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Museo Egizio di Torino - Vacche pezzate nere e rosse |
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Zebù e caprino |
Ed eccoci alla seconda giornata AMAP di quest'anno, organizzata come sempre dalla nostra Presidente Giacomina Caligaris, che questa volta ha avuto luogo nientemeno che al Museo Egizio, gloria Torinese al quale, penso, nessuno riesca a resistere. Questa volta tuttavia l'interesse specifico della visita è stata data dal fatto che il tema base a cui si è attenuto il nostro competente accompagnatore era appunto, l'aspetto agricolo ed economico, rilevabile dai reperti esposti nel grande contenitore, nel quale evidentemente si possono davvero riconoscere moltissime sfumature diverse che condurrebbero ad infiniti itinerari tematici. Dunque grazie a questo fil rouge, siamo potuti passare all'esame di una serie spettacolare di affreschi tombali che illustravano le diverse fasi e le tipologie dell'allevamento nell'Antico Egitto. La presenza, ad esempio, degli animali domestici e di quelli domesticati propri dell'Africa e dei quali si è persa l'abitudine, come gazzelle, antilopi ed altri ungulati, oggi esclusivamente selvatici. Molte invece le testimonianze dell'allevamento bovino con razze che si identificano immediatamente grazie alle grandi corna lunate come di discendenza zebù, con specifiche differenziazioni in razze locali, pezzate bianche e rosse e bianche e nere. Sono presenti anche scene di macellazione, che ne illustrano la tecnica. Poi gli affreschi contenenti greggi di ovini e caprini e scene di trasporto con asini e muli, riconoscibilissimi dalla lunghe orecchie e preziosa la testimonianza del primo cane domestico registrabile nelle testimonianze artistiche a noi arrivate e che risale a circa 4000 anni fa, ben riconoscibile come un levriero egiziano munito di collare.
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Asino da soma e ungulati |
Insomma una iconografia di tutto rispetto da cui sono rilevabili anche le colture, in particolare quella dell'orzo, probabilmente il cereale principale che veniva coltivato assieme al monococco Korassan, il precursore di tutti gli attuali frumenti, tipico di tutta la mezzaluna fertile e che ha dato luogo a tutta una serie di leggende e bufale per giustificare operazioni commerciali su grani che vanno oggi commercialmente per la maggiore e che vengono riferiti a fantomatici ritrovamenti appunto all'interno di piramidi. E qui naturalmente si aggiunge tutta la ricchissima parte dei materiali veri e propri rinvenuti veramente nelle tombe che venivano messi per accompagnare il morto nel suo ultimo viaggio, tra cui sono ben visibili, molti tipi di frutti, come fichi, datteri, uva e altri materiali che evidentemente facevano parte integrante della dieta del tempo, in particolare la birra, che tuttavia era una specie di zuppa alcoolica a base di orzo piuttosto spessa, di anforette contenenti olio e anche il vino ancora contenuto in preziosi contenitori sigillati, che al momento non si osano aprire per indagarne a fondo il contenuto; insomma tutta una spettacolare collezione di materiali che riescono bene ad illustrare l'economia agricola di quel tempo. Ma forse la parte più interessante del visibile su questo argomento è dato dai papiri che riportano i particolari della vita reale degli uomini comuni che vivevano in Egitto lavorando ogni giorno secondo le proprie inclinazioni e possibilità, dai semplici operai agli artigiani più raffinati.
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Il levriero |
Ecco quindi emergere papiri che riportano, come regolari libri mastri, compilati con cura ed attenzione da schiere di scribi, le paghe degli addetti alla costruzione delle tombe dei faraoni, debitamente annotate. E qui cade il mito delle moltitudini di schiavi obbligati con la frusta a morire sotto il sole spostando pietre colossali. Si trattava al contrario di regolari maestranze, che lavoravano 11 mesi all'anno (mentre uno era dedicato invece ai lavori agricoli presso i propri campi). Mesi composti di tre decadi con due giorni di riposo ognuna e tre giorni di ferie, regolarmente pagate, più altri tre giorni di permesso non retribuito, ma del quale bisognava dare giustificazione accettabile, es. necessità di andare dalla moglie, ecc. e che veniva accuratamente annotato. Gli stipendi erano piuttosto congrui e variabili a seconda delle qualifiche dei lavoratori. Ed è pur vero che non esisteva il denaro, non l'avevano ancora inventato, ma in pratica c'era una sorta di unità di conto che valutava la proporzione tra le varie derrate od oggetti che venivano dati come stipendi, per cui un'anfora di birra equivaleva ad un certo numero di libbre di carne secca e così via. Da qui si deduce che, purtroppo o per fortuna, l'uomo è sempre stato soggetto al mercato, anche in assenza di denaro. Insomma non si è mai lavorato per il piacere di farlo e di certo il trattamento di quelli che noi consideravamo schiavi era certamente preferibile come tipologia di contratto a quello dei raccoglitori di pomodori, molto a noi più vicini. E comunque, di certo c'erano anche robuste rappresentanze sindacali, visto che nel famoso papiro dello sciopero si fa riferimento proprio ad una protesta per avere aumenti generalizzati di stipendio, poi alla fine ottenuti. Insomma un punto di vista di grandissimo interesse che vi esorto ad esplorare se capitate a Torino.
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Scena di macellazione |
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