da Sociologicamente |
Guerre, terremoti, disastri e politici indecenti, se non hai altro a cui pensare, è finita, entri in depressione e buona notte e se lo fai tu che sei nato nel rosso dell'uovo e che di questo puoi continuare a nutrirti, figurati come si devono sentire tutti gli altri. Lo so è ingiusto starsene a commentare il festival, mentre tutto intorno i cavalieri dell'Apocalisse galoppano nella pianura e vanno a depositar bollette nelle cassette della posta. Così, ingiustamente e sentendosi in fondo in colpa, bisogna pensare ad altro per non intristirsi e rendersi conto che come sempre il mondo continuerà ad andare avanti, perché lo ha sempre fatto, dato che ha attraversato momenti molto peggiori. State tranquilli che così continuerà così continuerà a fare anche se saranno lanciate armi atomiche. Qualcuno riuscirà comunque a sopravvivere e si andrà avanti per combattere nuove guerre, come prefigurava Einstein, con le clave. Rispetto ad un tempo, tuttavia, noi, che ne abbiamo ancora la possibilità, possiamo almeno sognare di fare cose, che nel passato non erano neppure pensate, al di fuori dell'immaginario collettivo, si direbbe oggi. Prendete il turismo ad esempio: in 10.000 anni di storia raccontata, questo aspetto, che pure implica una realtà economica, tra le più importanti e corpose, non era neppure pensabile come attività. Nasce da pochissimo e in meno di un secolo diventa una cosa tanto importante nell'economia e nella vita di tutti i giorni, da stravolgere, economie, situazioni, costumi. Se ti giri indietro, vedi che per millenni, dal momento che l'uomo, dopo aver inventato l'agricoltura, l'attività più artificiosa e contronatura della storia, è diventato stanziale, abbandonando l'obbligatorio nomadismo dello status di cacciatore -raccoglitore, non si è più mosso dal suo luogo di nascita, arrivando al massimo, al più vicino mercato per scambiare prodotti, altro bisogno primario.
Tutto questo per millenni, senza sentire altri bisogni, spinto a spostarsi e migrare solo in conseguenza di estreme calamità di diversi tipi, cosa che rimane identica, anche se più facile, anche oggi. A nessuno, se non a particolari ed eccezionali individualità, veniva in mente di andarsene in giro per il mondo, a vedere cosa, neppure si sapeva. Nel tempo c'erano solo due categorie di persone che si muovevano in giro per il mondo, i soldati e i mercanti. Nessuno per curiosità di conoscere o di sapere, ma gli uni per bramosia di conquista e di razzia, gli altri per fare la stessa cosa, ma col consenso dei depredati, con la sottile finezza filosofica di incrementare il valore aggiunto, avendo la conoscenza che un bene era valutato di meno in un luogo e di più in un altro, operando lo spostamento e godendo della differenza. Il mercante è la prima categoria che crea valore non trasformando qualche cosa, ma spostandola. Quindi tolta la categoria degli esploratori, rarae aves che erano spinti a viaggiare dalla curiosità della conoscenza e si possono contare sulle dita, questi erano gli unici spostamenti che avvenivano diciamo fino a mille anni fa. Poi, anche prima in verità, ma con minor frequenza, comincia a prendere rilevanza un terzo tipo di viaggio, quello di motivazione religiosa. Fiumane di genti, spinte da fedi di ogni tipo, decidevano di dedicare una parte della loro vita a mettersi in viaggio alla ricerca di se stessi, ricercando un contatto con il trascendente che li consolasse dei loro dubbi e che ne rinfrancasse la fede. Così si crearono vie, cammini, itinerari che attraversavano tutto il mondo conosciuto, a partire anche da prima, nel mondo classico per andare a consultare famosi oracoli, poi per arrivare fino a luoghi reputati santi, per assorbire, tramite questa vicinanza il beneficio che assicura il senso del divino, la remissione dei peccati, il sentirsi migliori, mondati e per questo appagati.
