corre all'infinito su quelle due rette parallele da Mosca a Vladivostok e non solo. Insomma un libro che può interessare solo lettori particolari e che se ne va via in un paio d'ore, il tempo giusto di arrivare da Milano a Firenze.


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