Questa motivazione continua ininterrotta da secoli e ancora oggi, il cosiddetto turismo religioso è uno dei filoni più importanti ed economicamente redditizi, basti pensare ai movimenti di milioni di individui che hanno come mete i santuari cristiani, Gerusalemme, La Mecca o i grandi raduni come il Khumba Mela (130 milioni di persone in un mese) o i pellegrinaggi Tibetani. Se facciamo i conti, prima che cominciassero a muoversi i cinesi che, dato il numero, hanno fatto un po' sballare i conti, questa era ancora, credo la motivazione numero uno degli spostamenti turistici di massa. Poi col secolo dei lumi, fu inventato il turismo come lo intendiamo adesso, la voglia di partire per andare a vedere al di la della collina, cosa ci fosse e questo includeva anche cose a cui nessuno aveva mai pensato prima, come le bellezze naturalistiche, le montagne, che mai nessuno prima aveva mai ritenuto logico scalare, le altre genti con i loro costumi, l'arte e la bellezza in generale. Così oltre a quei pochissimi che da sempre potevano a buona ragione, definirsi esploratori, che sempre avevano vagato per il mondo allo scopo di riempire i buchi bianchi delle carte geografiche e scrivere nuovi nomi dove prima c'era soltanto Hic sunt leones, tutta una categoria di intellettuali, nobili e finalmente anche borghesi, cominciarono l'epoca dei Grand Tour, divenuti via via obbligatori per tutti coloro che ambivano a completare la loro cultura con una visione più allargata. E questo comprendevano ovviamente soggiorni anche lunghi, con un contatto, a seconda delle possibilità, con personaggi locali, accoppiati alle visioni naturali, di città, di palazzi, di arte e soprattutto di modi di vita, da analizzare, spesso giudicare, ma in ogni caso da assorbire anche inconsciamente, contribuendo così alla circolazione delle idee, unico modo per fare avanzare le civiltà.
Via via che aumentavano le possibilità tecniche, che facilitavano gli spostamenti e ne diminuivano la pericolosità, prese piede la moda dell'Egitto e quasi contemporaneamente nacque la Thomas Cook, la prima vera agenzia turistica, che si preoccupava appunto di programmare questo tipo di viaggi. Poi il Grand Tour, comunque nella disponibilità di classi privilegiate e minoritarie, lasciò via via il posto alla Villeggiatura, che era comunque una sorta di turismo, ma stanziale, che trasferiva la gente in altri luoghi, ma con intenti meno culturali, man mano che la moda si allargava a strati sempre più vasti di popolazione, che evidentemente vedevano aumentate le proprie possibilità economiche, fino a farlo diventare nella prima metà del secolo scorso, abitudine sempre più possibile per amplissimi strati sociali. Come sempre quindi, il numero crescente di partecipanti, divenuto ormai fenomeno di massa, ha cominciato a produrre danni pesanti, manifestando anche in questo campo l'assioma che il pianeta ha una capacità limitata di tamponare i danni prodotti all'ecosistema da una specie parassitizzante, che, superando una quota prefissata e non più sopportabile, comporta un danneggiamento che diventa mutazione irreversibile. Un esempio classico è la colata di cemento che ha ricoperto ordinatamente quasi tutte le coste del Mediterraneo, e che risulterebbe del tutto incomprensibili ad un mercate fenicio o ad un contadino egiziano di epoca tolemaica. Da una costola di questo trend si è sviluppato nella seconda metà del secolo scorso, il modello turistico del viaggio, che dagli anni sessanta in poi ha assunto numeri tali da farlo diventare uno dei più importanti motori economici mondiali. Bisogna prenderne atto, con gli eventuali danni che non poteva non provocare al pari di ogni fenomeno precedente, fino a farlo diventare per alcuni luoghi un vero e proprio problema quasi insostenibile, pensate solamente a Venezia o ad alcune spiagge thailandesi.
Il movimento sembra inarrestabile, il covid è stato solo un attimo di rallentamento ormai superato, anche se per alleggerire un po' si cercano strade parallele, come lo spostamento a piedi o con altri mezzi slow, la ricerca di interessi alternativi, falsamente ecosostenibili con opportuni greenwashing, conclamata minore invasività o supposti aiuti da portare in loco. Insomma un imbellettamento per convincere i partecipanti che si farà meno danno possibile. Tuttavia al momento non si vede come il mondo stia per inventarsi novità veramente alternative. Il business è grandissimo e interessa centinaia di milioni di persone, che non hanno nessuna intenzione di mollare la preda, dopo che hanno assaggiato l'esca e l'hanno trovata così dolce, anzi è facilmente pronosticabile che i numeri aumenteranno ancora di molto, man mano che, come tutti si augurano sempre maggiori strati della popolazione mondiale migliorerà le proprie situazioni economiche. Io per parte mia, cosa avrei fatto se avessi dovuto trascorrere la mia vita in un pagus della campagna cispadana ad allevare bianchi vitelli e capre dalle corna ricurve, maneggiando cagliate per fare forme archetipe di parmigiani di là da venire, oppure con una botteguccia artigiana in un comune turrito a tagliare cuoi come mio padre, in un vicoletto con la fogna beante che scorreva al centro della via? O forse, spinto da questa febbre genetica che avrei comunque coltivato nel fondo dell'animo, sarei diventato mercante, in costante movimento in cerca di opportunità e nel contempo distratto dalla conoscenza di quello che mi sarebbe scorso davanti agli occhi? Forse neanche avrei avuto per la testa questa ansia di partire che mi divora, man mano che gli anni utili diventano sempre di meno. Invece eccomi qui a consultare itinerari e a conteggiare talleri, per far quadrare il business plan, visto che il giorno della partenza si fa sempre più vicino.
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